IL DUBBIO

MORIRE PER IL LAVORO?


La tragedia occorsa l’altro giorno alla ThyssenKrupp di Torino, oramai divenuta quasi strage con 4 morti ed altri 2 in fin di vita, ripropone drammaticamente quanto sia attuale in Italia il problema della sicurezza sull’ambiente di lavoro.Il 2007 è stato un anno nero per le cosiddette “morti bianche”: 811 morti e quasi un milione di infortuni sul lavoro con un costo sulla collettività in termini sia di vite umane ma anche di 40 miliardi tra risarcimenti e danni alla produzione. E’ inutile nascondersi dietro un dito: è vero, le norme ci sono e sono molto severe, ma la sostanza non cambia. Il problema è molto grave e bisogna fare molto ancora per migliorare i livelli di sicurezza. Il bello è che tutti ne sono consapevoli: governo, sindacati e aziende. Addirittura anche il presidente della Repubblica Napolitano ha indicato la sicurezza sul lavoro come emergenza nazionale.C’è quindi qualcosa che non funziona, perché un conto è riempirsi la bocca di parole e paroloni ed un altro conto è applicare e far funzionare le norme di sicurezza. Ho letto che la stessa ThyssenKrupp, nel suo codice etico, dedica ben tre articoli alla “salute e sicurezza” dei propri dipendenti, impegnandosi ad assicurare “condizioni di lavoro rispettose della dignità individuale e ambienti di lavoro sicuri e salubri” e “adottare e mantenere adeguati sistemi per prevenire e reagire a possibili situazioni di rischio”.Ma, come ho detto prima, un conto sono le norme ed un altro è il rispetto delle stesse. E’ ovvio, le fatalità accadono e sono sempre accadute, ma una buona prevenzione unita degli standard applicabili riesce quanto meno a limitare i danni. Nel caso dell’incendio alla ThyssenKrupp, le indagini sono in corso, ma dalle prime testimonianze già si parla di estintori scarichi ed inutilizzabili, squadra anti-incendio non rintracciabile e dispositivi di protezione individuale non a norma, oltre a turni di lavoro massacranti, straordinari, ecc. ecc.Paradossalmente sono nelle piccole aziende dove si verifica il numero maggiore di infortuni. Il problema è che l’Italia ha un tessuto produttivo molto frammentato con una infinità di piccole e piccolissime aziende le quali da sempre sostengono che le norme sono troppo onerose. Inoltre i controlli sono scarsi anche per mancanza di personale Inail.Ho letto l’intervista del direttore generale dell’Inail, Maurizio Castro, il quale ha spiega che il problema non si può risolvere solo con le norme in quanto occorrerebbe passare ad una logica di incentivazione verso quelle aziende che ottengono una riduzione degli infortuni oltre ad un patto sulla sicurezza tra sindacati ed imprese.Quello che penso io è che invece bisognerebbe investire moltissimo sulla formazione ma soprattutto “informazione” dei lavoratori. E’ perfettamente inutile dotarli di tutti i dispositivi di protezione quando non si ha la “cultura” della Sicurezza sul Lavoro. Il lavoratore deve sapere che non servono degli eroi in un’azienda, ne andrebbe della loro salute. E questo vale anche per le aziende per le quali un costo iniziale magg
iore si tradurrebbe poi in minori costi sugli infortuni.Le responsabilità sono di tutti. Ora la tragedia è servita a rimettere in primo piano le esigenze di sicurezza degli impianti e la salvaguardia dell’incolumità e della salute dei lavoratori.Spero solo che a nome di quei morti e delle loro famiglie, sole e disperate, non ci si dimentichi dei buoni propositi odierni.Un saluto a tuttiVito