Snorki sarai tu!

"Io, gay, costretto dal mio capo a far sesso con una prostituta"


“Sono stato obbligato ad andare con una prostituta per dimostrare al mio capo di non essere gay”. Il racconto è di un cuoco di Rimini, omosessuale dichiarato, al quale il proprio datore di lavoro aveva chiesto di provargli “di essere uomo”. La sera del 20 dicembre il cuoco, dopo essere stato appellato con epiteti come “frocio” e “ricchione”, sarebbe stato invitato con insistenza “a prendere una prostituta per strada”.L’uomo, di 38 anni invalido civile all’80% per disturbi dell’umore e bipolarismo, dopo aver tentato di rifiutarsi, temendo di perdere il posto e intimorito dalle minacce, ha infine accordato le richieste. Con la propria macchina ha raggiunto una via di Rimini frequentata dalle lucciole e lì ha trovato una prostituta bionda di origini rumene, alla quale ha spiegato la situazione.La donna ha accettato di andare con lui e una volta ritornati al locale il titolare, in cambio di 40 euro, si è accordato con la ragazza. Il cuoco e la donna si sarebbero appartati in uno stanzino, dove il ristoratore entrava ripetutamente per controllare la situazione e continuare a umiliarlo.La scena è avvenuta dinanzi alla quasi totale indifferenza dei dipendenti del locale, eccetto uno di loro che si è allontanato sconcertato. Tutti gli altri al contrario, come si legge sul Resto del Carlino, una volta usciti fuori dallo stanzino, hanno iniziato a chiedere alla prostituta se l’uomo fosse veramente omosessuale. “Lei ha risposto che ero a posto, ‘normale’. Ma loro ribattevano ‘non è vero, è ricchione’”.A distanza di due settimane dal fatto il cuoco è stato licenziato “ricevendo un assegno di 1400 euro che si è rivelato scoperto”. A quel punto la decisione di andare dai carabinieri per denunciare il titolare per minacce e ingiure, richiedendo, tramite il suo avvocato, un risarcimento dei danni sociali e psicologici. Il legale del cuoco ha dichiarato che il datore di lavoro, venuto a conoscenza della denuncia, l’avrebbe minacciato pesantemente dicendosi convinto di non finire in carcere.