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« La maschera di MamoiadaArriva La Sartiglia! »

Le origini del carnevale Tempiese (ma di tutta la Sardegna)

Post n°36 pubblicato il 08 Febbraio 2007 da Tonello80

Il carnevale a Tempio e nella Gallura in generale, ha origine antica. Risalire al principio non è facile perché molte tradizioni sono completamente scomparse. Di certo però la figura di GIORGIO, mitico Re del Carnevale Tempiese, ci riporta ad epoca pre-romana, in quanto, come sostiene D. Turchi, lo spirito della terra che fruttifica, prima ancora della religione misterica, era chiamato GIORGI, e a questa divinità venivano offerti sacrifici nel corso di riti finalizzati ad ingraziarne i favori (Giorgi viene sacrificato per fecondare la terra).A Tempio è sopravvissuto il nome del re divinizzato (Gjolgju) insieme ad alcuni toponimi che ad esso rimandano (come per esempio la collina di Santu Gjolgju) Alle pressione delle stratificazioni culturali succedutesi nel corso dei secoli hanno resistito solo alcune locuzioni che rimandano a personaggi ormai scomparsi, come: «pari un traicoggju». Un’espressione che i più anziani traducono come riferimento a “persona rozzamente vestita che cammina in modo pesante”. Che questo sia il suo significato traslato non ci sono dubbi. 

Infatti nel Vocabolario Tempiese - Italiano del Gana, al  termine Traicoggju toviamo: «secondo la credenza del popolino, è il rumore che fa uno spirito trascinando un cuoio di bue o di cavallo al quale sono attaccati paioli vecchi, padelle, ciarpami e catene, percorrendo con altri famelici compagni le vie del paese per la penitenza…». “Lu Traicoggju”, quindi, come le vecchie maschere sarde, è una sintesi tra le figure animalesche  e quelle demoniache.  Un personaggio della Gallura che,  come il più celebre “mamuthone”, rappresentava nell’immaginario collettivo “l’uomo selvatico”, munito di uno strumento idoneo a produrre suoni inquietanti. Simile, quindi, alle altre maschere primordiali (mèrdules, bòes e thùrpos) che in altre zone della Sardegna hanno conservato maggiormente le caratteristiche originali.

 

Altra reminiscenza la possiamo trovare nel termine “fuglietta”, tuttora usato per indicare una persona irrequieta ed in perenne agitazione. Sempre secondo il Gana: «la fuglietta è uno spirito malvagio che per tormentare i vivi deve incarnarsi o “prendere la figura” di un animale».

La maggior parte  delle pelli lavorate venivano utilizzate da calzolai e sellai, ma una parte era utilizzata senza alcun dubbio per l’abbigliamento. Uno dei capi tipici del vestiario maschile a Tempio era infatti lu cugliettu, una veste di pelle rasata che alcuni “viaggiatori dell’ottocento” vorrebbero derivata dalla Mastrucca citata da Cicerone. Questi abiti erano usati a carnevale e costituivano le così dette Mascari brutti registrate alla fine dell’ottocento da F. De Rosa. Costui ricorda anche le “Cucine o Società del Buon Umore”, che avevano proprio lo scopo di animare il carnevale. Una conferma ulteriore l’abbiamo da  F. Cossu, che precisa: «Gli uomini si annerivano la faccia con la fuliggine dei paioli, si camuffavano buttandosi addosso tutti i cenci, infagottandosi di vecchiume, caricandosi di pelli, sonagli, campanelli, conducendo in mezzo alle brigate le figure sinistre degli antichi satiri, dei baccanti, dei coribanti (nell’antica Grecia, sacerdoti di Cibele e Attis), dei primitivi attori, di cui Tespi (attore e poeta greco del 500 a C) si serviva per rappresentare i primi abbozzi di tragedia, sopra i carri di città in città». Come ormai documentato, le maschere carnevalesche rappresentavano ovunque demoni, antiche divinità, personaggi fantastici della narrativa popolare che si fondevano con le schiere dei morti per dar luogo ad una grande rappresentazione magico rituale. 

l fatto che simili lugubri personaggi possano entrare a far parte delle maschere carnevalesche sembra un controsenso. Giova quindi precisare che anche le maschere dei più celebri carnevali italiani come Arlecchino o Pulcinella, hanno origine demoniaca. Sono “anime di morto”, ci fa sapere P. Toschi, che nei sei giorni del carnevale, tornano tra i vivi per tormentarli con i loro scherzi spesso pesanti e che vengono rabboniti con l’offerta di vino, dolci o cibo. A questo si aggiungeva inoltre la consuetudine dell’inversione dei ruoli in virtù della quale era permesso alle donne indossare gli abiti maschili, agli uomini quelli femminili, il povero poteva vestire da ricco, il pastore da cittadino e via dicendo. Di queste tradizioni, come già detto rimane ben poco.

tratto da Le origini del carnevale di Margerita Achenza

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