NOLI ME TANGERE

PROLOGO.


      Il clangore dei nuovi Dei ci clonerà in una notte d'uggiae di tormento fantasmi del passato dentro il futurosgomento nostra creatura, debole natura che risalendo il ventodei secoli si chiuderà fra cielo e cielo d'ogni miseria -lei vera brama d'infinito e paura d'esso.  
 
     Talvolta inginocchio davanti alla mia proterviasvio l'occhio sapiente della morte mi arrampicosu per la parete della vita e cerco appigli come un'edera tenace -di sotto il solito scenario si svolge in un mondo di talpeche sbucano improvvise da rabbiosi sottosuoli ed io odioso eremitaposso maledire i segni dei tempi trafiggendoli come farfalle da collezione.Talvolta la morte mi pare più lontana e allora cadoda lei trafitto e il ritorno alla luce mi abbaglia e mi stupisce.   
   Poi ho rimuginato dentro l'ombra della mentequale mai pensamento nella tua vai rimuginando visoda poker piazzato lì davanti alla telecamera come un oggettodi porcellana bene dicente che a me pensa ed io solo ti chiedopause di silenzio pause d'assenza dalla mia vita che mescetranquilla il suo dolceamaro in bottiglie per l'inverno.Lascia la mia vita alla pace e chiedi sogni in prestitose vuoi alla notte formica alle pagine del libroche sta sotto pergole d'uva o boschi di nocciole. 
      Se le cose andranno male tu potrai semprevendere bene la faccia piatta a qualche occhiata di solea qualche monello che la tinga di baffi a pizzo e cornellati capelliMefisto Sigmund Freud del baratro e della pena che pena dà.Se mai sorriso ti nasca e l'erre vizza t'inviperisca inviperitoti giunga il mio veleno sul piatto della sera al tuo desco diabeticoorsacchiotto di lana stinta ed arruffata.Oh t'avessi davanti a me per roderti come una melamalefico vecchio bambino non sono tuo padre.  
    Non voglio più sedermi allo stesso desco con questo secolo e dirmi figlio di luiVorrei essere vento lacerto d'obici brandello di fogliadavanti alla mitraglia traccia di una rosa rossa nella neve o nube di pira che in altolevandosi strida "Osanna Figlio di David!"dove la terra si fende alla sete dove la luna inquieta traluce per boschi di tragediasull'incredula smorfia dei cadaveri.Non voglio più calcare queste strade dove l'urlodella notte sgargia nei colori d'una festa eternae memoria di secoli marcisce negli scoli.O notte dentro il tuo uovo antico girare in tondodentro il tuo occhio un'ombra che va da nullaa nulla senza provare vergogna non voglioe invece sognare con levità di cuore.di G.l. PROLOGO    
   Un VIRUS NON PORTA SEMPRE CORONE.