La vita

Gli invisibili.


 Stavamo dialogando attorno al canto dell’Infernodantesco dedicato al conte Ugolino, ed evidenziavoil fatto che Dante presenta un padre incapacedi dare pane e parole ai suoi figli, condannatia morire da innocenti.   In un verso Dante descrive la tragedia della paternitàsovvertita, quando Ugolino, guardando i volti deiquattro innocenti imprigionati con lui, dice di avervisto se stesso: sia perché vede in loro lo stesso drammadell’inedia che li condanna a morte, sia perché vede in loroil frutto delle sue colpe. Moriranno a causa sua,e lui non se ne era reso conto, se non in quel momento,quando ormai è troppo tardi. Partendo da qui siamo arrivatia parlare di Thirteen reasons why: titolo di un fortunatolibro negli Usa (Tredici in Italia), nonché di una ancorapiù fortunata serie televisiva che spopola tra i ragazzie che, sollecitato da loro e interessato a capire dovecercano le parole e le immagini per raccontarsi,ho guardato nelle ultime settimane.  Una ragazza si suicida, ha 17 anni, ma prima di metterein atto il suo gesto estremo, incide 13 audiocassette,dedicate ciascuna alle tredici ragioni che l’hanno portataa togliersi di mezzo, ogni ragione corrisponde all’amicoo amica, a cui è dedicato quel nastro. Così a poco a pocoemerge la verità di una storia di violenza verbale e fisica,ampliata anche da chi si riteneva innocente. Sorprendescoprire che solo l’ultima cassetta è dedicata a un adulto,lo psicologo della scuola, che aveva parlato con la ragazzail giorno stesso del suo suicidio e non era stato capacedi andare oltre quanto richiesto dal codice del suo lavoro.  Il ritornello che caratterizza tutta la serie è che la veritànon è sempre quella che ci costruiamo per giustificarele nostre azioni e che il male che commettiamoo il bene che tralasciamo di fare hanno lo stesso peso.  Tutto ciò avviene ad una ragazza a cui non manca nienteper essere felice, ma una somma di gesti malvagi o di gestiomessi da chi le vuole bene fa crollare una identitàin formazione e quindi fragile. Questo il fascino esercitatosul pubblico di adolescenti: la percezione della distanzatra come ci si sente e come è la realtà, due dati che nella vitadi un ragazzo sono spesso molto distanti e che portanogli adulti a non capire, liquidando le loro sofferenzeora come «paturnie dell’età», ora come«cose che un giorno capirai», ora come «la vita è fatta così,impara a starci».  Nella serie infatti l’assordante assenza è quella degli adulti,distantissimi anche se vicini, a volte incapaci di ascoltoo di capire come ascoltare (la famiglia del protagonistadeve formulare il proposito di fare almeno un pastoinsieme dopo tre settimane...), a volte incapaci lorostessi di essere adulti.  È il protagonista della serie, un diciassettenne, a doverdire in modo chiaro allo psicologo: «Dovremmo impararea volerci bene, in modo migliore». Ha capito che non bastail rispetto, non bastano le regole, che il consumismorelazionale è un veleno e che per volersi bene bisognaconoscere gli altri, conoscere il bene per gli altri, perchéuna relazione è vera solo quando si impegna a realizzareil bene dell’altro e ad accogliere l’altro come bene, non bastavivere sotto lo stesso tetto (familiare, scolastico...).È l’adolescente protagonista che impara che il bene dell’altrova fatto, a ogni costo, ed è lui a dover educare gli adulti sul tema.  Sono gli effetti di una società individualista, in cui i ragazzinon si sentono più parte di una storia, ma si riduconoad atomi incapaci di comprendere la realtà, perché nessunogliene offre le parole adatte, ci si limita a insegnaredelle regole per la vita e non cosa ci sia di buono da farenella vita e a cosa servano quelle regole. Lo spaesamentonarrato in questa serie solleva sin dal primo minuto la feritaaperta della società di oggi, quella americana sicuramentepiù avanti della nostra, ma neanche tanto: in un tessutosociale disgregato e utilitarista, l’individuo è solo e nonvale nulla se non si procura da solo il suo valore. La vitainserita in un sistema di performance in cui si è tantoquanto si ha, fa, appare, non c’è il tempo per costruiresull’essere, cosa che potrebbe avvenire in famiglia, unico luogoin cui essere accettati per quello che si è e non per quellealtre tre cose. Ma la famiglia non ha tempo per fare questo,oppressa anche lei da un meccanismo soffocante.Non c’è tempo per le relazioni buone, il tempo che permettedi far emergere le ferite e le gioie, che va a costruirequel nucleo forte di amore da cui un bambinoed un adolescente imparano a guardare ed affrontare il mondo.  Il tempo delle relazione è spesso riempito da oggetti,silenzi, altre performance... che non lasciano lo spazioe i minuti necessari ad abbassare le difese e ad aprirsi.Persino l’assurda moda della Blue Whale - un gioco perversoche si conclude con il suicidio del partecipante - può riempireil vuoto di senso della propria esistenza, tanto da trasformarlain una performance sino alla autodistruzione: ci sarebbeda chiedersi come mai neanche la scuola sia più in gradodi offrire un orizzonte di senso a questi ragazziche vi passano per tredici anni tre quarti delle mattine.Continuiamo a produrre «educazioni a» affollandola loro testa di altre regole, impossibili da vivere perchénon c’è una vita interiore, personale, unica e irripetibile,una storia in cui inserirle. Gli individui non hanno storie,le storie le hanno i ragazzi quando sono figli, nipoti, alunni...La passione per questa serie da parte dei ragazzila tradurrei così: «Insegnateci a voler bene davvero,ridateci relazioni significative e non consumistiche,trovate il tempo da impegnare per noi come la cosapiù importante che vi è capitata nella vita, guardateci,andate oltre le apparenze, consegnatemi il testimonedella vita perché io cominci la mia corsa e sappiaperché sto correndo».  La ragazza che si suicida dopo aver parlato con lo psicologosi ferma fuori dalla porta a vetri di lui e rimane fermasperando che lui la insegua, andando oltre lo strettonecessario della chiacchierata appena affrontata.Lei afferma nella sua registrazione che se lui fosse uscitonon si sarebbe uccisa, ma lui risponde al cellulareche aveva squillato già più volte durante il colloquio,interrompendo l’attenzione totale dovuta ad una ragazzain crisi, e dimentica quello che lei gli ha appena confidato:la mia vita non vale niente. Sceglie ciò che sembrapiù urgente, invece di quello che è importante(quanto tempo rubato alle relazioni dalla nostra iper-connessione).Tredici sono le ragioni per cui una ragazza si toglie la vita:e sono persone, cioè relazioni. Una è la ragione che le unificatutte: la mancanza d’amore. L’amore è dare valorealle persone, e il valore sì dà solo quando si dona il propriotempo a curare la relazione con l’altro, costi quel che costi.Dare tempo quando si è in tempo, altrimenti come Ugolinovedremo sul volto dei ragazzi ciò che noi stessi,senza rendercene conto, abbiamo provocato.Ma sarà troppo tardi.  Alessandro D’Avenia(La Stampa)