IL DUBBIO

Cina, Olimpiadi, Tibet e modernità ...


Il calvario compiuto dalla Fiamma Olimpica nel corso del suo attraversamento sui principali paesi mondiali, comporta molte considerazioni sulla questione cinese, i diritti umani, il Tibet e le Olimpiadi. Esaminiamo la situazione politica della Cina. Attualmente abbiamo la conferma che il capitalismo, e quindi le libertà economiche, non portano automaticamente alla democrazia. Negli anni ’90, dopo il crollo dei regimi comunisti nell’Est europeo, era molto in voga questo teorema: “Insegniamo loro come arricchirsi e diventeranno anche democratici”. Era questo quello che dicevano i guru dell’economia di mercato. Ma in Russia avvenne che il capitalismo selvaggio portò al caos politico insieme a spaventose disuguaglianze sociali, terreno fertile per la nascita di mafie e consimili. Successivamente Putin ristabilì il tiro con la sua cosiddetta “democrazia controllata”, la quale non è altro che una sorta di apparente libertà con il ferreo controllo da parte dell’esecutivo di tutti i mezzi di informazione ed economici.Ma torniamo alla Cina. Un gigante economico di dimensioni colossali, non solo dal punto di vista demografico. La lunga marcia verso il capitalismo è stata molto più rapida di quella di Mao Tse Toung, ma di democrazia proprio non se ne vede nemmeno l’ombra e lo dimostrano anche le durissime repressioni all’interno del regione del Tibet.Quando, 7 anni fa, il Comitato Olimpico assegnò a Pechino i Giochi 2008, senza incontrare l’opposizione dei governi occidentali, il Tibet era già comunque nella stessa situazione odierna. Era già in atto la repressione dei costumi, della cultura e della religione dei tibetani, con il Dalai Lama che batteva le strade del mondo in cerca di solidarietà. Come esporrò successivamente, tali atteggiamenti cinesi sono in parte dovuti anche alla spinta di modernizzazione di una regione ancora arcaica e medievale.A quel tempo, quindi, la Cina era già sul banco degli imputati per le sue reiterate violazioni dei diritti umani, ma fu anche una scommessa: se tutto fosse andato secondo le intenzioni, le Olimpiadi avrebbero aperto varchi virtuali nella Grande Muraglia del regime comunista, scuotendo l’ordine precostituito, l’isolamento interno, con una spinta verso la democratizzazione che l’economia capitalistica non era riuscita ad innescare.Fino ad ora, purtroppo, tutto ciò non è avvenuto. Probabilmente è stato un errore assegnare alla Cina una sorta di cambiale in bianco visto anche le repressioni in corso in Tibet. Se vogliamo usare un eufemismo è stata una cambiale in bianco con una scommessa che si è tinta di rosso. Ma ormai è inutile stare a stracciarsi le vesti e piangere sul latte versato. Tornare indietro non è realistico, ma non solo per i colossali interessi in gioco e l’occasione della vita di migliaia di atleti. Non si può e non si deve in quanto, oltre all’inasprimento dei rapporti con un colosso mondiale, si rischierebbe una chiusura ed una intolleranza ancora maggiore, ferendo in questo modo la coscienza ed il sentimento patriottico di centinaia di milioni di persone.E’ solo con il doppio binario del dialogo e delle pressioni da parte occidentale che si potrà sperare di riuscire a scalfire una realtà, come quella della repressione tibetana, che a noi sembra così inaccettabile. E proprio a riguardo del Tibet volevo fare qualche considerazione, in quanto, come dice il mio amico Paolo (bil37), a volte, non tutto è come sembra. Tralasciamo per il momento tutto l’interrogativo storico, se il Tibet sia stato sempre indipendente oppure ha sempre fatto parte della Cina, perché passa in secondo piano. Ci sono degli aspetti che credo a molti di noi sono sfuggiti, soprattutto dal punto di vista mediatico. Innanzitutto i monaci tibetani, contrariamente a quanto tutti noi pensiamo, non sono proprio cultori della “non violenza” e ne hanno dato la prova con la loro furia devastatrice che ha colto di sorpresa anche le forze di polizia cinesi, all’inizio disarmate. Inoltre la loro rivolta, come testimoniano molte immagini, non era diretta solo contro i cinesi, ma anche contro una classe emergente di tibetani che stanno sfruttando i vantaggi, non solo economici, della modernizzazione portata dalle autorità Cinesi.D’altro canto il Dalai Lama ha sempre affermato che non vuole l’indipendenza, ma si accontenterebbe di un Tibet autonomo, sempre soggetto all’autorità politica di Pechino, ma libero, al tempo stesso di coltivare le proprie tradizioni culturali, religiose con annessi stili di vita. Praticamente un regime stile teocratico/arcaico/feudale. Ed è proprio per questo che la Cina ha sempre considerato il Tibet una insopportabile anomalia ed ha fatto del suo meglio, o del suo peggio, per alterare la composizione demografica della regione favorendo l’insediamento, in un territorio enorme ma scarsamente popolato, di una nuova popolazione di etnia “han”.
Fino a qualche decennio fa non c’erano grossi problemi di coesistenza tra le due realtà. Poi quando lo sviluppo economico cinese ha creato  turismo, commercio ed iniziative industriali sono cominciate le schermaglie che si sono poi trasformate in agitazioni anti-cinesi. Le quali sono state amplificate per la cassa di risonanza delle prossime Olimpiadi che ha associato in brevissimo tempo l’equazione cinesi=cattivi contro tibetani=buoni.A proposito di quanto sopra, ho letto ultimamente un articolo di Sergio Romano, editorialista del Corriere della Sera ed ex ambasciatore, che termina in questo modo:“ …Quello a cui abbiamo assistito, in altre parole, non è, se non in parte, uno scontro tra democrazia e dittatura. E’ anche il segno di una frattura sociale che si è aperta all’interno della società tibetana. Non è necessario essere marxisti o anticlericali per osservare che la Cina recita in questa faccenda, sia pure con i modi intolleranti di un regime autoritario, la parte della modernità e che i monaci, come si sarebbe detto una volta, quella della reazione”.Circa 10 anni fa il Dalai Lama, a chi gli chiedeva se era giusto che il Pakistan e l’India si dotassero dell’arma atomica, rispondeva che “era giusto in quanto i paesi più deboli si devono difendere …”. Non dimentichiamo che a Tenzin Gyatzo, nel 1989 era stato consegnato il Nobel per la Pace … Ho scritto tutto questo perché, come vedete, la questione Tibetana è molto più complessa di quanto si legga in giro. E’ giusto, per carità, dare la massima solidarietà al popolo tibetano ed ai monaci ed essere loro vicino nella loro causa, come vedo anche su molti blog di denuncia.Molto stranamente però tali manifestazioni non ci sono state nei molteplici casi di persecuzioni dei cristiani, non solo nella Cina, ma nel mondo intero. Ancora stranamente non ci sono personaggi famosi e dello spettacolo, come Richard Gere per il Tibet, che perorano la loro causa.E’ molto strano tutto ciò. Sarà forse che il buddismo va di moda tra i VIP e la Cina è diventata, a torto o a ragione, la madre di tutte le nostre disgrazie?Un saluto e buon fine settimana a tutti.Vito