Creato da shinano il 01/07/2008
Storia delle navi da guerra, battaglie navali

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ATTACCO CONTRO ITALIANI A KABUL, 6 MORTI E 4 FERITI

Post n°42 pubblicato il 17 Settembre 2009 da shinano
 
Foto di shinano

(Fonte ANSA) ROMA - Sei militari italiani sono stati uccisi e quattro feriti in un attentato avvenuto nel pieno centro di Kabul, sulla Massoud Circle, la strada che conduce all'aeroporto della capitale afghana. Sia i morti che i feriti (questi ultimi non sarebbero in pericolo di vita) sono tutti del 186.o Reggimento Paracadutisti Folgore. Nell'attentato sono morti anche due afghani e oltre 30 civili sarebbero rimasti feriti.

Fonti della Difesa hanno reso noto i nomi di cinque dei sei militari italiani morti, le cui famiglie sono state avvisate. Si tratta del tenente Antonio Fortunato, originario di Lagonegro (Potenza); del primo caporal maggiore Matteo Mureddu, di Oristano; del primo caporal maggiore Davide Ricchiuto, nativo di Glarus (Svizzera); del sergente maggiore Roberto Valente, di Napoli, e del primo caporal maggiore Gian Domenico Pistonami, di Orvieto.

Decine di veicoli hanno preso fuoco. L'attacco è stato rivendicato dai talebani ed è stato fatto - hanno riferito fonti dei ribelli ad Al Jazira - "con lo scopo di dimostrare che nessuno può considerarsi al sicuro in Afghanistan". "Sui mezzi c'erano complessivamente 10 nostri soldati. Sei sono morti", ha confermato il ministro della Difesa Ignazio La Russa intervenendo al Senato. I morti italiani sono quattro caporal maggiore, un sergente maggiore e il tenente che comandava i due blindati Lince. Due delle vittime tornavano dalla licenza. Secondo una prima ricostruzione della Difesa italiana, a provocare l'esplosione sarebbe stata un'autobomba. Due i mezzi militari - due veicoli blindati Lince - rimasti coinvolti.

L'auto carica di esplosivo è scoppiata al passaggio del primo mezzo del convoglio, uccidendo tutti e cinque gli occupanti. Danni gravi anche al secondo Lince: uno dei militari a bordo è morto e altri tre sono rimasti feriti. L'attentato è avvenuto alle 12.10 locali, le 9.40 in Italia, nei pressi della rotonda Massud, dove il traffico è rallentato per i controlli sul traffico diretto verso l'ambasciata Usa, il comando Isaf e l'aeroporto. Sui due lati delle strade sono stati distrutti case e negozi. Secondo le prime ricostruzioni, un automezzo civile (una Toyota bianca secondo quanto ha riferito in Senato il ministro della Difesa Ignazio La Russa) con a bordo i due kamikaze e con un notevole carico di esplosivo sarebbe riuscito ad infilarsi tra i mezzi prima di esplodere. Negli ultimi mesi, nonostante la massiccia presenza di forze armate internazionali, a Kabul si sono moltiplicati gli attacchi suicidi dei talebani.

L'ultimo è stato l'8 settembre scorso, quando un'autobomba ha ucciso tre civili esplodendo davanti all'entrata della base aerea della Nato. Il Presidente dela Repubblica Giorgio Napolitano è stato informato a Tokyo dell'attentato; il premier Silvio Berlusconi ha espresso il suo profondo cordoglio personale e quello dell'intero Governo al Capo di Stato Maggiore della Difesa generale Camporini e al generale Castellano che comanda il nostro contingente a Kabul.

"Il Governo italiano - si legge in una nota - è vicino alle famiglie delle vittime, condivide il loro dolore in questo tragico momento ed esprime la sua solidarietà a tutti i componenti della missione italiana in Afghanistan impegnata a sostegno della democrazia e della libertà in questo sfortunato paese. "I militari italiani hanno pagato un ulteriore tributo di sangue per la causa della libertà e della democrazia dei popoli", ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini nell'Aula di Montecitorio prima di far osservare al'Assemblea un minuto di silenzio in memoria delle vittime dell'attentato a Kabul. "Il sacrificio di questi eroi - ha sottolineato dal canto suo il Presidente del Senato, Renato Schifani - costituisce un ulteriore doloroso contributo che i nostri militari, con grande coraggio e professionalità, continuano a dare per difendere la democrazia, la pace e la sicurezza internazionale. L'Italia si inchina davanti a questi nostri ragazzi e si stringe commossa intorno alle loro famiglie".

L'attacco ai militari italiani a Kabul, costato la vita a sei soldati, "è una grande tragedia". Lo dichiara il portavoce della Nato James Appathurai, esprimendo la vicinanza dell'Alleanza all'Italia, di cui ricorda "l'importante contributo" alla missione Isaf in Afghanistan.

La domanda che ci si pone è sempre quella "ha senso l'intervento italiano in afghanistan?" Per il rispetto degli italiani che li combattono la risposta non può essere che sì... ma la guerra al terrorismo può essere vinta direttamente lì? Il dubbio che gli italiani operino in un ambiente completamente ostile comandato da capi tribù che non seguono le regole e la morale di noi occidentali e che mai le comprenderanno rimane....

Ai posteri l'ardua sentenza.....


 
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DISCESA CON GLI DAL K2: MUORE ALPINISTA TRENTINO

Post n°41 pubblicato il 25 Giugno 2009 da shinano
 
Foto di shinano

TRENTO - L'alpinista trentino Michele Fait, specializzato in imprese estreme, è morto mentre stava effettuando la discesa con gli sci del K2. Aveva 44 anni ed era già disceso con gli sci dall'Everest. Fait - viene detto nel sito web del quotidiano Trentino - è morto la scorsa notte mentre stava tentando una discesa estrema con gli sci dal K2. Di lui si erano perse le tracce ieri, ma solo questa mattina la notizia è rimbalzata prima sui blog di altri alpinisti impegnati nella scalata della vetta himalayana, poi la conferma ufficiale arrivata ai familiari dell'alpinista. Secondo le prime informazioni, Fait è precipitato in un canalone con gli sci: la scena è stata vista anche dal campo base, tanto che subito alcuni alpinisti hanno cercato di avvicinarsi al punto dell'incidente. Poi, la tragica conferma: il corpo di Fait era ormai senza vita. Si è invece salvato un secondo sciatore estremo, di nazionalista svedese, che stava tentando una analoga impresa.

Di fronte a fatti come questo la domanda che ci si pone è sempre la stessa "vale la pena rischiare la vita per imprese sportive estreme?" A mio giudizio un uomo che si pone degli obiettivi e muore per raggiungerli è degno del massimo rispetto..... Onore quindi a Michele Fait!


 
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SEI DEPRESSO? ALLORA NIENTE CARCERE!

Post n°40 pubblicato il 04 Giugno 2009 da shinano
 
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CATANIA - Il presunto boss Giacomo Maurizio Ieni, 52 anni, indicato come il capo della cosca mafiosa Pillera é fortemente depresso e per questo lascerà il regime di 41 bis, anche se scontato nel centro clinico del carcere di Parma, per passare agli arresti domiciliari a casa, a Catania. E' la decisione della terza sezione penale del Tribunale del capoluogo etneo per "gravi motivi di salute" contestata duramente dalla Procura etnea e da politici. Il suo stato di "depressione malinconica" , secondo i giudici, è infatti così grave da renderlo incompatibile con la detenzione e che "l'ambiente familiare appare allo stato insostituibile" per curarlo. "In casa - scrivono i giudici - potrà ricevere quel sostegno psicologico che la struttura carceraria non può dargli. Tra l'altro la sua condizione personale è tale da fare ritenere che ci si trovi in presenza di una situazione di pericolosità grandemente scemata". Ieni, detenuto dal 30 giugno del 2006 per associazione mafiosa, nell'ambito del procedimento Atlantide con il quale la polizia ritenne di svelare i rapporti tra esponenti di Cosa nostra e imprenditori etnei, nella precedente udienza del processo, in teleconferenza da Parma, era scoppiato in lacrime davanti ai giudici sostenendo di "essere fortemente depresso e di non riuscire a stare in carcere". Il Tribunale, accogliendo la richiesta dei suoi legali, gli avvocati Enrico Trantino e Giuseppe Lipera, che ricordano come il loro assistito durante la detenzione abbia perduto 20 chilogrammi di peso e attuato lo sciopero della fame, adesso gli ha concesso gli arresti domiciliari ritenendo che "l'affetto dei familiari" è per lui terapia unica e insostituibile.

La decisione è "fortemente contestata" dalla Procura di Catania che in sede di udienza aveva espresso parere negativo e si dice "estremamente sorpresa e sgomenta". E questo, precisano i magistrati della Dda, sia "per la pericolosità sociale del soggetto al quale sarà permesso di tornare a Catania" sia perché "nella perizie redatte non ce n'era alcuna che stabilisce che il suo stato di salute sia incompatibile con la detenzione in un centro medico, così come si trovava ristretto". La valutazione del Tribunale è stata contestata, in maniera trasversale, da esponenti politici. Per il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, è una "decisione che indigna, crea un pericolosissimo precedente e mina fortemente la credibilità delle istituzioni". L'esponente del Pdl ricorda anche che "la maggioranza in questa legislatura ha invece posto l'accento sulla necessità di rendere ancora più stringenti le norme sul 41 bis".

Claudio Fava definisce la scelta dei giudici "una vergogna". Secondo l'esponente di Sinistra e libertà "per i mafiosi di Catania il 41 bis è una specie di campeggio: ai detenuti depressi si concedono gli arresti domiciliari". Sulla vicenda il senatore della Lega e segretario dell'Antimafia, Gianpaolo Vallardi, chiede "l'audizione in commissione del ministro alla Giustizia, Angelino Alfano" visto che così, "i carnefici diventano vittime e le vittime i carnefici". Contestazione contestate a loro volta dai legali di Ieni che inviato i "parlamentari di evitare di parlare di cose che non conoscono, eliminando la parola scandalo e non a realizzare una Guantanamo in Italia" e la Procura "a rispettare i ruoli". (ANSA)

La morale è che in Italia per stare in carcere non bisogna soffrire di depressione, se no si è inadatti alla detenzione..... quindi tutti i futuri carcerati dovranno fare un test psicologico per capire se sono mentalmente adatti ad essere rinchiusi in cella o se invece potranno avere i domiciliari e godere dell'affetto dei propri familiari perchè non in grado di sopportare il regime detentivo......

 
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E' morto Achille Compagnoni, il "conquistatore" del K2

Post n°39 pubblicato il 14 Maggio 2009 da shinano
 
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AOSTA, 13 MAG - Si è spento poco prima dell'alba di ieri, non appena la luce ha definito le forme delle montagne che intravedeva dalla finestra dell' ospedale. Achille Compagnoni, classe 1914, il primo a posare il piede sulla vetta del K2 (insieme con Lino Lacedelli) il 31 luglio 1954, è morto oggi alle 5.30 ad Aosta. Era ricoverato da circa un mese nel reparto di medicina dell'ospedale regionale a causa di patologie legate all'età. Neanche nell'ultimo istante ha voluto staccare gli occhi dalle vette, così come era solito fare a Cervinia quando si accomodava sulla sua poltrona davanti alla vetrata e passava ore a osservare i confini tra terra e cielo, dalla Dent d'Herens al Breithorn passando per la Gran Becca. La notizia della sua morte in pochi minuti ha fatto il giro di Italia. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in un messaggio di cordoglio alla famiglia lo ha ricordato come "intrepido protagonista della scalata del K2 nella storica spedizione del 1954". Compagnoni era uno dei leader della squadra di Ardito Desio che conquistò la cima della seconda montagna più alta della Terra, ma unanimemente riconosciuta come la più difficile da scalare. Insieme a Lacedelli, al termine di una drammatica ascensione, raggiunse gli 8.611 metri e piantò lassù la piccozza con il tricolore. Una scalata memorabile, di valore assoluto, che rese orgogliosi tutti gli italiani e si lasciò dietro uno strascico di polemiche lungo 50 anni, in particolare sul ruolo di Walter Bonatti nell'attacco alla vetta. "Quella sul K2 - tagliava corto Compagnoni quando incontrava la stampa - è stata una vittoria di tutta la spedizione italiana. Parliamo di ciò che abbiamo fatto, le polemiche lasciamole agli altri". Lo scalatore nato a Santa Caterina Valfurva (Sondrio) e residente a Cervinia - dove gestiva un albergo che porta il suo nome - aveva raccolto le sue verità nei libri Uomini sul K2 del 1953 e K2: conquista italiana tra storia e memoria del 2004. Per assurdo, ha faticato più a gestire quello che divenne il caso K2 piuttosto che a scalare la montagna. "Ho di lui un bellissimo ricordo - racconta Lacedelli - e ci siamo anche divertiti, oltre ad aver faticato moltissimo: abbiamo avuto delle giornate di relax, tra compagni, nelle quali raccontarci le nostre avventure". Giunto nel 1935 a Cervinia come militare, aveva scelto di vivere in quel suggestivo angolo delle Alpi, tra Italia e Svizzera. Cervino e K2, montagne entrate nell'immaginario collettivo per l'imponenza, gli aspri pendii, la caratteristica forma triangolare: proprio intorno a questi due colossi di granito si è sviluppata la vita e la fama di Compagnoni. "Era un alpinista molto forte fisicamente - sottolinea Reinhold Messner, il Re degli Ottomila - tanto cuore e tanti polmoni. Ho sempre apprezzato la sua impresa, molto meno l'atteggiamento avuto dopo nel non riconoscere i meriti di Bonatti. Porto comunque un grande rispetto per lui anche se oltre al K2 non ha fatto grandi cose dal punto di vista alpinistico".

Oggi sarà allestita la camera ardente a Cervinia, venerdì alle 14.30 i funerali, poi sarà cremato. Compagnoni, che era stato anche campione italiano di sci nordico, era stato nominato Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana nel 2003 ed era stato insignito anche della Medaglia d'oro al valor civile per l'impresa compiuta sul K2.

Questo è il resoconto ufficiale dell'ANSA. Sulla figura di Compagnoni e sul suo apporto alla scalata del K2 sono stati scritti in cinquant'anni una marea di libri. Quello che appare certo (anche dalla testimonianza di Lacedelli) è che pur di arrivare in vetta non esitò a "sacrificare" Bonatti ed il suo portatore obbligandogli a passare una notte a 8.300 metri in piedi e senza tenda..... quasi una condanna a morte....

 
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COPPIA TEDESCA ABBANDONA BAMBINI IN UNA PIZZERIA!!

Post n°38 pubblicato il 23 Aprile 2009 da shinano
 
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(ANSA 22.00 DEL 22.04.09) AOSTA - Ci sono tutti gli elementi del dramma e della disperazione nella fuga di una coppia di tedeschi che dietro di sé ha lasciato pochissime tracce e tre bambini in tenera età, abbandonati ai tavoli di una pizzeria alla periferia di Aosta. Per tutto il giorno sono proseguite le ricerche di Ina Caterina Remhof, di 26 anni, e del suo nuovo compagno Sascha Schmidt, di 24 anni, provenienti da Finnentrop, cittadina tedesca della Nord Westfalia. Tassello per tassello, gli investigatori italiani stanno cercando di ricostruire le ultime mosse dei due giovani, con un passato difficile da scrollarsi di dosso e un futuro forse troppo pesante da affrontare. Nonostante la giovane età lei ha già avuto quattro figli, tra cui una bambina uccisa dal padre a suon di percosse; per questo l'uomo è in carcere dal 2007. Gli altri tre bambini - di 8 mesi, 2 e 4 anni - si trovano ora in una comunità ad Aosta e già venerdì saranno rimpatriati per essere consegnati ai servizi sociali, poiché ai genitori -con una decisione presa d'urgenza dalla magistratura tedesca- è stata revocata la patria potestà.

La donna è anche indagata, dalla procura di Aosta, per abbandono di minori. Il suo compagno ha invece problemi di droga ed è ricercato in Germania per non essere rientrato in carcere dopo un permesso premio. Può essere questo il motivo della fuga all'estero. Nel suo diario lei lo descrive come "un ragazzo buono, capace però di diventare violento e manesco quando è in crisi di astinenza". A testimonianza della loro vita disperata non restano che pochi oggetti - qualche indumento, fogli sparsi, i resti dei pasti consumati - sui sedili della Ford Fiesta parcheggiata alle porte di Aosta una volta finiti i soldi e la benzina. Sembrano personaggi usciti da un film di Ken Loach. Secondo quanto si è appreso, sono arrivati in Italia il 14 aprile, dal traforo del Gran San Bernardo. Nei giorni seguenti erano stati notati nella periferia cittadina.

La polizia li aveva persino fermati per un controllo sabato scorso, lo stesso giorno in cui, infreddoliti e stanchi di bivaccare in auto, si sono presentati in un albergo dove hanno trascorso la notte, ma non avevano i soldi per pagare. Domenica sera sono entrati in pizzeria, hanno mangiato, sono usciti dal ristorante con la scusa di fumare e si sono dileguati mentre i bambini piangevano seduti al tavolo. Da due settimane la madre di lei aveva denunciato, in Germania, la scomparsa di figlia e nipoti. La polizia si interroga sulla loro sorte. Le segnalazioni finora giunte in Questura non hanno avuto sviluppi o si sono rivelate infondate. Resta in piedi l'ipotesi del suicidio, avvalorata da alcuni disegni trovati nel diario di Ina Caterina Remhof, intitolato 'Cose da ricordare': un albero con un cappio, un colpo di pistola in testa. Vicino lei ha scritto in evidenza il numero di alcuni familiari a cui rivolgersi per sistemare i bambini. Le ricerche sono proseguite in tutto il territorio regionale, nei torrenti, negli edifici abbandonati, nei dirupi, ma con esito negativo. Dalla Lombardia sono arrivati persino speciali unità cinofile 'molecolari' che riescono a seguire gli odori. Ma la loro disperazione non ha lasciato tracce.

In Italia andremo male ma vedo che anche in Germania i servizi sociali hanno da lavorare...

 
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