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«Non c’è Ciampi, ma non c’è alternativa al metodo Ciampi».


 Se così stanno le cose, se è vero che ieri pomeriggio Fassino anticipava alla segreteria del suo partito il percorso che l’Unione avrebbe seguito per l’elezione del nuovo capo dello Stato, allora non si capisce come mai ieri sera — al gruppo di Forza Italia della Camera—Berlusconi annunciasse con tono grave che «si sta per aprire una fase delicata per la democrazia». Eppure il «metodo Ciampi» prevede un accordo bipartisan sulla scelta per il Colle, «ma non ci può essere un’intesa— diceva il Cavaliere — se l’Unione ci propone un candidato della sinistra ». E come lui la pensano anche Fini e Casini, e tutti e tre conoscono il nome del candidato in pectore, perché gli è stato anticipato nei giorni scorsi: D’Alema. Il Polo non esprime una pregiudiziale sul presidente dei Ds, ma un dissenso politico. Berlusconi lo ha spiegato ai parlamentari azzurri: «Controllano quasi tutto il potere locale e regionale, hanno conquistato il governo del Paese per una manciata di voti, ed eletto due loro rappresentanti ai vertici delle Camere. Se ora pensassero di occupare anche il Quirinale, che rappresenta l’unità del Paese, valuteremmo come reagire. Ma devono sapere fin d’ora che si andrebbe allo scontro frontale». Dietro quel suo «valuteremo come reagire», il leader della Cdl ha fatto capire che si potrebbe arrivare a «gesti estremi». Non ci sono solo le «manifestazioni democratiche di piazza», c’è anche la possibilità di un evento senza precedenti nella storia repubblicana, cioè che il Polo decida di disertare le votazioni per il presidente della Repubblica. L’ipotesi si è fatta strada nelle conversazioni tra i maggiorenti dell’opposizione, e il segretario dell’Udc Cesa non la smentisce: «È una possibilità». Il vuoto che lascia l’addio di Ciampi, è un baratro in cui la Seconda repubblica rischia di essere inghiottita. Se ne rendono conto i capi della maggioranza, perciò Prodi ieri ha ripetuto più volte ciò che Fassino ha detto alla riunione della Quercia: l’Unione intende adottare «il metodo» che ebbe successo sette anni fa. Ma il criterio si porta appresso la scelta. E c’è un motivo se D’Alema ha voluto ricordare come si arrivò alla scelta di Ciampi: «Allora noi avanzammouna proposta che si riteneva potesse ottenere il maggior consenso nell’opposizione. E pur di adottarlo si misero a repentaglio gli equilibri di governo ». Il presidente dei Ds, insomma, ha chiarito che Prodi —cui tocca la trattativa—dovrà avanzare «una proposta», non una rosa di nomi. «Speriamo che stavolta Romano faccia una scelta chiara — ha aggiunto un esponente della segreteria — e che non si ripeta quanto accaduto con Bertinotti ». D’Alema ha invitato a non riaprire il dibattito sul passato, concentrato com’è sul futuro. Lo si è intuito dal ragionamento di Fassino, secondo il quale «se avanzasse una candidatura diessina, non andrebbe interpretata come un risarcimento, ma perché noi rappresentiamo una forza vitale». Nomi non ne sono stati fatti, maè evidente il lavorio per lanciare il presidente del partito. E sebbene tocchi a Prodi ufficialmente gestire la mediazione, il segretario ds ha iniziato a sondare gli alleati per saggiarne la disponibilità: «Prima di applicare il "metodo Ciampi" con il Polo — è il suo ragionamento — dobbiamo adottarlo nel centrosinistra per capire il gradimento su un candidato ». Ma perché tanta cura, visto che il Prc ha anticipato a Prodi il veto su Amato, e che il Pdci si è schierato ufficialmente per D’Alema? Forse perché su D’Alema non converge ancora tutta l’Unione. Il presidente dei Ds lo sa, e anche Amato è conscio dei veti contrapposti. I due ieri sono stati visti mentre discutevano amabilmente, durante una passeggiata lontano dal Palazzo. Se si arrivasse a un «disarmo bilaterale » tra i due, allora si aprirebbe forse la strada verso il Colle a Napolitano, un senatore a vita, ex presidente della Camera, personalità diessina fuori dai giochi politici. Un candidato che sarebbe certo meno indigesto al Polo. Verrebbero così spazzate via le altre opzioni. Per esempio quella a cui stava lavorando ancora martedì sera Prodi: puntare su Marini al Quirinale, aprendo un varco per affidare la seconda carica dello Stato alla Quercia, oppure al Polo con Pisanu. È vero che su Marini al Colle aveva riscontrato «segnali positivi» nella Cdl, però Fassino e D’Alema si erano mossi subito sul presidente del Senato, e Marini li aveva assicurati che si sarebbe speso per costruire un’intesa su un candidato dei Ds: «Ci sono ancora resistenze — ha fatto sapere ieri—ma siamo a buon punto». Le resistenze vengono da Rutelli. Secondo un autorevole esponente ds, infatti, «Prodi ha iniziato a capire che è meglio per lui avere D’Alema al Quirinale. Se non c’è lui, a rischiare sono prima Fassino nel partito e poi il governo». Rutelli non si oppone a un candidato della Quercia, ripete solo che «il metodo Ciampi è essenziale», e che «va ricercata l’intesa con il Polo». Proprio quello che la Rosa nel pugno spiegherà oggi a Prodi. «Per noi è impossibile procedere con uno strappo per l’elezione del capo dello Stato», avvisa Boselli: «La scelta deve avvenire secondo il "metodo Ciampi"». Insomma, sebbene D’Alema rimanga il favorito nella corsa, ci sono molte tessere del puzzle ancora fuori posto. Un pezzo della Margherita ribolle, e ieri Pannella ha detto che «piuttosto di votare D’Alema, appoggerei Marini». Per il centrosinistra arrivare al buio a lunedì sarebbe esiziale tanto quanto forzare un’elezione a maggioranza. Eppoi, se la Cdl dovesse davvero non votare, il rischio dei franchi tiratori tra i grandi elettori dell’Unione potrebbe mettere a repentaglio gli equilibri dell’alleanza. La giostra è partita, ed è ad alto rischio. Chissà se la soluzione Napolitano...