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E Fassino confidò a Prodi «Rutelli lavora per Amato»


I microfoni sono spenti, la riunione è sciolta e Piero Fassino si avvicina a Romano Prodi: «A me sembra che Rutelli stia lavorando per Amato...». Nelle due ore precedenti i leader del centrosinistra si sono scambiati una raffica di colpi di fioretto, alla fine Massimo D’Alema (che era assente) ne è uscito politicamente ferito e ora nel “dopo-gara” ci si lascia andare ai commenti senza rete. E il segretario Ds, che si è battuto per evitare che il vertice si concludesse male per D’Alema, sottovoce butta lì un’altra battuta: «Se si chiude la strada a Massimo, mi pare molto difficile che ce la possa fare Giuliano...». Non è stato uno di quei vertici costellati di battute grevi, di scatti o di risentimenti sulfurei. I capi dell’Unione hanno duellato con eleganza formale, ma con una grande durezza sostanziale. Il vertice si è diviso sullo schema «O D’Alema o morte», che è stato contestato con speciale energia dal presidente della Margherita Francesco Rutelli, da Enrico Boselli che rappresentava la Rosa nel Pugno, da Antonio Di Pietro e Leoluca Orlando dell’Italia dei Valori. E fra i tanti argomenti portati per allargare il campo al centrodestra, il più insidioso l’ha calato Francesco Rutelli: «Scusate, ma l’ipotesi di elevare la maggioranza necessaria per l’elezione del Presidente della Repubblica non è contenuta anche nel Programma dell’Unione?». E per questo motivo Rutelli è arrivato al cuore del suo ragionamento: «Non possiamo puntare subito ad eleggere un candidato del centrosinistra in solitudine». E la dose di Rutelli è stata rincarata dal leader dello Sdi Enrico Boselli: «Noi abbiamo grande rispetto per D’Alema e non discutiamo la possibilità per lui di essere un garante come presidente della Repubblica, ma poiché una parte del Parlamento non lo considera come un garante, dobbiamo prenderne atto e provare a tutti i costi a trovare un’intesa con l’opposizione su una figura di garanzia». Questa la premessa e poi il finale: «Per questi motivi, noi della Rosa nel Pugno non voteremo mai per un candidato di sfondamento». In altre parole se la Cdl risponderà picche e l’Unione andrà avanti da sola i 20 grandi elettori della Rosa non voteranno il candidato di parte. La tenaglia Rutelli-Boselli, con Di Pietro che ha prodotto argomentazioni molto simili, non ha impedito a Fassino di portare i suoi argomenti: «Abbiamo un candidato, Massimo D’Alema, che raccoglie la quasi unanimità del centrosinistra, consensi che possono allargarsi. E realisticamente consideriamo che le valutazioni di Berlusconi possono cambiare». Ma Fassino, che si è tenuto in contatto telefonico con Massimo D’Alema, ha dovuto prendere atto che anche il tentativo di Oliviero Diliberto di affermare «il metodo Marini» (un candidato a maggioranza) è caduto davanti al «non si può fare» di Romano Prodi. Ma per quanto ferito, il candidato D’Alema non è caduto. Se non altro per quanto ha detto Rutelli alla fine: «Se la Cdl porrà veti, il Presidente ce lo voteremo da soli; confermo che su D’Alema noi non abbiamo obiezioni e credo che in ogni caso il candidato debba essere espressione della sinistra». Una battuta che a fine vertice e nelle ore successive faceva lievitare - e di molto - le quotazioni di Giorgio Napolitano. E alla fine anche Fassino ha preso atto dell’aria che tirava: «Se c’è una personalità che faccia il pieno di qua e di là, bene, perché dovremmo essere contrari?». Qualche schermaglia anche sui dettagli. Nel finale Fassino ha proposto che la trattativa con la Cdl la conducesse Prodi ma è stato interrotto da Leoluca Orlando, un “cavallo di razza” che da ieri è tornato nella pista della grande politica: «E che c’entra Prodi? Ha già visto Berlusconi, non possiamo dargli un compito che non è suo». E Prodi: «Ha ragione Orlando...». Schermaglie anche sul comunicato finale: Rutelli ha chiesto che servisse «una larga coesione» del centrosinistra sul candidato da proporre alla Cdl, Fassino si è battuto (alla fine con successo) perché ci si limitasse ad una semplice «coesione». Alla fine, nelle chiacchierate informali, sono circolati i nomi alternativi - Giorgio Napolitano, Anna Finocchiaro - ma nessuno dei leader dell’Unione - in camera caritatis - era pronto a giurare che la candidatura D’Alema fosse definitivamente sepolta.