Vincere e vinceremo!

Leggete Leggete


“Strane cose le influenze. Arrivano, ti mandano in coma, vai a letto e poi a metà notte ti svegli senza averci più la minima voglia di dormire. E allora cosa si fa? La passatina in bagno, la tisana così tanto per buttare giù uno scaldabudella in quest'invernaccio, e il computer. A giro senza costrutto per i soliti siti. Su fiorentina.it ci sono due righe. Christian Riganò da Lipari, isole Eolie, come il professor Franco Scoglio. Strane razze, gli isolani. Un marcantonio con un aspetto e un fisico da muratore, perché il muratore lo aveva fatto sul serio. Nulla dei ragazzini rileccati che si vedono oggi sui campi, con fascettine sulla fronte, testoline rasate, tatuaggi e tutto il resto. Riganò i capelli ce li aveva belli lunghi, e lungo quel suo naso importante, quella sua faccia da testate ne' denti e quel senso del gol che dev'essere fatto comunque, bello, brutto, di sghimbescio, al volo, di testa, di anca, di ogni cosa. Avesse potuto, i gol li avrebbe fatti anche di stomaco e di pancreas, anche se nella testa qualcosa mi dice che ogni suo gol è stato fatto con un altro organo che si chiama cuore. Giocava, in quella Fiorentina di C2, assieme a uno che pochi mesi prima era a fare il mondiale con la Nazionale, e ora si addannava a Agliana, a Imola, a Gubbio: si chiamava Angelo Di Livio. Giocava assieme ad altra gente che proprio malvagia non doveva essere, se poi ce la siamo ritrovata come Ariatti o come Quagliarella. Giocava assieme agli Andreotti, agli Ivan e ai Bismark, quello del favoloso goal di Rimini, finito poi a Borgo San Lorenzo dopo essere passato per una coppa UEFA giocata in Svizzera. Giocava e segnava, e io, da lassù, non potevo mai sentire il Guetta che berciava "gooooooool" quando la metteva dentro; potevo solo immaginarmelo. Poi Rigagol comincia di nuovo a peregrinare. Empoli per restare vicino a Firenze, Messina, la Levante di Valencia. Nonostante i diciannove gol fatti con una compagine di scalzi e gnudi come il Messina (e anche lì un grave infortunio gli aveva impedito di giocare per mesi), non è, si dice, "giocatore da grande squadra". Troppo Riganò, troppo muratore, troppo naso, troppa polvere, troppo sudore da lavoratore. Giocatore da squadre ultime in classifica o roba del genere, dove però si permette di mettere a segno triplette intere; con la Levante ne rifila una all'Almeria, la squadra che poi ci darà Felipe Melo. Poi di nuovo in Italia, come me. Si torna a casa. Va al Siena per restare in Toscana, a Terni non gioca nemmeno una partita e ora eccolo approdare a Cremona, a trentacinque anni, ché questo è il gioco più bello del mondo e bisogna giocarlo. Facendo gol. E lui li fa, i gol, accidenti se li fa. Fin da quando giocava nel Terme San Calogero. Grazie. GIGI MERONI