IL DUBBIO

IL GIORNO DEI GIUSTI ....


In occasione della giornata della memoria della Shoah, l’immane olocausto che quasi cancellò una intera generazione di ebrei da parte nazista, ho voluto rispolverare un mio post dell’estate scorsa in cui raccontavo la storia del Generale Dallaire. Quest’uomo, durante il genocidio nel Ruanda nel 1994, riuscì a salvare migliaia di uomini di etnia Tutsi dal massacro ad opera dell’altra etnia, Hutu, che scatenò la guerra tribale: COLUI CHE SALVA UNA SOLA VITA, SALVA IL MONDO INTERO … Vi ricordate il film “Schindler List” di Steven Spielberg? Viene raccontata la storia dell’industriale tedesco Oscar Schindler che riesce a salvare più di 1000 ebrei dalla deportazione e quindi dalla morte facendoseli assegnare, pagando e corrompendo, come manodopera nella sua fabbrica di pentole. Alla fine gli resterà comunque il rimorso di non aver avuto abbastanza soldi per salvare altre vite umane. Il suo segretario ebreo che gli dice questo antico proverbio del Talmud che parla proprio dell’importanza universale di salvare anche una sola vita umana.Ebbene, questa che vorrei raccontare è una storia diversa ma con molti punti in comune. E’ la storia del generale Romeo Dallaire, canadese, capo della missione ONU che si trovò in mezzo al massacro che si scatenò nel 1994 in Ruanda dopo l’abbattimento dell’aereo presidenziale. In 100 giorni furono uccisi più di un milione di civili, per lo più di etnia Tutsi da parte dell’allora etnia dominante Hutu. Questo orrendo genocidio era già stato programmato in precedenza e, mentre tutta la comunità internazionale scappò a gambe levate, solo un uomo si rifiutò di obbedire agli ordini perché capiva che la sua presenza insieme ad uno sparuto gruppo di soldati ONU poteva salvare tante vite umane. Questo era il generale Dallaire che in un documentario (vincitore di numerosi premi, ma che non vedremo mai in Italia) racconta del suo ritorno in Ruanda dieci anni dopo. Ha scritto anche un libro “Stringere le mani al diavolo” in cui grida tutto il suo dolore, la sua vergogna, la sua collera contro l’ONU, la Francia, gli Stati Uniti e tutti coloro che hanno abbandonato il Ruanda. Nel suo documentario racconta: “Solo due volte ho incontrato i guerriglieri e quando strinsi le loro mani erano fredde e non parlo della loro temperatura, erano come appartenenti ad un altro corpo ed i loro occhi non erano umani. Riflettevano il male come mai avrei immaginato. Erano gli occhi del diavolo”. “C’erano così tanti cadaveri che non potevamo raccoglierli, c’era un odore insopportabile, i cani che abbaiavano e che mangiavano i cadaveri; eravamo testimoni del massacro di esseri umani e che tutto questo sarebbe diventato un monito per noi”. “Non riesco a dimenticare le immagini di quel passato, mi esplodono in testa e scorrono come al rallentatore. Mi chiamarono: generale avrebbe problemi a comandare una missione Onu? No, dissi io, deve andare in Ruanda in Africa, normali conflitti tribali”. “Mi ricordo quando arrivai qui, era primavera, il tempo era magnifico, gli alberi le colline, i laghi, l’aria fresca, la novità di incontrare nuove culture, gente che non aveva un granché di materiale ma che aveva tanto dentro da offrirti. Era come essere arrivati nel paradiso terrestre”. “Avevamo piantato la bandiera dell’ONU per dimostrare che c’era il controllo totale, ma mi resi conto che era un grande bluff; avevo appena 60 ufficiali e tutto intorno sulle colline era un ammasso di gente armata pronta ad ammazzare ed ammazzarsi”. “Dopo l’abbattimento dell’aereo presidenziale pensai: sarò in grado di evitare che tutto degeneri in guerra civile, o peggio in un genocidio? Subito dopo l’ONU, con la spinta determinante degli Stati Uniti e della Francia, votò la risoluzione del ritiro delle truppe ONU, ma io rifiutai. Cosa mi ha fatto rimanere? Forse non sopportavo di perdere, forse è un’immagine romantica, fino all’ultimo uomo o Dio, ma non ci sconfiggeranno!”. “Quando c’erano i bombardamenti non c’erano difese, le bombe potevano colpirci da un momento all’altro e vedevi il terrore negli occhi della gente. Allora presi un vecchio radio registratore  misi su una canzone country di Tom Connors, le bombe cadevano e la gente batteva le mani ascoltando la canzone, era bellissimo …” “Un giornalista mi chiese: che diavolo ci fai qui, perché rimani? Ed io sorpreso risposi: Magari se salvo un solo ruandese ne vale la pena! E il giornalista: Si ma ce ne sono decina di migliaia massacrati, ogni giorno! E io: Allora se posso testimoniare si potrà raccontare a tutti quello che abbiamo visto!”. “Quando iniziò la guerra la gente si riversò nello stadio. Immaginate la scena dodicimila persone ammassate. C’era questo fumo opprimente, tutto totalmente fuori controllo, divenne ben presto una specie di campo di concentramento. Noi li proteggevamo dalle uccisioni là fuori, ma lì dentro morivano lentamente. C’era un fetore incredibile e si faceva fatica a non vomitare. Sissignore, io sono il comandante di quella missione, ma non per i dieci minuti successivi, ma per il resto della tua vita, per il resto della tua vita ….” “Quando diventavo aggressivo e non ragionavo allora prendevo la macchina e andavo in giro per due o tre ore. Era come per sfidare gli Hutu ad uccidermi … A quel punto capii che la missione era a rischio e me ne dovevo andare insieme ai miei uomini” “I primi anni, tornato in Canada, non riuscivo ancora a capire quello che avevo, era come se fosse iniziata un’altra battaglia … Divenni così silenzioso, non riuscivo a dormire, non riuscivo a sopportare il frastuono del silenzio, il ricordo di quei morti, l’odore. E così sprofondi in una spirale e la spirale si avvita sempre di più … A volte pensai che l’unica soluzione fosse quella di gettarmi con la macchina da un ponte …”. “Sono stato letteralmente travolto da quelle immagini; era come trovarsi in una vasca da bagno e cadi in queste bolle di enorme depressione …”. Il punto più basso il generale Dallaire lo raggiunse quando fu trovato ubriaco disteso sopra la panchina di un parco pubblico. Allora prese la decisione che lo salvò: ritornare in Ruanda e rivivere attraverso un documentario quei terribili momenti. Fu chiamato a testimoniare al processo per il genocidio. Ecco le sue parole che costituiscono l’atto di accusa verso il mondo occidentale: “Signore e signori, il mondo è fatto in modo tale da rendere possibili i genocidi. Le super potenze non sono interessate a voi. Allora erano interessate alla Jugoslavia, secondo il principio per cui in Ruanda  sono tribali è la storia che si ripete. La Jugoslavia è diversa! Sono 400 anni di storia di conflitto delle religioni, di sicurezza europea e poi sono bianchi! Il Ruanda è nero in piena Africa, non c’è nulla di strategico, mi dissero; sono solo delle persone e sono pure troppe! Quindi davanti a voi dico che io, generale Romeo Dallaire, comandante in capo ho fallito di fronte al popolo ruandese fin dal 1994!” Questa è quindi una parte della storia del generale Dallaire tratta dal suo documentario che ho avuto modo di ascoltare su Radio24. La storia di un soldato che ha avuto il coraggio di disobbedire agli ordini superiori pur di salvare delle vite umane con le pochissime risorse che gli erano rimaste. Dallaire divenne il martire morale di quell’orrendo genocidio prendendo sulle sue spalle tutto il peso della trag
edia. Perché l’ha fatto? Il generale Dallaire è profondamente cattolico, ha così potuto attingere nuove forze, la lucidità, il coraggio di piangere ancora oggi sul fatto di aver “stretto la mano al diavolo” e ha testimoniato poi al processo davanti al tribunale di Arusha. Un giorno una suora belga gli disse: “Quello che avete vissuto l’ha vissuto anche il Cristo. Scrivete la vostra storia, per quanto possa essere doloroso per voi, e vedrete che, come il Cristo dopo la crocifissione, anche voi avrete la vostra “Resurrezione”. Per Gesù ci sono voluti 3 giorni, per voi 3 anni!”.Perché ho raccontato questa storia? Perché in realtà nel mondo e nella nostra storia ci sono stati innumerevoli olocausti e genocidi, per motivi razziali, etnici, economici, religiosi ecc. Ma quello che tengo a sottolineare è che comunque ci sono state delle persone che hanno sacrificato la loro vita e tutto quello che avevano per aiutare e salvare molte vittime della Shoah. Non c’è stato solo Oscar Schindler. C’è il partigiano che, nottetempo, fa ubriacare i soldati tedeschi per aprire un varco alla frontiera con la Svizzera e far passare un gruppo di ebrei: ne manda di là a centinaia, finché salva un ex prigioniero inglese; viene perquisito, ha addosso le prove del contatto e lo fucilano.E così innumerevoli altri casi. Anche loro, come il generale Dallaire, debbono essere ricordati nel giorno della Memoria, perché tali fatti non accadano MAI PIU’ …..Un saluto a tuttiVito