La vita

Generazione perduta.


LA MISSIONE DELLA GENERAZIONE PERDUTASiamo nati in un fazzoletto di terra baciato dalla fortuna e nella grazia di Dio.Viviamo in uno dei paesi più ricchi e prosperi del mondo e beneficiamo di un patrimonio naturalistico e culturale invidiabile. Perché allora dovremmo essere scontenti? Siamo forse solo “rancorosi”, come ha sostenuto qualcuno? No, gli italiani sperimentando una condizione di depressione sociale perché, sebbene in senso assoluto non si stia poi così male, in termini relativi è da un pezzo che perdiamo terreno. Il presente è nebuloso e all’orizzonte vediamo solo tempeste. È oggettivamente innegabile che tutto sia peggiorato, il processo di involuzione è sotto gli occhi di tutti. Avevamo il sistema sanitario più invidiato del mondo e l’istruzione pubblica più avanzata del pianeta. Avevamo un’economia che “macinava”, grazie ad uno Stato che si preoccupava prima di tutto di garantire l’occupazione a tutti e avevamo un mercato del lavoro protetto. Avevamo uno stato sociale che ha garantito per un certo periodo di tempo una mitigazione reale e non solo percepita delle disuguaglianze. Avevamo, per l’appunto. Ciò non vuol dire che non abbiamo più niente,ma che abbiamo perso molto e continuiamo a vederci sottrarreprogressivamente, giorno dopo giorno, quel poco che è rimasto.Alcuni protagonisti attivi del declino hanno propagandato questa involuzionecome necessaria, ineludibile, ineluttabile. “I tempi sono cambiati”- ci hanno detto - “nel mercato globale si gioca con regole diverse” -hanno aggiunto e ci hanno ripetuto fino allo sfinimento che non vi eraalternativa alla distruzione di tutto e che anzi dovevamo accoglierecon giubilo questi cambiamenti, adattandoci alla precarietà, all’emigrazioneforzata, alle disuguaglianze crescenti, all’ingiustizia sociale. Avremmodovuto qualificare con termini positivi questi abomini. La precarietàdovevamo chiamarla “libertà di cambiare lavoro più e più volte”,l’emigrazione forzata doveva essere vista come l’occasione di “esserefinalmente cittadini del mondo”, le disuguaglianze crescenti e l’ingiustiziasociale erano il naturale risultato dei “meccanismi meritocraticiche premiano i migliori”.Per un certo periodo di tempo ci abbiamo anche creduto a queste idioziee alcuni hanno persino provato ad adattarsi. Qualcuno ha fiutatoprima degli altri la fregatura, altri dopo, altri ancora sono tuttora immersiin questo liquame di retorica neoliberale fino al collo. Poi qualcuno ha reagito,ha provato a rileggere la storia, a ricostruire la verità e a proporre alternative.Ha osservato che nulla è definitivo, niente è ineluttabile, che il futuroè nelle nostre mani.È questo il compito della generazione perduta: dimostrare che alla tiranniadel mercato globale è possibile rispondere con un modello di sviluppoalternativo, che anteponga l’uomo al capitale. Abbiamo la fortunadi essere nati in questo fazzoletto di terra baciato dalla fortunae nella grazia di Dio. Un paese in cui, tanti anni fa, italiani valorosi,di incommensurabile valore umano, culturale e politico, hanno gettatole basi per la realizzazione di un modello di sviluppo sostenibile,di un capitalismo umano, mitigato, in cui lo Stato si prendeva curadella crescita umana e professionale dei suoi cittadini, garantendopari dignità e diritti. Un modello di sviluppo economico che garantivaal contempo un continua avanzamento dei diritti sociali e dunque la pienarealizzazione dell’uomo.Quello che abbiamo fatto nei primi trent’anni del dopoguerra restaun miracolo che non ha compiuto nessuno nella storia dell’umanità,portando un paese uscito sconfitto da una guerra mondiale a costruire,sulle sue macerie, un progetto di sviluppo socioeconomico che ci ha vistoscalare i vertici del mondo in termini di reddito, qualità delle produzionimanifatturiere, influenza artistica e culturale, avanzamentodei diritto sociali e della qualità dell’erogazione dei servizi pubblici.Questo sarà il nostro compito: riprendere quel percorso di crescitae di sviluppo, che si è arrestato negli anni ’80 e che ha cedutoil passo all’involuzione che abbiamo sperimentato negli ultimiventicinque tristi anni.Non è una speranza questa. Non è un auspicio, una preghiera.È una constatazione e un’esortazione ad agire. È il nostro dovere,la missione della nostra vita. Lo dobbiamo ai nostri padri, a noi stessi,ai nostri figli e alla nostra Patria.Ci libereremo.cit. G. Baldini