Dopo le vacanze a Cortina (vacanze di destra o di sinistra?), ritemprato (quasi), riposato (non molto), sicuramente alleggerito (in tutti i sensi ....), ricominciamo ad affrontare i soliti argomenti di attualità / politica.Come diceva una volta Lubrano, la domanda del titolo sorge spontanea … Infatti, dopo il recente congresso di Rifondazione Comunista che ha praticamente spaccato in due il partito, ci si chiede effettivamente se, in Italia, abbia ancora un senso questa definizione.Nel caso del congresso di Chianciano, a mio modo di vedere, con l’elezione di Ferrero a segretario e la sconfitta di Vendola, si è ristabilita una certa vena nostalgica di alcuni vecchi comunisti ancora gelosi di quella identità. Resta da vedere però se anche la definizione di “comunista”, nel terzo millennio, in un mondo che è profondamente cambiato dai tempi della rivoluzione russa del 1917, può assumere ancora un valore di cui andare fieri oppure rimane solo un termine anacronistico fatto solo per riempirsi la bocca tra parole ed ideali di un passato oramai morto e sepolto.Nel caso italiano, il termine comunista, ha rappresentato, fino alla fine degli anni 80, l’appartenenza ad un partito in cui convivevano tantissime anime, spesso in contrasto tra di loro, come nella vecchia DC. Quel partito, nel bene e nel male, ha fatto la storia dell’Italia del dopoguerra.E’ vero, non c’è mai stata una vera e propria abiura del passato con i rapporti con l’Unione Sovietica che si sono sempre trascinati tra alti e bassi, ma non è mai stata messo in discussione il rispetto delle istituzioni democratiche da parte di uomini come Longo, Berlinguer, Natta, Occhetto e tanti altri. Togliatti, invece, è stata una figura molto più ambigua, ma non dimentichiamo che, quando fu ministro della Giustizia nel primo governo di unità Nazionale, dette un contributo alla pacificazione con l’amnistia a tutti gli ex fascisti.Ma ora, con la gran parte degli ex-comunisti confluiti nel Partito Democratico e tutta la sinistra estrema fuori dal parlamento dopo un disastroso risultato elettorale, può essere ancora verosimile che un partito si definisca “comunista”?Riporto qui di seguito un bell’articolo di Riccardo Barenghi, sulla Stampa, che descrive molto bene la situazione tragica della sinistra nel nostro Paese: La storia non finisce mai, ma a volte mette la retromarcia. Una retromarcia così vistosa, così rapida, così spericolata che l’automobile potrebbe anche sbattere irrimediabilmente contro un muro. Questo rischia di accadere a Rifondazione comunista, vista la conclusione del congresso di Chianciano. Oppure, già che siamo in clima comunista (molto comunista), possiamo anche parafrasare Lenin e dire che il partito che fino a ieri è stato di Bertinotti, e che da oggi è di Paolo Ferrero, fa un passo indietro per farne altri due indietro.La sconfitta di Nichi Vendola, che pure aveva ottenuto la maggioranza relativa ma non quella assoluta necessaria per diventare segretario, è una sconfitta che significa la cancellazione di tutto quello che è stato - nel bene e nel male - il partito guidato da Bertinotti. Con le sue svolte culturali e politiche, la rottura con la tradizione comunista più ortodossa, la scelta della non violenza, i rinculi movimentisti e a volte estremisti, ma anche la decisione di allearsi con il centrosinistra per tentare addirittura l’avventura del governo (avventura però fallita). Una sconfitta che cancella anche qualsiasi ipotesi di alleanze future, dal Pd a quel che resta della sinistra radicale (tranne forse con i comunisti duri e puri di Diliberto). Niente di tutto questo, la Rifondazione di Ferrero sarà un partito autarchico, molto identitario (dove l’identità sta nell’essere comunisti, che poi nessuno è ancora riuscito a spiegare che diavolo significhi nel terzo millennio), che non guarda la sfera della politica ma passa oltre per immergersi nel «bagno purificatore» del sociale e magari del giustizialismo di Di Pietro, che con la tradizione rifondarola non c’entra nulla «ma che almeno fa opposizione». Un partito che riscopre antiche parole d’ordine, slogan e inni che solo a sentirli non fanno venire nostalgia di un passato remoto ma glorioso, semmai provocano la sensazione sgradevole di non sapere più dove si sta, in che mondo si vive, in quale periodo storico. E soprattutto per fare che (ancora Lenin), con chi, quando, come...Un tuffo all’indietro, insomma, a occhi chiusi e senza neanche sapere se sotto c’è un po’ d’acqua. Non indirizzato verso la tradizione comunista italiana, insomma il Pci, ma molto più modestamente ai quei gruppi extraparlamentari degli anni Settanta (e pure a quelli meno innovativi) che se non funzionarono allora, figuriamoci oggi. Mettendo oltretutto insieme pezzi sparsi che non c’entrano nulla l’uno con l’altro, vecchi militanti di Democrazia proletaria (appunto Ferrero e Russo Spena) con uomini nati e cresciuti nel Pci e poi nella Rifondazione cossuttiana (Grassi e Burgio), improbabili trotzkisti e comunisti anti-imperialisti, qualche scampolo stalinista. Una maggioranza fatta ad hoc, costruita artificialmente per battere Vendola, Giordano, Bertinotti.I quali escono da questo congresso non solo sconfitti ma anche increduli, come se avessero scoperto solo oggi che genere di partito è il loro (o forse era, chissà quanto resisteranno lì dentro). E qui una qualche responsabilità dell’ex leader e di tutti quelli che per quattordici anni hanno gestito Rifondazione non manca, anzi. Cosa facevano, dove guardavano, chi pensavano di rappresentare mentre il loro partito gli si trasformava sotto gli occhi, cambiando così radicalmente natura? Un accenno di autocritica (altro concetto caro al comunismo storico) sarebbe stato gradito. Purtroppo non c’è stato.Qualche giorno fa Silvio Berlusconi aveva detto, con una certa enfasi, che il suo governo ha fatto e sta per fare “cose di sinistra”. Non avrebbe nemmeno tutti i torti, visto che misure come l’abolizione dell’ICI sulla prima casa, la Robin Tax, e la Social-card per gli indigenti, potrebbero proprio essere definite in favore delle classi più deboli (propaganda a parte ….).Ma se anche Bertinotti, nel corso del suo intervento, ha constatato amaro che la sinistra non c’è più e va ricostruita dalle fondamenta, allora vuol dire che anche il concetto stesso di sinistra si è fatto talmente vago ed impalpabile da conferire legittimità ai paradossi di Berlusconi, i quali saranno pure propaganda, ma testimoniano una crisi che sarà difficile da superare se non con una “lunga marcia” attraverso tutte le tappe storiche, comprese quelle del movimento operaio, che ora sembra quasi esclusivamente appannaggio della destra.Dispiace dirlo, anche per la mia appartenenza al centro-sinistra, ma, in questo momento, nel bene e nel male, è proprio la destra che sta dimostrando coesione e proposte concrete. Potranno magari non piacere (interessi personali nella giustizia da parte del Cavaliere) ma c’è volontà e decisione, al contrario della rissosità dell’opposizione (PD e Italia dei Valori) e della disgregazione della sinistra ex comunista.
ESISTE ANCORA UNA SINISTRA IN ITALIA?
Dopo le vacanze a Cortina (vacanze di destra o di sinistra?), ritemprato (quasi), riposato (non molto), sicuramente alleggerito (in tutti i sensi ....), ricominciamo ad affrontare i soliti argomenti di attualità / politica.Come diceva una volta Lubrano, la domanda del titolo sorge spontanea … Infatti, dopo il recente congresso di Rifondazione Comunista che ha praticamente spaccato in due il partito, ci si chiede effettivamente se, in Italia, abbia ancora un senso questa definizione.Nel caso del congresso di Chianciano, a mio modo di vedere, con l’elezione di Ferrero a segretario e la sconfitta di Vendola, si è ristabilita una certa vena nostalgica di alcuni vecchi comunisti ancora gelosi di quella identità. Resta da vedere però se anche la definizione di “comunista”, nel terzo millennio, in un mondo che è profondamente cambiato dai tempi della rivoluzione russa del 1917, può assumere ancora un valore di cui andare fieri oppure rimane solo un termine anacronistico fatto solo per riempirsi la bocca tra parole ed ideali di un passato oramai morto e sepolto.Nel caso italiano, il termine comunista, ha rappresentato, fino alla fine degli anni 80, l’appartenenza ad un partito in cui convivevano tantissime anime, spesso in contrasto tra di loro, come nella vecchia DC. Quel partito, nel bene e nel male, ha fatto la storia dell’Italia del dopoguerra.E’ vero, non c’è mai stata una vera e propria abiura del passato con i rapporti con l’Unione Sovietica che si sono sempre trascinati tra alti e bassi, ma non è mai stata messo in discussione il rispetto delle istituzioni democratiche da parte di uomini come Longo, Berlinguer, Natta, Occhetto e tanti altri. Togliatti, invece, è stata una figura molto più ambigua, ma non dimentichiamo che, quando fu ministro della Giustizia nel primo governo di unità Nazionale, dette un contributo alla pacificazione con l’amnistia a tutti gli ex fascisti.Ma ora, con la gran parte degli ex-comunisti confluiti nel Partito Democratico e tutta la sinistra estrema fuori dal parlamento dopo un disastroso risultato elettorale, può essere ancora verosimile che un partito si definisca “comunista”?Riporto qui di seguito un bell’articolo di Riccardo Barenghi, sulla Stampa, che descrive molto bene la situazione tragica della sinistra nel nostro Paese: La storia non finisce mai, ma a volte mette la retromarcia. Una retromarcia così vistosa, così rapida, così spericolata che l’automobile potrebbe anche sbattere irrimediabilmente contro un muro. Questo rischia di accadere a Rifondazione comunista, vista la conclusione del congresso di Chianciano. Oppure, già che siamo in clima comunista (molto comunista), possiamo anche parafrasare Lenin e dire che il partito che fino a ieri è stato di Bertinotti, e che da oggi è di Paolo Ferrero, fa un passo indietro per farne altri due indietro.La sconfitta di Nichi Vendola, che pure aveva ottenuto la maggioranza relativa ma non quella assoluta necessaria per diventare segretario, è una sconfitta che significa la cancellazione di tutto quello che è stato - nel bene e nel male - il partito guidato da Bertinotti. Con le sue svolte culturali e politiche, la rottura con la tradizione comunista più ortodossa, la scelta della non violenza, i rinculi movimentisti e a volte estremisti, ma anche la decisione di allearsi con il centrosinistra per tentare addirittura l’avventura del governo (avventura però fallita). Una sconfitta che cancella anche qualsiasi ipotesi di alleanze future, dal Pd a quel che resta della sinistra radicale (tranne forse con i comunisti duri e puri di Diliberto). Niente di tutto questo, la Rifondazione di Ferrero sarà un partito autarchico, molto identitario (dove l’identità sta nell’essere comunisti, che poi nessuno è ancora riuscito a spiegare che diavolo significhi nel terzo millennio), che non guarda la sfera della politica ma passa oltre per immergersi nel «bagno purificatore» del sociale e magari del giustizialismo di Di Pietro, che con la tradizione rifondarola non c’entra nulla «ma che almeno fa opposizione». Un partito che riscopre antiche parole d’ordine, slogan e inni che solo a sentirli non fanno venire nostalgia di un passato remoto ma glorioso, semmai provocano la sensazione sgradevole di non sapere più dove si sta, in che mondo si vive, in quale periodo storico. E soprattutto per fare che (ancora Lenin), con chi, quando, come...Un tuffo all’indietro, insomma, a occhi chiusi e senza neanche sapere se sotto c’è un po’ d’acqua. Non indirizzato verso la tradizione comunista italiana, insomma il Pci, ma molto più modestamente ai quei gruppi extraparlamentari degli anni Settanta (e pure a quelli meno innovativi) che se non funzionarono allora, figuriamoci oggi. Mettendo oltretutto insieme pezzi sparsi che non c’entrano nulla l’uno con l’altro, vecchi militanti di Democrazia proletaria (appunto Ferrero e Russo Spena) con uomini nati e cresciuti nel Pci e poi nella Rifondazione cossuttiana (Grassi e Burgio), improbabili trotzkisti e comunisti anti-imperialisti, qualche scampolo stalinista. Una maggioranza fatta ad hoc, costruita artificialmente per battere Vendola, Giordano, Bertinotti.I quali escono da questo congresso non solo sconfitti ma anche increduli, come se avessero scoperto solo oggi che genere di partito è il loro (o forse era, chissà quanto resisteranno lì dentro). E qui una qualche responsabilità dell’ex leader e di tutti quelli che per quattordici anni hanno gestito Rifondazione non manca, anzi. Cosa facevano, dove guardavano, chi pensavano di rappresentare mentre il loro partito gli si trasformava sotto gli occhi, cambiando così radicalmente natura? Un accenno di autocritica (altro concetto caro al comunismo storico) sarebbe stato gradito. Purtroppo non c’è stato.Qualche giorno fa Silvio Berlusconi aveva detto, con una certa enfasi, che il suo governo ha fatto e sta per fare “cose di sinistra”. Non avrebbe nemmeno tutti i torti, visto che misure come l’abolizione dell’ICI sulla prima casa, la Robin Tax, e la Social-card per gli indigenti, potrebbero proprio essere definite in favore delle classi più deboli (propaganda a parte ….).Ma se anche Bertinotti, nel corso del suo intervento, ha constatato amaro che la sinistra non c’è più e va ricostruita dalle fondamenta, allora vuol dire che anche il concetto stesso di sinistra si è fatto talmente vago ed impalpabile da conferire legittimità ai paradossi di Berlusconi, i quali saranno pure propaganda, ma testimoniano una crisi che sarà difficile da superare se non con una “lunga marcia” attraverso tutte le tappe storiche, comprese quelle del movimento operaio, che ora sembra quasi esclusivamente appannaggio della destra.Dispiace dirlo, anche per la mia appartenenza al centro-sinistra, ma, in questo momento, nel bene e nel male, è proprio la destra che sta dimostrando coesione e proposte concrete. Potranno magari non piacere (interessi personali nella giustizia da parte del Cavaliere) ma c’è volontà e decisione, al contrario della rissosità dell’opposizione (PD e Italia dei Valori) e della disgregazione della sinistra ex comunista.