..E così (POE)sia..

Post N° 218


page 2... ... ...La piccola follia che desideravi, il tour di tutti luoghi che si sono trovati a volte spettatori, altre soltanto scenari del tuo e mio vissuto, l’ho compiuta io per tutti e due.
…guidando senza un perché, investendo fantasmi mischiati ad aria e notte, ho ripercorso le tappe fondamentali, ritrovandomi nel parcheggio della chiesina bianca. Vedevo da lontano una macchiolina lattea, ma si trattava di pura suggestione, quella chiesetta che raccoglieva i nostri pezzi, le nostre briciole, i sorrisi e le lacrime, è impossibile da intravedere celata com’è da quelle fronde sempreverdi... E’ un candido punto tra lo smeraldo dei boschi che abbracciano “quella guglia” di “quella montagna”…ed è così piccola, semplice…splendida… Quello era il nostro posto segreto…un tempio inviolabile che niente e nessuno potrà portarci via, eravamo i soli a conoscere quella casetta di Dio sempre aperta che ci faceva stare al calduccio durante l’inverno e freschi d’estate. Ci aveva pescati Don Felice, ricordi…? Le guance paffute, sorridente e gioioso come il suo nome, non ci aveva sgridati…aveva chiesto i nostri nomi e regalato una placida e paterna carezza sui capelli ad entrambi. Ci chiese da dove venivamo, io risposi che non era importante e che il Signore già ci conosceva in quanto suoi figli e che sarebbe stato ben disposto ad accoglierci tutti indistintamente, che non avrebbe affatto alcuna differenza. La risposta gli piacque e ci disse che potevamo andare in quella piccola chiesetta, tutte le volte che desideravamo un poco di tranquillità. E così fu. Gli stessi muri spogli opalescenti, ci videro parlare, sorridere, piangere… gli stessi muri nudi che abbiamo riempito con le immagini più belle trovate nei mercatini, per ricambiare la tenerezza paterna e l’ospitalità di Don Felice…uomo di chiesa che mi ha fatto cogliere la differenza che intercorre tra un prete ed un sacerdote. Sono tornata là…dove siamo stati l’ultima volta che ti ho rapito assumendomi la piena responsabilità delle conseguenza che poteva avere l’uscita fuori programma…occhi negli occhi, naso a naso, la voce un sussurro come fra bambini: “Faby, scegli i vestiti…ti porto via.” .Il lampo che conoscevo, di nuovo ad animarti lo sguardo…ti ho fatto una foto…non hai guardato l’obiettivo…hai imprigionato i miei occhi per dirmi senza parola ancora una volta “Grazie…ti voglio bene…"
I capelli stavano ricrescendo dopo l’ultimo ciclo…indossavi il cappellino che ti avevo regalato… hai stampato un sorriso tra di noi che mi diceva tutto ciò che avevo bisogno di sentire, senza dover usare le orecchie…ho lanciato un’occhiata al corridoio…senza che me ne accorgessi eravamo in ascensore e successivamente in portineria…la porta vetri…e dieci scalini messi a dividere la realtà dal sogno. In auto hai messo la cintura di sicurezza e stranamente non hai acceso l’autoradio…non ci siamo detti una parola fino al casello autostradale…ti sei voltato verso di me, sentivo l’azzurro delle tue iridi che mi chiamava…hai inserito il cd giallo sole e iniziato a parlare. Dieci secondi…e siamo tornati ad essere due adolescenti, tu facevi battute su battute ed io sorridevo incredula…raggiante nella consapevolezza che neppure una malattia così grave, aveva intaccato la tua solarità. “ti ho scritto una cosa per Natale…la trovi nella mia stanza al secondo cassettone… … …avevo espresso il desiderio di andare nei nostri posti preferiti…mi hai letto nel pensiero, coccinella…”.Mi si è saldato addosso, il tuo modo strano di chiamarmi coccinella…un animaletto tenerissimo e tondeggiante…
… …coccinella…io che sono sempre stata una piccola selvaggia, sottile come un giunco…“e la sua voce mi basta, è come una festaun martellare di campane che rintrona la testaconfondo affetto e amore in un intreccio magico,l’intesa è perfetta in un rapporto unico.So che può sembrarti strano macerco le parole per spiegarti che effetto fasapere che se la giornata non è stata bellaposso contare sulla mia coccinella…”Tendevi a canticchiarla per farmi sorridere e distogliermi dai tormenti che da anni si erano intensificati…parole su parole incrociate e sparse, lottavano per uscire…e più mi rifiutavo di ascoltare i battiti che mi aumentavano l’angoscia di non sapere…o non voler capire, più questo bisogno di scarabocchiare si faceva pressante.        Parole…Parole…che mi tenevano sveglia la notte, desiderando che quella nostalgia millenaria districasse le sue maglie lasciandomi libera di respirare… … …avevo sei anni…e sentivo sulle spalle il peso di una vita millenaria…flashback, deja vù persistenti…sensazione di aver vissuto già altrove, ciò che mi fasciava costantemente ed esperienze che avrei indossato successivamente.…lemmi, che nascevano e si fissavano come adesivi alle pareti dei labirinti dell’essere…mi incatenavano l’anima quelle parole che apparentemente non avevano un senso, mi rendevano vulnerabile …e sempre più intensamente avvertivo la voglia di voltare le spalle e sparire, chiudermi sempre più nella mia solitudine e bermi le lacrime che tenevo nascoste perché “ci si conquista il rispetto con i fatti, non con le lacrime” come ripeteva mia madre…così diversa dalla tua che faceva sentire figlia anche me.Dopo quanto tempo sono riuscita a parlarti della realtà che conosceva unicamente l’unico che reputavo così immenso da comprendere senza giudicarmi, che risolveva i miei enigmi, che mi insegnava a capovolgere stati d’animo, unendo ragione e fantasia senza mischiarle mai…fondendole perfettamente restando con i piedi per terra e la mente tra le nuvole. La dolcezza con cui mi insegnava ad essere fiera del mio perdermi nelle ombre del passato o tra le nebbie del presente, del mio modo strano di voler ottenere risposte a domande che, risposte non potevano avere…che non avranno mai.Eravamo già cresciuti quando leggesti le poesie e tutti gli scritti sui fogli sparsi nella stanza numero tre della soffitta di Stella…una dimora grande quanto una bomboniera, dove andavo a rifugiarmi per svestire il senso di disagio che ancora oggi, mi induce a ritagliarmi angoli solo miei dove essere completamente una K inciampata per caso nell’assoluto. C’è una finestrella, in quel vano della mansarda, è una vasistas…un quadrato sul quale mi arrampicavo per guardare oltre il mio orizzonte sempre troppo vicino, mi si riempivano gli occhi di cielo, fissavo gli astri tremolanti, le cime innevate dei monti, sfumate tra i nembi...ascoltavo lo scorrere del fiume, le sbavature d’acqua che superavano gli argini quando la diga veniva dischiusa…restavo aggrappata finché gli avanzi di luce, scivolavano sui vetri aperti e il buio iniziava a pennellare il paesaggio, uniformando la visione di ciò che avevo intorno…e dentro.Era notte. Truccata d’ombra, mi fondevo con le tenebre, felice di non poter più distinguere con esattezza forme, contorni…colori.Sognavo…sognavo…sognavo. Fantasticavo di soccorrere le persone sfortunate, portando non magie o sortilegi, ma solo aiuto…e comprensione. Immaginavo di poter percorrere il senso del nulla e camminare sopra l’impronta del confine tra un brivido ed un addio, con i pensieri alla deriva e davanti agli occhi un brandello d’immagine che comprendesse tutti i desideri. Scrivevo finché la mano non formicolava e poi…poi sfilacciavo i fogli, alcuni riempivano bauli…scatole….altri venivano dispersi nell’aere come coriandoli…meteore…stelle cadenti.Sei riuscito a cogliere questo aspetto di me, ma il sentimento d’affetto che ci ha uniti non mi ha consentito conferme…nei tuoi confronti ho sempre nutrito rispetto e stima a tali livelli che mi inducevano a tenerti all’oscuro di quella parte ambigua, sfuggente, misteriosa…ero convinta che avrei rischiato di perderti, che ti avrei spaventato con la mia folle fiamma elegiaca… Riuscii un anno fa a spiegarti i miei silenzi e la lontananza emotiva che volutamente mettevo tra me e il resto del mondo…sono sempre stata differente…la fiamma idillica che diventava ghiaccio a contatto con l’esterno mi ha trascinata in spirali vorticose…ogni volta verso una morte ed una rinascita…così è stato, così è…così sarà, per sempre.… … …Rileggevo il mio album emotivo, quel giorno…seduta sulla nostra panchina arrampicata al centro della terrazza sopra il lago inerte, scioglievo lo sguardo nelle nuvole basse …seduta come dentro una fotografia sfumata, un patchwork fatto di albe, pioggia, guizzi di sole e luce profumata, le memorie ascendevano spontaneamente, senza doverle evocare. C’eravamo stati insieme settimane prima…ora accanto a me c’era solo il vuoto.Ti sarebbe piaciuto quest’anno…è caduta un po’ della neve che tanto amavi, che speravi di vedere soltanto un mese e mezzo fa…
L’inverno innervosito dai venti glaciali, lanciava sbuffi verso il torrente a valle, il gelo schiaffeggiante ha riordinato le mie nostalgie…il giorno della cerimonia, volevi cantassi per te e non sono riuscita a farlo, annichilita com’ero da quelle fitte invisibili che mi trafiggevano annegandomi gli occhi ad ogni dettaglio che ricordasse te. Ero convinta della mia impossibilità di soffrire come la prima volta…ero persuasa di essere forte e che niente e nessun’altro mi avrebbe fatta tornare l’adolescente piena di paura e dolore. Invece…Invece mi sono sentita come allora, sono tornata ad essere un’emozione destinata a disperdersi come un rivolo d’acqua assorbito dalla sabbia…lo stesso stato d’animo a metà tra la rabbia e sofferenza psico-emotiva…lo spleen che torna ad ondate più forte…parole…parole che avrei voluto scrivere e che non libererò mai.Pensieri…orfani di sole che mi rimandavano al significato di tutto quello che mi circondava durante la funzione…il desiderio di essere altrove, la volontà di impedire allo sguardo l’attraversamento del nulla, le mani aggrappate l’una all’altra…il frastuono della vita che non c’è più…lacrime fermate tra le ciglia. Un’istantanea che racchiudeva “l’ormai” della tua vita…e anche un tratto della mia.Una sofferenza tale…da impazzire quasi…ora come allora…ma oggi non ho quindici anni, ne ho quasi il doppio e dal dolore non fuggo, lo affronto. Mi ci immergo per conforto ontologico, lascio che mi cada addosso, senza opporre resistenza…per poi raccoglierlo ed osservarlo, delibarlo….sentirlo fluire come sangue. Rimango sotto questo diluvio di meteoriti dolenti, senza riparo…esattamente come quando mi rimproveravi perché camminavo senza ombrello, durante i giorni di pioggia. “…Kà perché resti sotto l‘acqua così…? Certe lacrime non si mescolano con la pioggia…”…and as the tear drops riseto meet the comfort of the bandyou take her frail handand hold on to the dream…... ... ...