IL DUBBIO

Elucubrazioni varie sulla MORTE ....


Visto il periodo molto vacanziero, ecco un bell’argomento leggero, frivolo e tranquillo che ci può rilassare, magari sulla spiaggia o sorseggiando un bel margarita ghiacciato. Sto scherzando, naturalmente … Ma è meglio che parlare di politica, olimpiadi, Cina, diritti umani, Tibet ecc ... O no?La domanda è questa: “E’ brutto morire?”. Certo che è brutto, anzi bruttissimo … Ma … possiamo farci qualcosa? La risposta è semplice: No! Però, leggendo qualcosa di Epicuro, filosofo ateniese (341 – 271 a.C.), ci sono delle argomentazioni interessanti su come affrontarla.Si tratta in pratica di considerare che noi siamo vivi, e che dunque, sino a che ci siamo noi, non c’è la morte. Poi la morte arriva, ma noi, per l’appunto, non ci siamo più: dunque, perché preoccuparci di qualcosa che c’è solo quando non ci siamo noi?  [...] Abítuati a pensare che nulla è per noi la morte, poiché ogni bene e ogni male è nella sensazione, e la morte è privazione di questa. Per cui la retta conoscenza che niente è per noi la morte rende gioiosa la mortalità della vita; non aggiungendo infinito tempo, ma togliendo il desiderio dell’immortalità. Niente c’è infatti di temibile nella vita per chi è veramente convinto che niente di temibile c’è nel non vivere piú. Perciò stolto è chi dice di temere la morte non perché quando c’è sia dolorosa ma perché addolora l’attenderla; ciò che, infatti, presente non ci turba, stoltamente ci addolora quando è atteso. Il piú terribile dunque dei mali, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte noi non siamo piú. Non è nulla dunque, né per i vivi né per i morti, perché per i vivi non c’è, e i morti non sono piú. Ma i piú, nei confronti della morte, ora la fuggono come il piú grande dei mali, ora come cessazione dei mali della vita la cercano. Il saggio invece né rifiuta la vita né teme la morte; perché né è contrario alla vita, né reputa un male il non vivere. E come dei cibi non cerca certo i piú abbondanti, ma i migliori, cosí del tempo non il piú durevole, ma il piú dolce si gode. Chi esorta il giovane a viver bene e il vecchio a ben morire è stolto, non solo per quel che di dolce c’è nella vita, ma perché uno solo è l’esercizio a ben vivere e ben morire. Peggio ancora chi dice: “bello non esser nato, ma, nato, passare al piú presto le soglie dell’Ade”.Quindi, per Epicuro, il problema non è tanto il fatto di dover morire, ma la paura della morte, quel sentimento che tanto ci turba e ci impedisce la serenità interiore. Con la soluzione “Quando ci siamo noi non c’è la morte e viceversa” ci si può liberare da questa paura?Certo, non è una bella consolazione. Noi non ci saremo più, non vedremo più i nostri cari, le persone amate, gli amici. Oppure anche di non mangiare più i nostri cibi ed i nostri vini preferiti. Ma almeno ci liberiamo dall’ossessione che dopo la morte ci aspettino chissà quali orrori. Anzi, con un po’ di sarcasmo, direi pure che ci liberiamo dalle code in autostrada, dai talk-show stile Bruno Vespa, dalle battutacce di Berlusca, dalle estenuanti attese in linea con i call-center.Comunque viene da pensare di come ci sia una differenza abissale tra la concezione della morte nell’antica Grecia e la nostra nella società odierna con radici giudaico-cristiani.L’idea della morte nella società occidentale è quella del peggiore di tutti i mali possibili, la fine di tutto, l’angoscia che ci prende per la paura che essa provoca. Ma l’aiuto ci dovrebbe arrivare dalla religione cristiana la quale, presupponendo una vita dopo la morte, ci fa avere speranza nel dopo la fine di tutto. E’ quindi una speranza ultraterrena, sull’esempio di Gesù Cristo, morto sulla croce e poi risorto. La Fede è un dono, un conforto che consente a chi ce l’ha di superare tutte le nostre paure.Ci sarebbe un piccolo problema riguardante l’Inferno, il quale è una idea dell’eterna condanna che un po’ contraddice il concetto che Dio è amore, come è amore quello che Gesù ha dimostrato verso il genere umano con il suo sacrificio. Ma è meglio lasciar perdere visto che, ultimamente, i concetti di Inferno, Giudizio Universale ecc. sono stati molto riconsiderati da parte della Chiesa Cattolica.Non dimentichiamo, inoltre, che la morte ha avuto un ruolo fondamentale nel pensiero filosofico moderno, così come la vita. Ad esempio Feuerbach scrisse: “Sarà di noi dopo la nostra morte lo stesso che già è stato prima della nostra nascita. La morte non è una fine parziale, ma totale. La morte non è un annientamento positivo, bensì un annientamento che annienta se stesso, un annientamento che di per se stesso è niente, nulla. La morte è di per se stessa la morte della morte; col finire della vita finisce ella stessa, muore per la sua propria mancanza di senso e contenuto. Solo per gli altri l’individuo cessa di essere, non per se stesso; la morte è morte solo per coloro che vivono, non per coloro che muoiono. Ciò che nega l’esistenza stessa non ha di per se stesso esistenza”.Ancora Spinosa: “Un uomo libero pensa alla propria morte meno che a qualsiasi altra cosa; e la sua saggezza è una meditazione, non sulla morte, ma sulla vita”.Da queste citazioni si potrebbe pensare che non sono propriamente un cattolico allineato e coperto, come d’altron
de in molte altre cose. Ma, probabilmente, l’idea della morte di molti filosofi non credenti aiuta a superare molte delle angosce e delle paure che la religione ci imporrebbe.La conclusione è quindi che, comunque vada, di “coltivare il proprio giardino”, senza pensare a cosa ci capiterà prima o dopo la nostra fine, anche perché, come ha scritto Seneca “POST MORTEM NIHIL EST”.Un saluto a tuttiVito