Snorki sarai tu!

Parliamo italiano


Ormai sempre più spesso in Italia si usano termini in lingua straniera (per lo più inglese) per cose o situazioni la cui traduzione in Italia c'è sempre stata. Per cui non è una crociata contro i termini stranieri, ma il capire il perchè avanza qui da noi questa esterofilia anche quando potremmo farne a meno.Spesso le parole inglesi vengono caricate di un senso e di un potere esoterico che, di loro, non avrebbero. Per esempio, brand è la marca (non il marchio) e brand image è l’immagine della marca. Né più, né meno. Segnalo inoltre che, per via della (ignorata) regola inglese di anteporre l’aggettivo al sostantivo, l’itanglese frettoloso e sbracato genera mostri: così, per esempio, spending review diventa “la spending” (urca, dobbiamo tener conto della spending!) e bodycopy diventa “la body” (ehi, tagliami un pò questa body! Schizzi di sangue dappertutto).Ma queste non sono riflessioni che faccio solo io. C'è in corso più di una campagna per reimposessarci della nostra lingua. Annamaria Testa pone la sua "Dillo in italiano". Ecco uno stralcio del suo manifesto: "La lingua italiana è la quarta più studiata al mondo. Oggi parole italiane portano con sé dappertutto la cucina, la musica, il design, la cultura e lo spirito del nostro paese. Invitano ad apprezzarlo, a conoscerlo meglio, a visitarlo. Le lingue cambiano e vivono anche di scambi con altre lingue. L’inglese ricalca molte parole italiane (manager viene dall’italiano maneggiare, discount da scontare) e ne usa molte così come sono, da studio a mortadella, da soprano a manifesto.
 La stessa cosa fa l’italiano: molte parole straniere, da computer a tram, da moquette a festival, da kitsch a strudel, non hanno corrispondenti altrettanto semplici, efficaci e diffusi. Privarci di queste parole per un malinteso desiderio di “purezza della lingua” non avrebbe molto senso.
 Ha invece senso che ci sforziamo di non sprecare il patrimonio di cultura, di storia, di bellezza, di idee e di parole che, nella nostra lingua, c’è già.
 Ovviamente, ciascuno è libero di usare tutte le parole di qualsiasi lingua come meglio crede, con l’unico limite del rispetto e della decenza. Tuttavia, e non per obbligo ma per consapevolezza, parlando italiano potremmo tutti cominciare a interrogarci sulle parole che usiamo. A maggior ragione potrebbe farlo chi ha ruoli pubblici e responsabilità più grandi. ecc."Molte critiche vengono fatte anche a Matteo Renzi, che nella sua veste di premier non solo non promuove la lingua italiana, ma al contrario introduce termini stranieri nel linguaggio comune. Renzi ha introdotto il “jobs act”, inoltre usa parole inglesi come “benchmark” e “hashtag” in ognuna delle sue presentazioni. Insiste anche sul fatto che i ministri del suo gabinetto debbano parlare inglese, prima richiesta di questo genere per i politici italiani. Questa tendenza si sta diffondendo: la Marina Militare italiana ha lanciato una nuova campagna di reclutamento usando slogan in inglese come “Be Cool and Join the Navy”. Un altro esempio è la continua discussione che riguarda le spese eccessive del governo. “Vogliamo procedere con i giusti controlli delle spese, ma allora perché non li chiamiamo in italiano, ‘revisione della spesa?'”. “Semplice e chiaro… ma no, loro la chiamano ‘spending review', che comunque molti italiani non riescono a pronunciare”.