IL DUBBIO

LA CORDATA SPEZZATA ...


Non è mia abitudine e né mio carattere sollevare il classico “l’avevo detto io come andava a finire!”, ma visto come sono andate le cose (ritiro della cordata di imprenditori per l’acquisto di Alitalia con conseguente rischio di fallimento), riporto un mio vecchio post di Aprile che avevo fatto dopo che Air-France si era ritirata dalla gara di acquisto di Alitalia a causa dell’ostilità dei sindacati ma anche dell’attuale premier, il quale nel suo slancio patriottico (sic! Ma come … sta pure con la Lega …), aveva affermato che la compagnia aerea doveva rimanere italiana: “Ghe pens mi” come affermerebbe un qualsiasi imprenditorucolo della Brianza, ma forse stavolta la faccenda era più grande delle sue note ed indubbie capacità taumaturgiche (Unto del Signore!!?): Crisi Alitalia: ma occorre veramente un Esorcista?La frase l’ho estrapolata dalla lettera dell’ex amministratore delegato di Alitalia ai dipendenti, in cui oltre ad auspicare uno scatto d’orgoglio di tutti i lavoratori, anche nello sfacelo della crisi attuale, parlava che altrimenti, per risolvere la ormai decennale questione, occorreva il personaggio diventato famoso per il film di Friedkin.Volevo comunque analizzare la situazione attuale, con l’azienda sull’orlo del fallimento, comprendere le cause che l’hanno portata a ciò e cercare di capire quale potrebbe essere la soluzione migliore pur non essendo un esperto in materie prettamente economiche.Nel caso dell’Alitalia le cause sono molteplici, ma rappresenta lo specchio del nostro Paese, capace di formidabili spunti di forza e genialità quando si tratta di imprenditoria privata, ma anche di clamorose defaillance quando la politica ed i sindacati influenzano pesantemente le scelte di una azienda. E’ un sistema Paese che non funziona: non è ammissibile che per mere ragioni clientelari si gonfi un’azienda a dismisura, tale da non renderla più competitiva sul mercato ed allo stesso tempo da parte sindacale si rifiuti qualsiasi tentativo di ristrutturazione aziendale. Quando si parla dei costi della politica bisogna tener presente che a questi non contribuiscono solo gli stipendi di deputati, senatori e tutto il circondario. Ma anche le assunzioni clientelari fatte dalla politica per assicurarsi il consenso. L’altra grossa anomalia in Alitalia è il sindacato dove molteplici e fantomatiche sigle, ognuna con lo scopo di difendere ogni categoria dei lavoratori, si arroga il diritto di immobilizzare ogni trattativa ed ogni tentativo di ristrutturare l’azienda. Sappiamo benissimo che un’azienda che non si ristruttura in maniera efficace, nella globalizzazione dei servizi, risulta poi non essere più in grado di competere sul mercato internazionale.Contrariamente a quanto si pensi poi, i dipendenti Alitalia, non sono i più pagati in Europa, avendo infatti retribuzioni mediamente inferiori del 20 % rispetto ai loro colleghi delle altre compagnie. Sono però i meno produttivi; è sintomatico il caso della sezione cargo in cui per soli 5 aerei da trasporto, sono in turnazione ben 110 piloti ….Riporto qui sotto un articolo di Piero Ostellino, opinionista del Corriere della Sera, relativo alla scorsa settimana, nel giorno della rottura delle trattative tra Air-France  e sindacati.L’ abbandono, da parte di Air France-Klm, della trattativa per Alitalia, a causa del massimalismo dei sindacati, è la plastica rappresentazione del fallimento del nostro sistema di relazioni industriali. È stato il giorno nero dei sindacati. Per anni, in nome dell’occupazione, avevano retto la coda al malcostume politico di gonfiare gli organici della compagnia di bandiera per ragioni clientelari. Il malcostume politico aveva retto la coda ai sindacati pompando soldi dei contribuenti nell’azienda per tenerli buoni. Una volta al tavolo delle trattative, i sindacati non solo hanno mantenuto la linea di sempre; hanno offerto lo spettacolo di un tasso di litigiosità e di un livello di divisioni fra loro, nonché di inadeguata capacità decisionale, davvero mortificante. Ma se la variabile occupazione non ubbidisce alle logiche di impresa, le aziende falliscono. Jean-Cyril Spinetta, l’amministratore delegato della compagnia francese, ha detto ai suoi: «Lo so cosa vorrebbero i sindacati: sostituire allo Stato italiano, che finora li ha accuditi come un padre, l’aiuto di Air France. Io non posso». Ora, si parla di un commissariamento di Alitalia. Metterà a terra la flotta e taglierà il personale più di quanto prospettato da Spinetta. Il fallimento della compagnia comporterebbe la dispersione dell’intero patrimonio. Dai «valori di avviamento » (l’Italia primaria destinazione del turismo mondiale, le reciprocità con i vettori stranieri che arrivano negli aeroporti italiani e quant’altro) ai «valori patrimoniali» (i vettori, anche se vecchi, le competenze operative di una—ex—primaria aerolinea mondiale, le specifiche rotte di volo e quant’altro). Ma la sola proposta del sindacato alternativa al fallimento, è un aumento di capitale, a spese del contribuente italiano; il riassorbimento della manodopera già liquidata nel 2005, a spese dell’acquirente franco- olandese. Soluzioni non praticabili. Nessuna delle molte sigle sindacali ha affrontato il caso dal lato del mercato, pur nel rispetto della propria legittima funzione di difesa dei livelli occupazionali possibili. Eppure, la contemporanea assegnazione a Milano dell’Expo 2015 avrebbe almeno dovuto suggerire la separazione fra il destino di Alitalia e il futuro di Malpensa. Anche se l’aeroporto parigino Charles de Gaulle avrebbe molto da guadagnare dal ridimensionamento dell’hub milanese, una soluzione ragionevole avrebbe potuto essere quella di sollecitare Alitalia a dismettere i suoi diritti di atterraggio e Malpensa a metterli sul mercato. Già accade che qualche grande compagnia faccia partire i suoi aerei anche da scali non nazionali. È il lato incoraggiante della globalizzazionePiero OstellinoL’analisi di Ostellino è molto severa ma, per certi aspetti, condivisibile. Air France aveva avanzato la sua offerta, che prevedeva tagli e sacrifici a dire la verità molto soft, in quanto per gli esuberi (circa 2000) prevedeva ammortizzatori sociali molto consistenti (quasi 7 anni a stipendio pieno, più prepensionamenti e scivolamenti vari ….), ma tra le condizioni aveva posti che il progetto industriale per rilanciare Alitalia fosse approvato dai sindacati, i quali però hanno chiesto di modificare pesantemente il piano ed a questo punto, l’amministratore delegato di Air France, Spinetta, ha deciso di abbandonare la trattativa: “se il nostro piano non va bene, siano l’azienda ed i sindacati a decidere del loro futuro”, una frase che, a seconda dei punti di vista, può lasciar aperto uno spiraglio, ma potrebbe anche essere l’ultima opportunità per il salvataggio della compagnia aerea, la quale, ricordo, perde più di 2 milioni di euro al giorno. Pagati da noi contribuenti, chiaramente, come tutti i salvataggi di Alitalia degli anni precedenti …Ma le colpe di questa situazione sono anche e soprattutto della politica, con i governi di tutti i colori possibili, colpevoli nel ’98 di aver fatto franare l’accordo salvezza con gli olandesi di KLM (ora con i francesi) che pretendevano, e giustamente, che Malpensa diventasse un vero aeroporto di transito internazionale. Ma ad affossare Malpensa, ci ha pensato anche tutta la classe politica ed imprenditoriale del Nord, la quale ha sempre ostacolato la definitiva consacrazione dell’hub lombardo a favore di Linate, più comodo da raggiungere. Ora sono gli stessi che si stracciano le vesti per il declassamento di Malpensa da parte di Alitalia la quale ora, chiaramente, deve tagliare le rotte da quell’aeroporto per ridurre le perdite.Ora, in piena campagna elettorale, si moltiplicano le richieste di non svendere allo “straniero”, di difendere la nostra “compagnia di bandiera”, annunci di fantomatiche “cordate imprenditoriali” che salveranno Alitalia  ecc. ecc. Ma ci si doveva pensare prima, quando, nel 2004, governo Berlusconi, venne presentato un piano di risanamento e ristrutturazione che avrebbe garantito respiro all’azienda ed almeno contrattare alleanze da posizioni di forza. Quel piano venne osteggiato dai sindacati e sapete cosa fece il governo di quella persona che ora si candida nuovamente alla guida dell’Italia? NIENTE! Non fece nulla, lasciò decadere il piano industriale, mise ancora denaro pubblico nelle casse di Alitalia in attesa di tempi migliori.Per questo credo che oramai sia troppo tardi per invocare salvataggi da chissà quale banca o imprenditore. Nessuno prende un’azienda sull’orlo del fallimento se non ha almeno iniziato un processo di risanamento, sempre osteggiato dai sindacati. I quali a parole dicono di fare gli interessi dei lavoratori, nei fatti difendono solo il loro immenso potere contrattuale. Molti lavoratori di Alitalia si sono accorti di questa anomalia e stanno protestando legittimamente per difendere gli interessi aziendali che poi sono anche i LORO interessi e delle loro famiglie.Non credo che a loro importi molto che Alitalia rimanga italiana, come non interessa ai passeggeri. C’è un vecchio detto cinese che suona in questo modo: “Non importa se il gatto sia bianco o nero, purché mangi il topo”.  Ebbene, il Berlusca effettivamente la cordata l’ha trovata ma era evidente anche al più sprovveduto degli economisti che questo tipo di imprenditori va solo dove sente puzza di guadagno e profitti a breve scadenza. Quindi, dato che Alitalia perde attualmente quasi 2 mln di euro al giorno, il classico piano industriale che ha presentato insieme al nuovo contratto era di lacrime e sangue per tutti i dipendenti, compresi purtroppo tutti quei lavoratori con stipendi da 1000 – 1200 euro al mese. Oltretutto c’era da fare i conti con la rappresentanza sindacale dei lavoratori Alitalia, di fortissimo stampo corporativo, dove la percentuale dei lavoratori CGiL, CISL e UIL è molto bassa, quindi non autorizzata a fare accordi senza il consenso delle basi dei lavoratori.I quali, e mi dispiace dirlo insieme ai sindacati, non hanno comunque dato prova di responsabilità ed appartenenza aziendale viste le proteste precedenti
e le successive esultanze alla notizia del ritiro dell’offerta della CAI. Personaggi come Colaninno, di cui quando ero in Telecom ho avuto modo di conoscere la metodologia tipica della cosiddetta “razza padana”, non sono il massimo ma era comunque l’unica offerta valida sul campo. La quota di 3.000 esuberi è pur sempre meglio di 20.000 ed inoltre bisogna anche considerare tutto l’indotto lavorativo che gravita intorno ad Alitalia, soprattutto nella zona di Roma, si potrebbe arrivare tranquillamente intorno alle 50.000 persone che potrebbero perdere il posto di lavoro. Una situazione veramente drammatica.Quindi l’unica cosa da fare, a suo tempo, era vendere ad Air-France, come già aveva previsto Prodi: “Air-France oppure il fallimento” ma il governo di centro-sinistra non ha avuto il coraggio di farlo nel timore della strumentalizzazione politica di Berlusconi ed ai soliti veti sindacali. E questa è stata una colpa molto grave quasi quanto l’azzardo di Silvio.Dato che sono a casa per malattia (mi ha colpito un brutta infezione virale con febbre alta) ho avuto modo di constatare, facendo zapping satellitare, di come sia differente la cultura del lavoro tra Italia ed America. Ovvero, vedevo i dipendenti del gruppo Bancario Lehman Brothers, fallito pochi giorni fa, che facevano diligentemente i propri scatoloni senza rimpianti e senza proteste, comunque fiduciosi in un futuro ed un lavoro migliore, da contrapporre a quelli Alitalia. La differenza è veramente sconcertante … C’è probabilmente qualcosa che non funziona nel nostro sistema e non è solo di mentalità …Un saluto e buon fine settimana a tutti.Vito