IL DUBBIO

La politica che fu, il rinnovamento e la nostra Storia


Ultimamente mi capita spesso di vedere con piacere e, devo ammettere, quasi nostalgia, delle trasmissioni di  politica della cosiddetta Prima Repubblica. Mi ha impressionato moltissimo la puntata della “Storia siamo noi” di Gianni Minoli dedicata ad Amintore Fanfani di cui in questo anno ricorrono i 100 anni dalla nascita. Confesso che i ricordi che avevo del grande uomo politico DC non erano molto completi e per la maggioranza negativi. Chi non ricorda, ad esempio, la sua strenua battaglia per l’abrogazione della legge Fortuna, meglio nota come legge sul divorzio. Ma Fanfani non era solo questo, era molto di più.Si può dire che ha ricoperto tutti i ruoli nell’arco costituzionale, l’unica carica che gli è mancata e che meritava veramente, è stata quella di Presidente della Repubblica: impallinato per ben 2 volte, sapete da chi? Dai suoi amici democristiani.Spesso accusato di far parte della destra della Democrazia Cristiana, un calderone talmente ampio e complesso, capace di far convivere, in perenne lotta tra loro, innumerevoli correnti, fu invece promotore di numerosi interventi di politica sociale che nemmeno con Bertinotti primo ministro si sarebbero potuti fare. Fu lui l’autore del testo dell’articolo 1 della nostra Costituzione: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul Lavoro”.Da ministro, anche per il suo carattere irruente e poco accomodante, fu un vero decisionista. E’ grazie a lui che si deve, in pochissimo tempo, la costruzione di più di 300.000 alloggi di edilizia popolare per gli operai, grandi opere come l’autostrada A1 (chiaramente un pochino spostata verso il suo paese natale, vicino Arezzo …), la nazionalizzazione dell’energia elettrica e l’istituzione degli ammortizzatori sociali, come la cassa integrazione per tutti i lavoratori. Seppe dare veramente all’Italia una politica riformatrice. E’ grazie a lui che la RAI divenne un vero e proprio servizio pubblico con l’istituzione delle Tribune Politiche che, anticipatrici della famosa par-condicio, davano spazio a tutte le forze politiche. Inoltre, dato che a quel tempo in Italia la percentuale di analfabetismo era ancora elevatissima, obbligò la Rai a fare una trasmissione (Non è mai troppo tardi) istituita proprio per insegnare l’italiano agli italiani. Chiaramente fu anche uno dei pochi democristiani che si salvarono dal ciclone Mani Pulite, ma questa è un’altra storia ….Ma perché ho parlato di Fanfani? Ne ho parlato, innanzitutto, come esempio di politica attiva, per la gente, veramente riformatrice e che non guarda in faccia a nessuno. Forse era Fanfani il nostro Sarkozy … Ma anche di come la classe politica, in quel tempo, era indubbiamente diversa nei modi e, forse, anche migliore di quella attuale.Per questo mi ha vagamente colpito l’esclusione dalle candidature del Partito Democratico, per decisione di Veltroni (motivi di età), dell’ottantenne Ciriaco De Mita. Ex segretario DC, uomo di grande intelligenza politica e mente raffinata, designato proprio da Fanfani come suo successore nel corso di un congresso democristiano che dire infuocato sarebbe proprio un eufemismo … Bisogna dirlo, quando parlava De Mita, oltre al suo inconfondibile accento avellinese, colpivano la serietà, l’autorevolezza e la profondità con cui affrontava ogni risposta, sempre molto pacatamente e, soprattutto, senza mai attaccare l’avversario politico di turno, sia stato Craxi o altri.E’ inutile ancora rivangare quello che è successo al Senato dopo la caduta del governo Prodi (sputi, risse, bottiglie e mortadelle volanti …), ma, quello che bisogna dire è che forse la cosiddetta Seconda Repubblica ha partorito una classe politica culturalmente mediocre, arrogante e prevaricativa nei modi.La mia non è nostalgia dei tempi che furono: certo c’era anche il clientelismo, il consociativismo, la corruzione (come se non ci fosse anche adesso …). Ma c’era anche la Politica con la P maiuscola, grazie anche a personaggi che hanno fatto la nostra storia (in ordine alfabetico …): Almirante, Berlinguer, Craxi (nel bene e nel male …), La Malfa, Moro, Spadolini e potrei continuare.Va bene il rinnovamento, il “largo ai giovani”, il “nuovo che avanza”, ma privarsi di De Mita esclusivamente per motivi di età, potrebbe rivelarsi controproducente. Anche perché poi, chi spiega a tutti questi giovani (e ce ne sono parecchi sulle liste del PD, va dato merito a Veltroni) come si fa la vera politica?Nel suo “De Senectute”, Marco Tullio Cicerone racconta di come ci sia la paura per una vecchiaia in cui, oltre al decadimento fisico ed alla paura della morte, si tema anche e soprattutto la perdita della possibilità di intervento politico. Ma a tutto questo si può rimediare con la saggezza, l’autorità ed il tempo che un politico anziano ed esperto può apportare alle giovani generazioni.Da quello che vedo e che leggo nei giornali c’è una gran confusione sul termine “nuovo”. Berlusconi accusa Veltroni di non essere una novità in quanto risulta da 40 anni in politica, mentre lui sarebbe il “nuovo”, visto che è in politica “solo” da 14 anni. Probabilmente però non ha considerato che le minestre riscaldate, a volte, possono risultare molto indigeste. Fortunatamente non l’ha accusato di essere stato comunista, altrimenti saremmo ritornati ancora al clima della discesa in campo del Cavaliere …
Berlusconi poteva dare dei segnali evidenti di rottura con il passato candidando a governatore della Sicilia la Prestigiacomo, la quale poteva validamente competere con la Finocchiaro (già designata dal PD). Due donne valide e capaci dal punto di vista politico, che potevano dare una svolta alla Sicilia dei Cuffaro, dei suoi cannoli e vasa-vasa. Invece è stato scelto Lombardo, che è quanto di più retrogrado possa rappresentare l’autonomismo siciliano di stampo borbonico. Lo stesso dicasi per l’accordo a livello nazionale tra il PD ed il giustizialista e forcaiolo Di Pietro, fatto, probabilmente, per racimolare qualche voto in più dai movimenti dell’antipolitica.Con questo termino il discorso che avevo iniziato nel post precedente relativamente allo sguardo che tutti noi poniamo verso il passato come base di insegnamento per il futuro. Capire la nostra storia, anche quella politica, sarebbe un ottimo viatico per la modesta classe politica e dirigente attuale. E’ vero, abbiamo avuto il Fascismo che ci ha marchiato in maniera indelebile. Poi abbiamo avuto il Partito Comunista più forte dell’Europa Occidentale, mai al governo ufficialmente ma molto dentro alla cultura italiana. Non dobbiamo dimenticarlo, ma nemmeno ritenere “pericolosi ed improponibili” le persone che ne sono uscite, credo in maniera sincera (risposta al mio amico Vito – a_tiv).Oggi, casualmente, sul Corriere della Sera, c’era un articolo di Francesco Alberoni, intitolato “Sapere la Storia (con le date) serve a capire chi siamo” di cui riporto l’ultima parte:Un popolo, una civiltà che dimentica la propria storia perde la propria identità, la propria solidarietà, svanisce. Se gli italiani hanno smesso di insegnare la storia ai loro figli è perché stanno perdendo la fiducia in se stessi, non sono più orgogliosi di ciò che hanno fatto nel passato, non credono più di poter fare cose importanti nel futuro. Chi cancella la sua storia perde la speranza. Solo chi la ritrova, ritrova la speranza.Un saluto a tuttiVito