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L'espansione dell'Isis in Siria e Iraq


L’autoproclamato Stato Islamico - o Isis, Stato Islamico di Siria e Iraq - è un movimento militante che ha conquistato territori nell'Iraq occidentale e nella Siria orientale, dove vivono circa sei milioni e mezzo di persone tra musulmani, sunniti e non. Nel giugno del 2014, dopo l'occupazione di territori strategici nel cuore sunnita dell'Iraq, tra cui le città di Mosul e Tikrit, l'Isis ha proclamato il Califfato, rivendicando l'autorità politica e teologica esclusiva sui musulmani di tutto il mondo. Il suo progetto di costruzione dello Stato Islamico, però, è stato caratterizzato più dalla violenza estrema che dal rafforzamento delle istituzioni. Decapitazioni di ostaggi e altri atti provocatori, diffusi in tutto il mondo attraverso foto e video condivisi sui social media, hanno contribuito a spingere gli Stati Uniti a intervenire militarmente. La violenza di massa contro i civili locali, giustificata anche con riferimenti religiosi, è stata un valido strumento per rafforzare il controllo territoriale e per determinare le alleanze nella regione, inserendo l'Isis nella guerra settaria tra sunniti e sciiti. A nord c'è la Turchia (sunnita), a sud l’Arabia Saudita (sunnita), a est l'Iran (sciita) e a ovest la Siria di Assad (a maggioranza sunnita ma il cui regime è alauita, ramo sciita). L’Isis (sunnita), al centro, combatte su più fronti: contro i curdi, rivali storici della Turchia sunnita; contro l’esercito di Assad - sostenuto dall'Iran; contro i ribelli siriani, che essendo fedeli ad al-Qaeda sono ostili all’Isis; contro le forze militari irachene e contro gli americani. In tutto questo ne pagano le conseguenze soprattutto le minoranze perseguitate dall'Isis, sulle quali si compiono stragi, violenze e abusi.  I successi ottenuti dall’Isis sul campo di battaglia, ampiamente pubblicizzati, hanno attirato migliaia di reclute straniere, i cosiddetti foreign fighters, che sono diventati una particolare preoccupazione per i servizi segreti occidentali e una preziosa risorsa per l’Isis, che rifornisce così di nuove reclute i vari fronti di guerra.Per capire le relazioni tra Isis e Stati Uniti è necessario analizzare il ruolo di Washington in Medio Oriente. Storicamente gli Stati Uniti d'America hanno sempre cercato di mantenere buoni rapporti con le tre potenze regionali del Golfo Persico: Arabia Saudita, Iraq e Iran. Per anni - spiega il Professor Paolo Wulzer, docente di Storia delle Relazioni Internazionali presso L'Orientale di Napoli - l’equazione occidentale è stata "petrolio in cambio di armi". Tutto cambia nel 1979, quando salgono al potere Khomeini in Iran e Saddam Hussein in Iraq. Gli Stati Uniti vedono dunque crollare uno dei due pilastri della propria egemonia nel Golfo, mentre l'Iraq, sfuggito all'orbita occidentale già dal 1958, radicalizza le proprie posizioni con il suo nuovo leader. Si passa così da una situazione regionale filo-occidentale a una nella quale si è perso l'alleato iraniano e non ci si può fidare del nuovo regime iracheno. Rimane di fatto solo l’Arabia Saudita, un alleato difficile da difendere. Infatti, è proprio dallo stringersi di questa alleanza indifendibile (quella tra Stati Uniti-Arabia Saudita), che sono sorti molti dei problemi tra gli americani e il mondo islamico. Nella guerra Iraq-Iran (1980-88), gli Stati Uniti hanno sostenuto prima l’Iran, pensando di poterne recuperare il controllo. Poi però hanno armato l'Iraq per contenere l'Iran, sebbene Saddam Hussein non fosse un alleato affidabile. La guerra del Golfo e l'invasione americana dell'Iraq nel 2003 sono il disperato tentativo di riportare sotto il controllo americano l'Iraq. Secondo il Professor Wulzer, la strategia americana nel Golfo Persico ha tradizionalmente cercato di avere almeno due delle tre potenze regionali dalla propria parte. In quest’ottica è coerente il comportamento del presidente Obama, che ha cercato recentemente un riavvicinamento con l’Iran, considerando che l'Iraq è in mano all'Isis e che quella con l'Arabia Saudita è un'amicizia forzata: gli Stati Uniti non possono fare a meno dei sauditi e viceversa. Per anni l’Arabia Saudita non ha avuto un esercito. Ora ha un piccolo apparato militare che non può competere con quello iraniano o con quello che aveva Saddam (adesso in parte in mano all'Isis). Senza la protezione degli Stati Uniti, l’Arabia Saudita non riuscirebbe a mantenere il controllo sul suo vasto territorio e sulle sue frontiere. Quella tra Stati Uniti e Arabia Saudita è un’alleanza indifendibile anche agli occhi degli stessi musulmani, visto che l’Arabia riveste un ruolo centrale per molti aspetti - basti pensare ai luoghi santi di Medina e La Mecca - ed è il leader del mondo arabo sunnita. Di fatto oggi il cuore delle questioni mediorientali è questa guerra fredda tra l'Arabia Saudita (sunnita) e l'Iran (sciita): si basa tutto sulla lotta per il potere fra questi attori e sull’intervento esterno degli Stati Uniti, a cui aggiungere di sfondo la questione palestinese e altre più piccole tensioni che contribuiscono al caos generale. La grande bugia di Bush e Blair sulla guerra in Iraq del 2003 e il fatto che per tre volte la politica estera americana abbia contribuito a creare l’Isis pongono molti interrogativi sull'attuale ruolo di Washington nella regione e sull’efficacia dell’operazione voluta da Obama in Iraq.