IL DUBBIO

BENEDETTO CRAXI: Statista o ... mariuolo?


Scusate per la lunga assenza dal mio e dai vostri blog ma tra ferie, vacanze, lavoro ecc. non ho avuto modo e voglia di riprendere.Sono trascorsi 10 anni dalla morte del leader socialista che ha molto diviso e tuttora divide un paese anche e soprattutto per le vicende giudiziare che hanno accompagnato l’ultima parte della sua vita politica. Non voglio comunque entrare nel merito delle sue eventuali malefatte: ci sono state delle sentenze definitive che hanno parlato molto chiaro. A suo vantaggio bisogna anche dire però che, al contrario del primo ministro attuale, non fece leggi “ad personam” stravolgi-ammazza processi. Semplicemente scappò via come un latitante qualsiasi. Ma non è questo il punto su cui vorrei soffermarmi.Uno statista è anche una persona a cui si debbano attribuire meriti condivisi di politica economica, interna ed estera. Per quanto riguarda la politica interna ed estera ne parla molto dettagliatamente l’articolo di Sergio Romano qui di seguito. Per la parte economica, invece, farei a meno sinceramente degli slanci entusiastici di qualche nostalgico riguardo all’abolizione della scala mobile con la conseguente riduzione dell’inflazione.Questo indubbiamente fu positivo, ma non fu seguito da un’altrettanta attenta gestione della spesa pubblica, del debito e del carico fiscale i quali raggiunsero livelli notevolissimi e di cui paghiamo ancora le conseguenze. In quel periodo anche le altre grandi nazioni si indebitavano, ma, allo stesso tempo, riuscivano a fare opere pubbliche ed infrastrutture che in Italia ancora oggi ci sognamo.Quindi l’equazione “Craxi sarà stato anche disonesto ma ha fatto cose molto buone …” è priva di qualsiasi fondamento politico e matematico. Ricordo perfettamente quegli anni, i mitici anni 80. Quelli della cosiddetta “Milano da bere” in cui imperava lo yuppismo rampante misto ad una sorta di irresponsabilità soprattutto verso le future generazioni. Ma non possiamo certamente scaricare tutte le colpe su Craxi. Evidentemente le sue politiche economiche furono possibili anche e soprattutto grazie alla complicità dell’intera classe dirigente dell’epoca. Non c’era solo Bettino, c’erano Forlani, De Mita, Andreotti, Formica, De Michelis con annessi tutti i sindacati dell’epoca. Si instaurò il cosiddetto “socialismo dei furbi” con vasta presenza statale, prebende per i potenti ed i politicamente connessi, con pesante tassazione per tutti gli altri. Insomma un’economia con gli imprenditori al servizio della politica. Fortunatamente negli anni 90, grazie anche ai vincoli di bilancio, le cose non sono peggiorate ma comunque l’Italia si è ritrovata in una situazione di alto debito, alta spesa ed alta tassazione dalla quale ancora non siamo riusciti ancora ad uscire.Quindi non possiamo dire nessuna cosa buona di lui? Certo che sì: non era sicuramente peggiore del resto della classe politica del periodo. Lui fu spazzato via da tangentopoli, gli altri no.La bella lettera che il presidente Napolitano ha fatto alla moglie risente molto dell’amicizia e della vicinanza politica che i due ebbero in quegli anni (Napolitano apparteneva alla corrente “Migliorista” del PCI, improntata all’accordo con il PSI).Non credo che possa aggiungere e né togliere di più di quello che, secondo me, poteva diventare un grande statista ….Infatti poteva  …Dieci anni fa moriva BETTINO CRAXIIL RITRATTO DI UN LEADERVi sono molti italiani per cui il caso Craxi è ancora, e deve restare, esclusivamente giudiziario. Pensano che non abbia senso chiedersi se abbia avuto e quali siano stati i suoi meriti politici. Ritengono che le condanne, nei due processi in cui fu imputato, contino più di qualsiasi altra considerazione. Credo che commettano un errore. Non possiamo ridurre la vita di Craxi al suo epilogo giudiziario senza rinunciare a comprendere un intero periodo della storia nazionale. Craxi fece in quegli anni alcune battaglie politiche. Ignorarle significa implicitamente dare partita vinta ai suoi avversari. Piaccia o no Bettino Craxi va discusso e giudicato, anzitutto, sulla base dei suoi programmi e delle sue iniziative.Il suo principale obiettivo fu quello di rompere l’asse fra democristiani e comunisti che si era formato dopo le elezioni politiche del 1976. Era un obiettivo legittimo. Fra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta i partiti socialisti europei ebbero un ruolo determinante, anche se non sempre egualmente positivo, nella vita politica dei loro Paesi. Il laburista James Callaghan fu Primo ministro della Gran Bretagna dal 1976 al 1979. Bruno Kreisky fu cancelliere dell’Austria dal 1970 al 1983. Andreas Papandreou fu Primo ministro della Grecia dal 1981 al 1989. François Mitterrand fu eletto alla presidenza della Repubblica francese nel 1981 e rimase all’Eliseo per quattordici anni. Felipe Gonzalez governò la Spagna dal 1982 al 1996. Willy Brandt si dimise per un oscuro affare di spionaggio nel 1974, ma fu presidente dell’Internazionale socialista sino al 1992. Soltanto in Italia i socialisti, divisi in due partiti e in mezza dozzina di correnti, sembravano condannati a un ruolo subalterno. Esisteva quindi una anomalia italiana che Craxi cercò di correggere a favore del suo partito. Lo fece avanzando proposte e sollevando problemi che erano stati sino ad allora ignorati o evitati. Capì che il sistema politico si era inceppato e ne propose la riforma con la elezione diretta del presidente della Repubblica. Capì che non era possibile lasciare le sorti dell’economia nelle mani di un sindacato per cui il salario era una «variabile indipendente», e vinse il referendum sulla scala mobile. Capì che la sicurezza dell’Italia dipendeva dal rapporto con gli Stati Uniti, e ribadì gli impegni presi dal governo Cossiga sulla dislocazione dei missili Cruise a Comiso; ma tenne testa agli americani nella vicenda di Sigonella, dopo il dirottamento dell’Achille Lauro, e riuscì a farlo senza pregiudicare i suoi rapporti con il presidente Ronald Reagan. Capì l’importanza dell’integrazione europea e guidò il fronte europeista contro Margaret Thatcher al Consiglio europeo del Castello Sforzesco nel giugno 1985.Capì che occorreva modernizzare i rapporti con la Chiesa cattolica e firmò con il cardinale Casaroli il Concordato del 1984. Sostenne il dissenso nell’Unione Sovietica e nelle democrazie popolari. E tentò infine di dare al partito socialista, grazie al culto di Garibaldi, un’ascendenza risorgimentale. La campagna per il «socialismo tricolore» fu anzitutto un’operazione culturale, ma le sue ricadute politiche furono complessivamente positive. Una delle sue caratteristiche più discusse fu quella che venne definita, con un termine ingiustamente spregiativo, decisionismo. Oggi, dopo l’importanza assunta da alcune personalità nella vita politica dei maggiori Paesi democratici dovremmo riconoscere che Craxi capì qual fossero, soprattutto in un’epoca di grandi modernizzazioni, le responsabilità di un leader. Ma lo stile craxiano del potere produsse anche conseguenze che non è possibile ignorare o sottovalutare. La prima fu il brusco aumento del debito pubblico, una colpa a cui i governi successivi non vollero o non poterono rimediare. La seconda fu Tangentopoli, vale a dire un sistema di finanziamenti illeciti che inquinò la vita politica nazionale ed ebbe effetti perversi sul bilancio dello Stato. Sono i meriti di Craxi, paradossalmente, che rendono queste colpe particolarmente gravi. Un modernizzatore deciso e intelligente non avrebbe dovuto permettere la costruzione di una macchina che era in effetti il contrario della modernità. Esiste una evidente contraddizione tra le ambizioni riformatrici di Craxi e un sistema che antepone la clientela al merito, il pagamento di una tangente alla qualità dell’opera. Non ho mai pensato che Craxi potesse essere considerato il solo responsabile di un tale fenomeno. Ma le responsabilità di un leader sono tanto maggiori quanto più grandi sono le sue ambizioni e i suoi programmi. Gli storici non potranno riconoscere i suoi meriti senza constatare al tempo stesso i suoi errori.Sergio Romano