Un blog creato da AracnoMania il 20/09/2006

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« Messaggio #50

Post n°51 pubblicato il 14 Gennaio 2009 da AracnoMania
 
Qualche tempo fa ho trovato un libro dentro un baule, non vi era scritto l'autore, ma le pagine ingiallite mi  han fatto capire che era da tempo conservato. Slacciato il nodo, apro la prima pagina e comincio a leggere da una grafia leggibile e continua: 
Tracciare ancora una linea e darle un significato, normale per molti, ma per me comincia a perdere il proprio significato. Questo è un martello che serve a dare un colpo assestato, a chi mai leggerà, o forse solo a me che scrivo e rileggo. Ogni cosa che scrivo è già stata scritta, ogni cosa che penso è già stata pensata, ogni posto che immagino è già stato creato. Il silenzio e il buio rivelano più novità, ma questo è dovuto a quelle luci al neon e a quelle scatole rumorose dentro le case dei miei vicini. Perchè cerco il silenzio? Perchè non trovo conforto nei discorsi dei saggi o tra le gambe di una donna. Tutta la cultura di cui ci vantiamo serve solo a riempire le teste dei nostri bambini, essi nascono con la scintilla negli occhi e nel cuore, e noi gliela spegniamo imbacuccandoli dentro stanze dirette da psicolabili. L'esperienza è stata sottomessa alla necessità, ciò che consideriamo vantaggioso imparare è deciso da ciò che possiamo scegliere di diventare all'interno di questa società di imprigionati dentro il proprio stesso corpo. Qualcuno scrisse che la mente il corpo sono separati, menzogna. Il nostro cervello comanda il nostro corpo, dalle sensazioni alle emozioni, ed esso è controllato da chi ci mette i paraocchi e ci limita. Siamo esseri che vivono per la luce e siam fatti di luce, abbiamo un ammasso di neuroni che potrebbero produrre energia e pensieri illimitatamente e li concentriamo sull'utilizzo mnemonico che è statico, diversamente dalla luce. Non possiamo nemmeno esser certi della nostra esistenza attuale e della veridicità di quel che ci circonda e invece crediamo fermamente in qualcosa che non abbiamo mai visto, e che sta sopra di noi e ci osserva tutti continuamente, e a lui dobbiamo il nostro pane e il nostro vino e le nostre preghiere: almeno fossero rivolte al Sole avrebbero un significato reale, visto che è lui l’unico portatore di vita che possiamo riconoscere. Dopo essermi accorto di queste incongruenze, ho cominciato a parlarne alle persone che conoscevo, la maggior parte mi guarda come si guarda il folle del villaggio, qualcuno dice di capirmi, ma dal suo sguardo non trapela luce, la sua pelle invecchiata, mi fa ripensare che non può più voler cambiare le proprie regole, e se ancora è qui, significa che si è sottomesso. I giovani sono abbindolati e ogni generazione peggiora, quei pochi che vorrebbero veder cambiare le cose vengono politicizzati e le loro residue energie disperse in lotte senza risultato, finchè anche loro diventano carne da macello del grande sistema globale in atto. Siamo resi schiavi, ma la beffa è che ci contrastiamo tra noi, pensando che qualcuno riuscirà ad emergere. Siamo illusi dal potere, ma esso stesso ci rende schiavi, e la felicità ormai è una cosa dimenticata e talmente fugace che una volta raggiunta la si perde, come se fosse stata svalutata dalle migliaia di altre conquiste che vorremmo fare…

 
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LE AVVENTURE DI MOTANGA

Il vento soffiava leggermente da Nord. Sbrillo esausto contemplava il cielo strappato di nuvole, mentre sorseggiava quella bevanda denominata Adrenina, dal sapore dolciastro e il colore purpureo, sedeva su una sedia in una terrazza del centro del paese di Faglie. Dal balconcino si affacciò Otto, era sudato con gli occhi spiritati, aveva avuto una litigata con una delle sue donne e poi l'aveva posseduta per due ore abbondanti. 
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Sbrillo aveva capito che Otto voleva la sua pozione magica, magari per concludere in bellezza con la dama o magari per riuscire a dirle che era meglio non vedersi più. Controvoglia preparò l'intruglio, lo assaggiò, e lo mise di fronte alla porta di Otto, bussò e si diresse nuovamente in terrazza. Sapeva che in una decina di minuti sarebbe stato lì accanto a lui e avrebbero deciso finalemente il da farsi.
Erano anni che si frequentavano e si scambiavano opinioni varie, avevano avuto la possibilità di fare alcune traversate insieme, ma adesso si trattava di scegliere se formare una ciurma e rimettere in sesto Motanga o continuare ognuno per la propria strada come sempre.

Passarono altre due ore, l'attesa uccideva Sbrillo che nel frattempo aveva cominciato a mischiare Tequila, Adrenina e il suo personale intruglio a base di Foglia del Diavolo. Decise di muoversi, andò a cercare la Musa dei Cerchi di Fuoco.
Faglie era la città natale di Sbrillo, ma non ci si muoveva a suo agio, preferiva viaggiare e stare continuamente in balia della corrente. Ma si sa: i sogni per realizzarsi hanno bisogno di tempo, vera volontà e fatica.
Per sua fortuna trovare una Musa non era un sogno, sua personale confidente era entrata nella vita del giovane Sbrillo poco tempo prima ed aveva occupato immediatamente un ruolo stabilizzante. Infatti Arachiù, così lo conoscevano in paese, era solito avere momenti di follia incontrollabile che manifestava con un arrossamento del viso (diventava magenta in alcuni casi) e un'insaziabile bisogno di sputare veleno e acido citrico su chiunque fosse alla portata della sua voce. Il compito che la Musa assolveva con tenerezza era quello di portarlo nuovamente nel mondo razionale che solitamente ordinava il giovane marinaio.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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