IL DUBBIO

Ha un senso il Nobel per la Pace ad OBAMA?


Certo, dare il Nobel della Pace al presidente Obama basandosi solo sulle intenzioni ma non a fatti concreti, potrebbe essere considerato dai più un azzardo. Come ha detto anche qualche pacifista incallito, è stato come dare il nobel della castità a Cicciolina ...Ma non è questo il punto: Obama ha spiegato molto bene qual è la situazione internazionale innescatasi soprattutto dopo l’11 Settembre dopo le famigerate “guerre preventive” decise da George “Dabliu”.Ovvero il male c’è, esiste (vedi Al Qaeda  - Terrorismo ecc.) e non ci possiamo farci nulla se non combatterlo con tutte le nostre forze anche per dare un futuro di speranza e pace ai nostri figli. Esiste quindi una “guerra giusta” se questa è combattuta per la libertà, per la speranza e, soprattutto, contro il Male.Quindi Obama il Pragmatico, che non esita a disconoscere le promesse della campagna elettorale riaffermando con forza il ruolo degli Stati Uniti d’America nel conduzione dell’ordine mondiale.A onor del vero è proprio su questo punto che l’America ed Obama in primis dovrebbero fare un netto ed approfondito esame di coscienza. In tutti i colpi di stato con i vari regimi dell’America Latina (vedi Cile – Pinochet) c’è stato sempre lo zampino fondamentale della CIA.E chi ha foraggiato i Talebani afgani nel sorso dell’occupazione sovietica? Chi trattava con Saddam a scopo antiiraniano?Secondo me quello che manca fortemente ad Obama per MERITARE VERAMENTE  questo nobel è il coraggio della VERITA’ e, soprattutto, l’ammissione di RESPONSABILITA’.Senza questo tassello qualsiasi nobel per la pace può risultare vuoto e propagandistico …Anche se, ammettiamolo, il discorso di Obama è spettacolare per la retorica, l’emozione e la profondità degli argomenti. Ma lui è un maestro dell’arte oratoria.Speriamo che lo sia anche per la pace nel mondo … OSLO - "Il male esiste, la promozione dei diritti umani non può essere solo un'esortazione. La dura verità è che non sradicheremo i conflitti violenti nel corso della nostra vita. Ci saranno momenti in cui le nazioni, da sole o di concerto, troveranno l'uso della forza non solo necessario ma moralmente giustificato". Barack Obama riceve con queste parole il premio Nobel per la pace a Oslo e non aggira la questione che ha accompagnato, tra le polemiche, la decisione dell'Accademia di assegnare a lui, giovane presidente da neanche un anno con la responsabilità di ben due guerre, un'onoreficenza andata in passato a leader non violenti del calibro di Mandela o ad associazioni che sul campo si sono battute per anni per la pace. "So che altri avrebbero meritato questo premio più di me", aveva del resto esordito con i giornalisti poche ore prima del discorso. Ma Obama il premio lo accetta e spiega perché. Parla da "comandante in capo" di un paese impegnato in due guerre, l'Iraq e l'Afghanistan, e da oggi come campione dei valori di pace nel mondo. Un apparente conflitto che il presidente affronta in modo diretto e articolato. Cita la seconda guerra mondiale - "difficile immaginare una guerra più giusta" in cui però "il numero totale dei civili che sono morti ha superato il numero delle vittime tra i soldati" - e gli sforzi compiuti nel mondo per impedire che un terzo, distruttivo (per le armi nucleari) conflitto mondiale scoppiasse. Ma le guerre sono continuate, sono divenute intestine e a carattere etnico, prosegue Obama. Che ammette: "Non ho con me la soluzione ai problemi della guerra", ma invoca per sé e per la comunità internazionale "capacità di visione, duro lavoro e persistenza come quella degli uomini e donne che agirono decenni fa. E dovremo pensare in modo diverso alle nozioni di guerra giusta e pace giusta". Innanzi tutto dando a questa guerra "inevitabile" una cornice di regole definite e condivise. Cita un altro premio Nobel per la pace, americano e nero, Martin Luther King, il cui volto tappezza le strade di Oslo affiancato al suo: "La violenza non crea mai pace duratura. E io sono la testimonianza vivente della forza morale della non violenza. Non c'è nulla di ingenuo o passivo nel credo e nelle vite di King e Gandhi". Eppure, precisa il presidente-comandante, "non posso essere guidato solo dai loro esempi. Vedo il mondo per quello che è e non posso rimanere fermo di fronte alle minacce verso il popolo americano. Il male esiste nel mondo. Un movimento non violento non avrebbe fermato Hitler. I negoziati non possono convincere i leader di Al Qaeda a deporre le armi. Dire che la forza a volte è necessaria non è un incitamento al cinismo - è il riconoscimento della storia. Dell'imperfezione dell'uomo e dei limiti della ragione". Ma difendendo il diritto alla difesa dei valori comuni anche con l'uso della forza, Obama non cade nella trappola di essere associato alle controverse dottrine del suo predecessore George W. Bush. "Tutti i paesi, forti o deboli, devono aderire a standard precisi che governano l'uso della forza. E l'America non può chiedere agli altri di seguire le regole se non le seguiamo noi stessi. Altrimenti le nostre azioni risulteranno arbitrarie e in futuro non più giustificabili". Obama impegna la sua America a diventare "faro" negli standard di queste operazioni: "E' quello che ci distingue da coloro a cui facciamo la guerra, la fonte della nostra forza. Per questo ho proibito la tortura e chiesto la chiusura del carcere di Guantanamo", dice tra gli applausi. E declina in tutt'altro tono la retorica bellica di Bush post-11 settembre: "La guerra non è mai gloriosa". Ma la pace, dice il presidente, è messa in pericolo anche in assenza di conflitti. La difesa dei diritti e della dignità degli esseri umani è un altro cardine dell'azione promessa da Obama, che rende omaggio in più fasi del discorso alla resistenza civile in paesi come la Birmania, lo Zimbabwe o l'Iran. Anche se non rinuncia a ricordare che anche le trattative più serrate, accompagnate da minacce e sanzioni, devono "lasciare una porta aperta" per essere effettive. E infine, pace e giustizia sociale come cammini paralleli e imprescindibili, ricorda il presidente venuto dall'Africa: "L'assenza della speranza può erodere una società dall'interno", ammonisce e di nuovo ricorda il reverendo King: "Rifiuto di accettare la disperazione come risposta finale alle ambiguità della storia". Poche ore prima di pronunciare il discorso, Obama ne aveva firmato il copyright in doppia copia, una per sé e una per l'Accademia del Nobel che avrà diritto a riprodurre il messaggio. Poi ha firmato il libro dei Nobel per la pace, aggiungendo di suo pugno un messaggio personale. "Ho scritto grazie", ha scherzato poi con i giornalisti. Poi ha aggiunto: "Con Michelle guardando quei nomi abbiamo commentato che quando Martin Luther King ricevette questo onore vi fu un effetto galvanizzante nel mondo e la sua statura negli Stati Uniti aumentò al punto che gli consentì di essere più efficace nel suo operato". E infine ha scherzato su quel che Michelle avrebbe scritto sul libro degli ospiti: "Sa che le sue parole andranno ai posteri. Avrà evitato di fare dell'ironia", riferendosi forse al fatto che neanche lei pensa che lui abbia meritato il premio. Fonte “La Repubblica 11-12.-09”