IL DUBBIO

Il 25 Aprile ed il valore della Libertà ....


Domani, 25 Aprile, si festeggerà il 63° anniversario della fine della 2° Guerra Mondiale e liberazione dell’Italia dall’occupazione nazi-fascista. Tralasciando ogni frase retorica o di circostanza, resterebbe da capire se effettivamente questa festa è un patrimonio condiviso ed accettato da tutti oppure appartiene solo ad una parte politica che se ne è appropriata in maniera indebita. Sono oramai anni che tale ricorrenza si svolge tra le polemiche, dibattiti e tante incertezze sulla ricostruzione storica di come si sono svolti realmente i fatti.Va molto di moda, ultimamente, parlare di “guerra civile” per identificare la Resistenza partigiana come di una combattimento solo tra italiani, come nella guerra civile spagnola. In realtà questo paragone non regge in quanto ci fu comunque uno scontro tra soldati e combattenti italiani contro gli invasori tedeschi fiancheggiati dai repubblichini fascisti della Repubblica di Salò. Il grosso guaio è anche che la Storia viene fatta dai vincitori, quindi, per molti anni sono stati tenuti nascosti gli innumerevoli eccidi compiuti dai partigiani comunisti, anche dopo il 25 Aprile, nel cosiddetto “triangolo della morte” e la tragedia delle foibe.Bisogna anche dire, ad onor del vero, che con l’equiparazione delle parti non si fa un buon servizio né alla storia e né al cittadino. E’ stato Mussolini, e con lui il fascismo, che ci ha portato ad una alleanza con Hitler, osteggiata anche negli ambienti vicini al Duce, ed a quella guerra disastrosa, prevedibilissima negli esiti visto la scarsa preparazione ed equipaggiamenti obsoleti del nostro esercito.Ma in realtà sono stati pochissimi quelli che hanno analizzato con vera obiettività quei fatti senza essere accusati di “revisionismo storico e reazionario”.. Il “revisionismo” è stata sempre l’accusa rivolta a chi, nel bene o nel male, ha cercato di studiare ed approfondire dei fenomeni storici che nel tempo rischiavano di diventare solo simbolo della retorica nazionale della Repubblica nata dalla Resistenza. La resistenza partigiana non fu un fenomeno di massa e non lo poteva nemmeno essere visto anche il consenso che aveva avuto la dittatura fascista, costruita soprattutto sul culto di una personalità forte quanto ambigua come era quella di Benito Mussolini. A tal riguardo ci si è sempre domandati del fatto se il periodo del ventennio fascista fosse da considerarsi come uno Stato totalitario o meno. Ho letto un’intervista, sul Corriere della sera, dello storico Giovanni Sabbatucci che parla del fascismo come “totalitarismo imperfetto”, a differenza del nazismo hitleriano e del comunismo staliniano. Qual è il motivo? Semplice, anche se c’era una forte spinta, gli ostacoli alla piena attuazione della dittatura furono molto forti, a cominciare dalla monarchia e dalla chiesa cattolica. Uno Stato in cui ad un certo punto il re può chiamare i carabinieri e far arrestare il Duce non si può definire pienamente totalitario. C’era effettivamente molta differenza con la Germania nazista e l’Unione Sovietica., in cui i regimi controllavano e pervadevano ogni singolo apparato della nazione. Ma con questo non voglio assolutamente sminuire quello che fu comunque una dittatura che distrusse le libertà personali, di opinione e fece delle leggi razziali la sua più abietta e vergognosa imitazione del regime nazista.La Resistenza al fascismo fu quindi molto particolare e composita nelle sue espressioni. Le sue radici stavano nella ventennale opera di opposizione condotta in Italia e fuori dall’Italia da una minoranza di uomini e donne di idee politiche molto diverse che l’avversione alla dittatura fascista aveva finito per avvicinare. Fu anche una sorta di riscatto che contribuì alla nascita del nostro stato democratico e della nostra tanto bistrattata Costituzione. Togliendo i gruppi di più chiara ispirazione marxista, fu anche ispiratrice di libertà: un valore che era scomparso da molti anni e che ancora noi italiani non riusciamo appieno ad apprezzare. A tal proposito riporto una riflessione di Mons. Ravasi:“Il mondo intero aspira alla libertà, eppure ogni creatura ama le sue catene. Questo è il primo paradosso e il nodo inestricabile della nostra natura. La libertà non è una cosa che si possa dare; la si deve conquistare e ciascuno è libero quanto vuole esserlo”La festa nazionale della Liberazione mi spinge a riflettere su uno dei temi capitali dell'essere persona, quello appunto della libertà. Lo faccio con due note di autori molto diversi tra loro, che ebbero però nella loro vita una fase di lotta per questa preziosa realtà umana. Il primo è Sri Aurobindo (1872-1950), maestro spirituale indiano che combatté per l'indipendenza del Bengala e che poi si dedicò a integrare l’induismo con la psicanalisi occidentale. Il paradosso che egli segnala nella sua opera “Prospettive e pensieri” è indiscutibile: molti hanno la bocca piena della parola “libertà”, ma contemporaneamente condizionano sottilmente gli altri in mille modi e forse essi stessi sono vincolati dalle catene dell'avere, dell'egoismo, del successo, del vizio. E' per questo che l'altro autore, lo scrittore afro-americano James Baldwin (1924-1987), che si era battuto per i diritti civili delle minoranze negli Usa, dichiara nell'opera “Nessuno sa il mio nome” che la libertà deve essere pazientemente conquistata attraverso una liberazione che parte dalle coscienze. Ci può essere, infatti, uno stato esteriore di autonomia che non ha però riscontro nell'anima e nella volontà della persona. Non per nulla è proprio nelle democrazie che a un tasso alto di libertà politica non corrisponde un'altrettanta qualità interiore di indipendenza perché mille sono i condizionamenti subdoli che ottundono la mente e la volontà, il pensiero e le scelte profonde. 
Aggiungo quindi che la libertà non è data una volta per tutte, ma deve essere plasmata ogni giorno e non solo come un fatto esteriore. Ne ho parlato anche in un mio vecchio post in cui ritenevo e ritengo ancora che il valore della libertà dovrebbe essere coltivato ed insegnato, soprattutto a scuola come educazione civile e civica, come senso di rispetto, di fratellanza, di pace e soprattutto di valore condiviso tra noi Italiani.Sarebbe veramente utile che anche tutti i leader politici italiani, Berlusconi e Veltroni in testa, festeggiassero insieme questa giornata del 25 Aprile, come superamento delle divisioni ideologiche e condivisione dei valori comuni.Ma, purtroppo, è solo e rimarrà semplice utopia.Quindi, amiche ed amici cari, auguro a tutti voi un sereno e LIBERO 25 AprileVito