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Una baraccopoli per gli operai di mosaici


ALBINEA. Fino a un certo punto, il degrado, gli agenti della polizia municipale Colline Matildiche e gli ispettori della Direzione provinciale del lavoro, se lo aspettavano. Ma la baraccopoli, quella proprio no. E non un bimbo di pochi mesi, figlio di un’immigrata con regolare permesso di soggiorno, che però mai ha messo piede in un ambulatorio pediatrico.Eppure è saltato fuori anche questo, venerdì, al culmine dei controlli eseguiti già da alcuni mesi, dalla polizia municipale, con la Dpl e di concerto con l’ufficio stranieri della questura di Reggio. Controlli che hanno portato alla scoperta di tre lavoratori in nero, di cui uno clandestino, e alla denuncia per sfruttamento della manodopera clandestina di un imprenditore: tutti di nazionalità cinese. Ma soprattutto di condizioni di lavoro paragonabili alla schiavitù.I MOSAICI. Siamo in zona San Giacomo, a pochi passi dalla viabilità principale che porta dritta dritta al regno delle piastrelle, il distretto ceramico reggiano e modenese. È da lì che escono gli scarti di lavorazione che, negli opifici locali, si trasformano in elaborati e preziosi mosaici.A comporre quegli armonici disegni fatti dalle miriadi di tasselli di pregiata ceramica sono centinaia di mani che lavorano con millimetrica precisione, a volte, come dimostrano gli ultimi controlli, in condizioni disumane. I tasselli ricavati dal taglio di piastrelle danneggiate e altrimenti inservibili – in condizioni di lavoro massacranti che espongono a inalazioni di polveri assai poco salubri – , arrivano, strano a dirsi, dal sud: è lì che si svolge il lavoro più “sporco”.I mosaici, contenuti in cassette di legno, proprio come quelle della frutta, sono caricati – per dare l’idea del giro d’affari – su dei veri e propri tir.Uno di loro arriva a destinazione ad Albinea, proprio mentre sono in atto i controlli: e viene bloccato perché irregolare; in nero anche l’autista.IL BLITZ. È venerdì mattina, molto presto, quando scatta, coordinato dal comandante Lazzaro Fontana, il blitz degli agenti dell’Unione colline matildiche; c’è anche, in appoggio, una pattuglia della municipale Val Tassobbio con il cane “Duca”. E ci sono quattro operatori dell’ex Ispettorato del lavoro. Agenti e ispettori entrano in almeno quattro ditte diverse, tutte regolarmente registrate; ma il numero delle aziende coinvolte potrebbe anche crescere: facile che emerga in seguito il solito trucco delle “scatole cinesi”.Del resto imprenditori e lavoratori – quasi 50 quelli controllati – degli opifici sono proprio di questa nazionalità. In pochissimi parlano italiano o inglese. Ma qualcuno si trova e le verifiche possono procedere senza l’uso dei mediatori.LO SFRUTTAMENTO. È solo una prima fase che proseguirà poi con verifiche incrociate per stanare eventuali irregolarità nella fascia del cosiddetto “lavoro grigio”: i lavoratori, spesso a tempo determinato o a cottimo, all’apparenza in regola, ma esposti allo sfruttamento. Lo fanno sospettare fornelletti e saponi trovati vicino ai banchi di lavoro e le stanze adibite a provvisorie abitazioni nelle adiacenze. In una di queste, priva di riscaldamento, è ospitata, al piano di sopra dell’azienda, una giovane madre, di un bimbo di pochi mesi: la donna è giunta in Italia attraverso un giro tortuoso che l’ha vista arrivare infine dalla Spagna. Ma il suo bimbo non è mai stato visitato da un pediatra per questo viene segnalato ai servizi sociali locali.Non di muri ma di cartone e cellophane, e qualche pezzo di tessuto, invece sono fatte le pareti di una vera e propria baraccopoli scoperta in un’altra delle aziende controllate: baracche di circa 3 metri per 3 metri, faranno poi sapere dalla polizia municipale Unione colline matildiche, alte 2 metri costruite con pallet, cartone e lamiera, ricoperte con del cellophane e tappezzate internamente con panni di tessuto che fungevano da camera da letto e cucina per le famiglie di questi lavoratori asiatici.Una scoperta che ha sconcertato gli stessi agenti. Tanto più che in quelle capanne, ben nascoste, dietro bancali di pallet, vivevano e dormivano, nelle pause dal lavoro, cittadini non clandestini. La maggior parte di loro addirittura con una residenza ufficiale a Reggio. Solo uno dei lavoratori controllati infatti è risultato clandestino e, dunque, anche lavoratore in nero.http://gazzettadireggio.gelocal.it/cronaca/2012/11/18/news/una-baraccopoli-per-gli-operai-di-mosaici-1.6045180