IL DUBBIO

ELOGIO DEL VINO e ... delle (sue) verità


Dato che oggi è venerdì, per scrollarci di dosso questa cappa di politica italiana, contraddittoria e litigiosa, ho scelto di affrontare un argomento che magari non a tutti piacerà, ma che ben si adatta ad un modo di pensare, di vivere con allegria, ma anche con meditazione.Infatti, per questo post ho preso spunto da un articolo di Massimo Donà, docente di filosofia teoretica ed autore del libro “L’anima del Vino”. A tutti gli effetti un vademecum teorico-pratico per bere un buon bicchiere e degustare con saggezza ed intensità. Secondo l’autore, come per i filosofi dei tempi antichi che ha associato il vino alla complessità e contraddittorietà della natura umana, così anche bere un buon bicchiere è una forma di conoscenza.Qui di seguito qualche stralcio dell’articolo:Il vino dei nostri antenati non doveva essere di ottima qualità; spesso lo si doveva infatti addolcire con il miele. Eppure, sin dall’antichità il vino rappresentò uno straordinario simbolo di iniziazione e di esperienza mistica. Dioniso ne fu il symbolon; in quanto divinità perfettamente adatta a rappresentare la costitutiva doppiezza, o anche, la perfetta ambiguità.Già i Greci, insomma, rimasero affascinati dai poteri di una bevanda che avrebbe svelato con largo anticipo agli umani le abissali profondità che solo qualche secolo più tardi il dottor Freud avrebbe monitorato, svelando molti dei segreti custoditi nella natura essenzialmente inconscia dalla nostra psiche.Non ci si deve stupire se, sin dal suo più lontano inizio, la filosofia finì per riconoscere dalla bevanda tratta dalla vite, una straordinaria immagine dei molteplici problemi connessi alla complessità e alla contraddittorietà dell’umana natura. Già Platone fece del suo eroe, il sileno Socrate, un bevitore accanito, eppur sempre lucido; mai ebbro, cioè, e proprio per questo capace di svelare l’inganno costitutivo rappresentato dall’ebbrezza. Cosa ci insegna dunque Platone in quelle pagine eterne? Cosa insegna cioè la filosofia dell’essere umano, ossia a quel vivente che ama bere, soprattutto perché attratto dall’ebbrezza che la bevanda di Dionisio promette di raggiungere?Socrate ci insegna a non fidarci della promessa pronunciata dal calice, ogni volta che lo si riempie, vuoi di buon Prosecco Veneto, vuoi di buon Chianti Toscano. O meglio, ci insegna a ricordare che tale promessa si presenta con il volto di una maschera ambigua, ingannevole. Perché, se da un lato il calice promette di salvarci da una condizione angusta e in qualche modo opprimente, dall’altro il medesimo non indica affatto un altro stato. O meglio, sembra indicarlo … agli occhi di quell’anelito umano troppo umano che identifica il superamento della condizione mortale e finita, con il raggiungimento di un porto sicuro; con il guadagno di una condizione ebbra, entusiastica, e, in quanto tale, nettamente distinta da quella incerta e sempre fallibile, propria della nostra quotidianità.Ma il fatto è che, come insegna appunto Socrate, la salvezza non è affatto al-di-là dell’inferno in cui saremmo condannati a vivere, in quanto mai sicuri di aver fatto la scelta giusta. Perché al-di-qua e al-di-là indicano piuttosto una contrapposizione che vive ed impera solo in questo nostro mondo, tutto fondato appunto su quella fondamentale legge della ragione che contrappone innanzitutto il vero dal falso … Perciò, guardare al vino come a ciò che consentirebbe una via di fuga da queste astratte opposizioni significa non comprenderne affatto la reale potenza liberatoria. Ché, sotto i fumi dell’alcool, nessuna libertà, nessuna divina verità … vengono di fatto consentite.In sostanza, al vino si deve guardare come a una potentissima chance offerta al nostro bisogno di perfezione. Un bisogno che, sia pure in modi sempre diversi, ha costantemente guidato il fare degli artisti e dei filosofi …D’altronde, produrre un buon vino significa innanzitutto saper conseguire un giusto equilibrio. Quello stesso che proprio gli artisti hanno sempre cercato, attraverso la produzione di sempre nuove nonché divine armonie … e che funge da principio regolativi di ogni grande sistema filosofico, in quanto, dei contrari e degli opposti, dice appunto l’ineludibile condizione di verità …Come rapportarsi, dunque, al tanto amato nettare degli Dèi? Cosa attendersi, insomma, dalla sua densa o trasparente coloritura? Dalla sua fermezza o dal suo frizzante ribollire? Lo sapeva bene già Kierkegaard, che, non a caso, ai protagonisti del suo “In vino veritas” (opera scritta nel 1845) fa pronunciare discorsi sull’amore proferibili solo “dopo aver bevuto tanto da poter avvertire la potenza del vino”, impedendo altresì ai medesimi di contrapporsi l’un contro l’altro armati.Come bere vino, dunque? Con quale spirito, cioè, avviarsi a un’esperienza degustativa che non sia sconsiderata e quindi pericolosa?Innanzitutto, tenendo ben a mente che il segreto, di cui diventeremo in tal modo partecipi, non riguarda affatto qualcosa come una via di fuga verso lidi più felici e magari sicuri … Ma piuttosto la profonda verità che da sempre sostiene e in qualche modo custodisce i nostri deliri. Perché, dalla dura roccia dell’esistenza può sempre anche zampillare il gettito innocente di una inscalfibile ambiguità … che rende già qui, nell’orizzonte della sobria quotidianità, ogni verità sempre anche falsa e ogni falsità sempre anche vera … Tralasciando ora l’ossimoro finale, che rappresenta un classico esempio di quanto i filosofi, come i politici, possano dire qualsiasi cosa e poi il contrario di essa, bisogna dire che, veramente, degustare un buon vino è un atto che va al di là del semplice assaporare e sorseggiare. E’ un atto quasi meditativo. Avrete capito che il vino (buono e soprattutto rosso …) mi piace, anche se non sono né un grande intenditore, ma nemmeno un grande bevitore. Dato che mi piace bere con moderazione, non raggiungo quasi mai quello stato di ebbrezza con cui fare quelle elucubrazioni filosofiche di cui parla l’autore del pezzo di cui sopra. Aggiungo anche che non consiglio a nessuno di farlo: solo bevendo poco, bene e con gli abbinamenti giusti, si riescono ad apprezzare gli aromi ed i profumi di questo nettare divino, senza che sopraggiungano i pericoli dovuti all’abuso di alcool, il quale, aggiungo,   acceca  anche tutti i sapori, oltre che la guida sicura ….Anche la bottiglia vuole la sua parte: infatti, ultimamente, le aziende vitivinicole guardano sempre con maggior attenzione anche all’aspetto esteriore della bottiglia e della cantina in cui essa dovrà essere “sacralmente” custodita. Come le etichette sempre più belle e perfette, disegnate anche da artisti di grido. Per questo mi ha trovato abbastanza sconcertato la produzione di un Prosecco Trevigiano in lattina, come se fosse una bevanda gassata qualsiasi, con la pubblicità della famosa Paris-Hilton (ben nota per i suoi trascor
si, guida senza patente, in stato di ebbrezza …). Andrà bene per il marketing, ma nulla a che vedere con il profumo fruttato ed il sapore inconfondibile che hanno reso famoso il Prosecco nel mondo.Lode al buon vino, dunque: che sia Rosso Piceno Superiore, Rosso Conero, Lacrima di Morro D’Alba, Verdicchio dei Castelli di Jesi, Bianchello del Metauro, Falerio o Pecorino di Offida ecc. ecc.. Ho messo solo vini marchigiani, magari qualcuno è poco conosciuto in Italia, ma un po’ di pubblicità alla mia regione non guasta ….Quindi, care amiche ed amici, auguro a tutti un bel fine settimana con un buon brindisi di ottimo auspicio per un domani migliore! E … mi raccomando, vino buono e moderazione. PS: Ho scoperto, con il metodo delle flessioni consecutive senza fiatone (N° 30 flessioni con 15Kg di sovrappeso), che l’età reale del mio fisico è di 30 anni. Sarà merito del vino? Ancora non ho fatto invece il test per l’età mentale, anche perché penso di stare sui 60. Sarà colpa del vino? Vito