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Il referendum greco è un bivio tra euro e ritorno alla dracma


Da tempo il governo greco per mezzo del primo ministro Alexis Tsipras e del ministro delle finanze Yanis Varoufakis aveva dichiarato che non sarebbe stato in grado di onorare il rimborso dei debiti con il Fondo Monetario Internazionale scaduti ieri 30 giugno. E così è stato.La diatriba è stata sull'imporre alla Grecia una eccessiva austerità (contro cui Syriza aveva vinto le elezioni) con conseguente taglio di stipendi e pensioni per onorare la restituzione del debito. A tre giorni dallo scadere del debito il premier Tsipras ha fatto un discorso in tv in cui indiceva un referendum per domenica prossima (5 luglio) per chiedere ai suoi concittadini se approvavano la richiesta fatta dall'ex trojka (Fmi- Bce-Ue). Lui non ha nascosto di parteggiare per il no; anzi ha detto che se vincerà il si non sarà il suo governo a portarlo avanti.Per la verità Jean Claude Junker gli ha fatto il favore di pubblicare la bozza di accordi, in modo che i greci sappiano esattamente su cosa votare.Se poi, pur nella gravità, il tutto è tenuto sotto controllo è grazie a Mario Draghi, che contralla il fondo salva stati.In realtà è stata proprio la convocazione del referendum a fare imbufalire i leader europei, convinti che in questo modo non sarà possibile arrivare a un accordo. Con la vittoria dei “sì”, comincerebbe una fase caotica: Tsipras e il ministro delle finanze Yanis Varoufakis, pur dimissionari in quanto sconfessati dai loro stessi cittadini, andrebbero a Bruxelles a siglare il nuovo memorandum di sacrifici con i creditori. C’è da scommettere che Syriza in quel caso cercherebbe di andare a nuove elezioni, possibili nel giro di un mese; l’Europa, i creditori e le forze politiche attualmente all’opposizione tenteranno di evitare le elezioni, lavorando per costituire un governo di salvezza nazionale, che per avere la maggioranza nel parlamento, però, dovrebbe ricevere l’appoggio di un buon numero di deputati di Syriza. Difficile. Nel parlamento greco schierati per il si 179 deputati e 120 per il no. A favore hanno votato Syriza, la destra nazionalista di Anel e Alba Dorata. Contro hanno votato i partiti europeisti - i conservatori di Nuova Democrazia, i socialisti del Pasok e il partito di centro sinistra To Potami - oltre al partito comunista Kke.Ma gli altri governi europei non si sono certamente mantenuti neutrali. I leader di Francia, Germania e Italia, François Hollande, Angela Merkel e Matteo Renzi, hanno uno dopo l’altro spiegato che il referendum di domenica è una scelta netta tra l’euro e la dracma, invitando di conseguenza i greci a votare sì per accettare un altro po’ di “riforme” e di austerità pur di restare nell’eurozona. Dunque, l’accordo (nella sua ultima versione) sarebbe ancora sul tavolo.Ma a sentire diversi osservatori ellenici, la discesa in campo a favore del sì dei grandi leader europei e del presidente della Commissione, il lussemburghese Jean-Claude Juncker (che ha tacciato apertamente Tsipras di essere un bugiardo), non è stata una mossa particolarmente astuta.Per ora i sondaggi dicono che è in vantaggio il si; ma chissà cosa succederà a esito aquisito. Tutto è in bilico.Tutti fattori che insieme alla naturale e comprensibile paura di un salto nel buio farebbero certamente prevedere una chiara vittoria dei sì. Il fatto è che notoriamente i greci sono anche ferocemente orgogliosi e nazionalisti, si sentono un paese importante e detestano l’idea di essere eterodiretti da Bruxelles e dalle capitali europee. A maggior ragione in questo caso: non si era mai verificata nella storia dell’Europa una tale palese interferenza esterna in un pronunciamento elettorale di uno stato membro. Perciò, in serata, alcune misure prese dal governo hanno vagamente tranquillizzato la popolazione: i pensionati potranno ritirare le loro pensioni (anticipate dalle Poste) in 850 banche, e ad Atene i mezzi pubblici saranno gratuiti fino a domenica. A Syriza sono fiduciosi, i no vinceranno.