"Immaginate un bambino che non ha fatto niente, uno studente qualunque, mediocre come me, nel senso che non ero né brava né incapace; ero semplicemente una bambina che andava a scuola molto volentieri perché mi piaceva stare in compagnia, proprio come mi piace adesso. E da un giorno all'altro ti dicono: "Sei stata espulsa!". È qualcosa che ti resta dentro per sempre. "Perché?" domandavo, e nessuno mi sapeva dare una risposta.Ai miei "Perché?" la famiglia scoppiava a piangere, chi si soffiava il naso, chi faceva finta di dover uscire dalla stanza. Insomma, non si affrontava l'argomento, lo si evitava.E io mi caricavo di sensi di colpa e di domande: "Ma cosa avrò fatto di male per non poter più andare a scuola? Qual è la mia colpa?". Non me ne capacitavo, non riuscivo a trovare una spiegazione, per quanto illogica, all'esclusione. Sta di fatto che a un tratto mi sono ritrovata in un mondo in cui non potevo andare a scuola, e in cui contemporaneamente succedeva che i poliziotti cominciassero a presentarsi e a entrare in casa mia con un atteggiamento per nulla gentile. E anche per questo non riuscivo a trovare una ragione. (…)Quelli che ci rimasero vicini furono davvero pochissimi. Da allora riservo sempre grande considerazione agli amici veri, a quelli che in disgrazia non ti abbandonano. Perché i veri amici sono quelli che ti restano accanto nelle difficoltà, non gli altri che magari ti hanno riempito di regali e di lodi, ma che in effetti hanno approfittato della tua ospitalità. (…)Ma quanto è doloroso scoprire a mano a mano tutti quelli che, anche senza nascondersi, non ti vedono più. È proprio come in quel terribile gioco tra bambini, in cui si decide, senza dirglielo, che uno di loro è invisibile. L'ho sempre trovato uno dei giochi più crudeli. Di solito lo si fa con il bambino più piccolo: il gruppo decide che non lo vede più, e lui inizia a piangere gridando: "Ma io sono qui!". Ecco, è quello che è successo a noi, ciascuno di noi era il bambino invisibile."Liliana Segre
Immaginate.
"Immaginate un bambino che non ha fatto niente, uno studente qualunque, mediocre come me, nel senso che non ero né brava né incapace; ero semplicemente una bambina che andava a scuola molto volentieri perché mi piaceva stare in compagnia, proprio come mi piace adesso. E da un giorno all'altro ti dicono: "Sei stata espulsa!". È qualcosa che ti resta dentro per sempre. "Perché?" domandavo, e nessuno mi sapeva dare una risposta.Ai miei "Perché?" la famiglia scoppiava a piangere, chi si soffiava il naso, chi faceva finta di dover uscire dalla stanza. Insomma, non si affrontava l'argomento, lo si evitava.E io mi caricavo di sensi di colpa e di domande: "Ma cosa avrò fatto di male per non poter più andare a scuola? Qual è la mia colpa?". Non me ne capacitavo, non riuscivo a trovare una spiegazione, per quanto illogica, all'esclusione. Sta di fatto che a un tratto mi sono ritrovata in un mondo in cui non potevo andare a scuola, e in cui contemporaneamente succedeva che i poliziotti cominciassero a presentarsi e a entrare in casa mia con un atteggiamento per nulla gentile. E anche per questo non riuscivo a trovare una ragione. (…)Quelli che ci rimasero vicini furono davvero pochissimi. Da allora riservo sempre grande considerazione agli amici veri, a quelli che in disgrazia non ti abbandonano. Perché i veri amici sono quelli che ti restano accanto nelle difficoltà, non gli altri che magari ti hanno riempito di regali e di lodi, ma che in effetti hanno approfittato della tua ospitalità. (…)Ma quanto è doloroso scoprire a mano a mano tutti quelli che, anche senza nascondersi, non ti vedono più. È proprio come in quel terribile gioco tra bambini, in cui si decide, senza dirglielo, che uno di loro è invisibile. L'ho sempre trovato uno dei giochi più crudeli. Di solito lo si fa con il bambino più piccolo: il gruppo decide che non lo vede più, e lui inizia a piangere gridando: "Ma io sono qui!". Ecco, è quello che è successo a noi, ciascuno di noi era il bambino invisibile."Liliana Segre