Finding Neverland

"NoBlog", articolo molto interessante, seganlato da un mio caro amico


NoBlog, i 4 difetti di una moda in discesaPubblicato da franco carlini su 31 Maggio, 2007 Sono almeno 71 milioni i blog nel mondo, forse 100. Tra popolarità e critiche crescenti, un itinerario per provare a capire di piùFranco CarliniLe ultime cifre fornite a maggio dal motore di ricerca Technorati segnalano 71 milioni di blog esistenti. Altri parlano di oltre 100. La tendenza è alla crescita continua, giorno su giorno, minuto su minuto. E i numeri contano. Tuttavia, con la popolarità di massa del fenomeno, emergono anche le opinioni critiche. Non devono preoccupare, ma vanno considerate con attenzione. Spesso si tratta di una sana reazione all’eccesso di enfasi e di moda che continua ad accompagnare la parola. In altri casi si tratta di obiezioni di fondo. Alcune di queste sono già comparse su queste pagine, in particolare il punto di vista di Geert Lovink torna con il suo nuovo libro «Zero Comments» (vedi l’articolo di Nicola Bruno del 15 marzo, http://chipsandsalsa.wordpress.com/2007/03/01/blogger-nichilisti-e-autoreferenziali/).Le principali sono che 1. Non c’è nulla di nuovo; 2. La parola è ambigua e indica generi oramai molto diversi; 3. Molti Blogger sono narcisi e autoreferenziali; 4. Il formato delle pagine risulta limitativo e piatto. Vediamole.(1) Niente di nuovo?I blog, così come l’universo convenzionalmente chiamato Web 2.0, non portano concettualmente niente di particolarmente nuovo rispetto al progetto originario del web, chiamatelo pure web 1.0.Vero: Come lo stesso Berners-Lee ha scritto, «il sogno sottostante al web era di uno spazio comune in cui comunicare condividendo le informazioni. La sua universalità è essenziale: il fatto che il link di un ipetertesto possa puntare ovunque, sia esso personale, locale o globale» L’altra parte del sogno stava nel fatto che «una volta che lo stato delle nostre interazioni fosse online, si possano usare i computer per analizzarle, dare un senso a ciò che stiamo facendo (e vedere) come possaimo meglio lavorare insieme». (http://www.w3.org/People/Berners-Lee/ShortHistory)Di recente lo stesso baronetto inglese lo ha ripetuto al settimanale inglese The Economist: «Il web venne progettato in modo che ogni utente potesse anche essere un autore … quel tipo di partecipazione era l’idea centrale fin dall’inizio» («Watching the web grow up», 8 marzo 2007).Falso: Dunque, dieci anni dopo l’esplosione del web, si potrebbe dire che i blog rappresentano la concreta realizzazione di quel sogno già ben delineato. Certamente anche i 100 milioni di siti web esistenti sono stati realizzati dal basso, ma per farlo era pur sempre necessario avere uno spazio sui server di un Internet Provider, registrare un nome di dominio, e sapere realizzare le pagine in linguaggio Html (almeno quello statico). Meraviglioso dunque che tanti milioni di siti siano nati, ma con i software per i blog tutto è diventato ancora più semplice e immediato. In uno dei molti servizi in rete si può infatti registrare un proprio nuovo blog - gratuitamente e in pochi minuti, scegliendone anche l’aspetto visuale tra i molti formati offerti; alimentarlo in ogni istante, collegandosi in rete al servizio, e inserendo titolo e corpo del testo. Diversi fornitori di blog, come l’italiana Dada, permettono di farlo in mobilità, attraverso i cellulari. Alcuni accessori standard come il Blogroll e gli Rss feed rendono agevoli e automatici i legami con altri blog amici, accentuando l’effetto di comunità.(2) Blog è parola ombrello che copre, malamente, troppe cose diverseVero: e questo sarebbe un buon motivo per abbandonare (o segmentare) il termine. Qualche categoria grossolana si può tuttavia tentare:a) i veri e propri diari personali. Li fanno i giovani e i meno giovani. Sono scritti per sé, come ogni classico diario, ma anche per il pubblico degli amici e potenzialmente per tutto il mondo: cosa ho fatto, pensato, sentito, letto oggi. Spesso sono arricchiti di foto, come l’ultima corsa alla maratona o la cena con gli amici. Molte ingenuità, ma lecite, permesse, cercate. Il linguaggio è la tipica oralità scritta, amicale, senza formalità, con molte invenzioni lessicali. Nulla da obbiettare: sono quella cosa lì, una grande confessione in pubblico che oltre a tutto offre infiniti materiali di studio a sociologi e antropologi. Fanno bene a chi li scrive, che può esercitare un utile percorso di costruzione di identità, insieme essendo in contatto con amici e sconosciuti.b) Blog d’autore e cioè quelli aperti e alimentati da un personaggio più o meno pubblico. Moltissimi ormai sono i giornalisti che ne tengono uno, dove approfondiscono quello che sulla carta non trova spazio. Sono tanto più letti quanto il personaggio è noto e autorevole. Si può anzi sostenere che è la fama a creare il traffico piuttosto che la bontà dei contenuti a portare lettori. Quasi tutti hanno un campo di interessi ben definito, che si tratti della politica, dell’ambiente o dello sport. Più l’autore è noto, più numerosi sono i lettori-visitatori che anche commentano e interloquiscono. Anche in questa categoria il tono prevalente è confidenziale: l’autore parla in prima persona. C’è chi esagera in confidenzialità e chi meno, ma troppo spesso si avverte un eccesso dell’Io, anche quando i contenuti sono di valore. Specialmente per i giornalisti della carta, sono comunque luoghi da cui avere ritorni interessanti dai lettori. L’altra caratteristica è che il giornalista autore, sentendosi più libero, talora si lascia andare di più di quanto non faccia sul suo giornale. Si fa meno terzo e più esplicito nelle sue opzioni.c) Blog collettivi o di gruppo: il più famoso e ben riuscito, a opinione di chi scrive, è Slashdot, un vero caso di studio: una piccola redazione riceve ogni giorno migliaia di post sui temi delle tecnologie digitali dal popolo di lettori-autori e seleziona, con suoi criteri editoriali, le più interessanti. La cosa importante è che non si pubblicano semplici opinioni o idee, ma brevi sintesi di notizie prelevate da altri luoghi, ognuna dotata del doveroso link. Ogni post ovviamente può venire commentato. Analoghi meccanismi animano da anni Boing Boing, tipicamente californiano, pop-culturale, ricco di immagini originali. Ogni giorno questi blog fanno circolare le idee e ce ne regalano infinite, spesso geniali.3. Blogger narcisi e autoreferenzialiLa sana libertà di espressione e la facilità con cui ognuno può fare il suo blog ha dato luogo a una popolazione ampia, anche in Italia, di persone che con intensità e passione alimentano il proprio blog quotidianamente, talora anche più volte al giorno. Con esso fanno opinione e ormai cominciano, fortunatamente, a influenzare la sfera pubblica. Si pensi al successo della campagna, tutta di rete, intrecciata tra blog diversi, opportunamente scatenata contro il criticatissimo portale del turismo italiano (www.italia.it). Anche la mobilitazione contro il costo delle ricariche dei cellulari è iniziata e si è sviluppata largamente in rete. Questo è un segnale interessante.L’altra faccia di questa tendenza, al limite dell’insopportabilità, si chiama voglia di «fiammeggiare», polemiche a tutti i costi, presunzione, autoreferenzialità banale. Contemporaneamente si alimenta il continuo cinguettio reciproco, dove la citazione dei blog altrui, nella speranza-scommessa di essere a propria volta citati, diventa un fatto di auto marketing, di costruzione della reputazione in un mondo ristretto. Questo mondo dei blogger semiprofessionisti oramai viene guardato con interessato interesse” anche dalle aziende. E’ il caso della Cisco, leader mondiali nei server di rete (router) che ha organizzato una serata-aperitivo con un centinaio di blogger italiani. Così facendo ha dato soddisfazione alla loro voglia di riconoscimento, ottenendo come ritorno una discreta copertura (la pagina dedicata all’evento sul sito Blogosfere ne è un penoso esempio: http://blogosfere.it/2007/05/ieri-a-milano-c-stato.html).4. Problemi di formatTutti i blog sono fatti di pagine con due o tre colonne. In quella centrale, più larga, si accumulano i «post», ovvero i nuovi articoli inseriti, in ordine cronologico inverso, eventualmente accompagnati da commenti. Nelle colonne laterali ci sono gli accessori di servizio, come l’elenco dei post più recenti, un calendario con cui saltare ai post di un dato giorno, una maschera per la ricerca, la lista delle categorie tematiche trattate eccetera. Tale struttura spartana e con poche possibili varianti dipende dal fatto che «al di sotto» c’è un software per creare e gestire le pagine che non può essere troppo versatile, almeno allo stato attuale delle tecnologie. Il risultato però non è eccellente: tutti i post infatti, quello molto importanti e quelli meno appaiono sullo stesso piano, senza gerarchia. L’unico modo di consultarli è scorrere le pagine (scroll) dall’alto in basso; non si può avere una visione d’insieme, diversamente da quanto succede guardando la pagina di un giornale, sia esso di carta o di web. Ciò è molto democratico, perché l’autore, singolo o collettivo, non impone una sua gerarchia attraverso la struttura grafica, ma è semmai il lettore a scegliere, muovendosi tra oggetti informativi che appaiono tutti uguali. La qual cosa va molto bene per un forum di discussione, ma non altrettanto per i blog d’autore. In questi casi infatti il lettore esercita un atto di fiducia verso la reputazione di chi scrive (così come fa anche acquistandone un libro) e cerca proprio quella firma lì, alla cui opinione è interessato, apprezzandone anche le scelte drastiche e differenziate. Il giornalismo è anche questo: proposte e ordine del discorso, ed è un servizio che chi «legge per contro terzi» offre ai suoi lettori-interlocutori.Appiattire tutto in sequenza cronologica ne è la negazione, perché allora tanto vale che chi legge faccia a meno di noi, si abboni gratuitamente a un po’ di testate online e se le legga attraverso gli Rss feed, come fossero lanci d’agenzia.