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Fondazione Open e Fondazione Ds


All'interno del Partito Democratico c'è una discussione profonda sul modo di organizzare il partito. Il Pd è nato nel 2007 ed è quasi subito stato considerato un partito moribondo; che veniva lasciato vivere solo per la sopravvivenza di chi lo guidava. La segreteria Renzi ha cambiato tutto. Il nuovo segretario ha subito chiarito che auspicava le correnti sparissero e invece non solo sono sopravissute; ma adesso ci si interroga se il Pd invece che una comunità sia diventato addirittura una federazione di un insieme di diverse comunità con interessi simili, ma non identici.Un aspetto che è la cartina al tornasole di questa situazione sono le fondazioni che detengono le risorse che permettono a queste varie correnti di funzionare. Cioè, mentre le casse del partito nazionale sono vacanti e le iscrizioni sono in forte calo (ma forse si sono solo eliminate le iscrizioni fasulle), nonostante la forte vittoria delle europee; ci sono queste fondazioni che hanno ingenti risorse che usano per se. Tra le più importanti c'è la Fondazione Ds che è erede di tutto il patrimonio dei Democratici di Sinistra e che all'epoca della fusione nel Pd fu deciso di non farne confluire i beni e la Fondazione Open che sta dietro a tutte le attività di Matteo Renzi, organizzazione delle primarie e Leopolda comprese. La Fondazione Ds detiene il patrimonio dei Democratici di sinistra che nella fusione con il Pd si decise di mettere al sicuro provabilmente non fidandosi del futuro del nuovo soggetto. Il suo patrimonio è di sei milioni. La Fondazione Open da quando esiste ha raccolto circa due milioni.Il punto adesso è questo: come si può pretendere che la Fondazione Open metta il suo patrimonio dentro il partito se contemporaneamente non lo fa anche anche la Fondazione Ds, che ha in più anche la proprietà delle sedi di partito? Non si può pretendere da altri un comportamento che non si ritiene giusto per se stessi. Sarebbe giusto un Pd come comunità, ma a patto che sia equa e che non accada che si sia gente come Fassina (tanto per citarne uno) che fa la guerra civile in parlamento al proprio governo.