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Aborto, il «sì» torna all’attacco in Portogallo


La frase «No, obrigada» in portoghese ha un doppio significato: può volere dire «no, grazie», ma anche «non costretta». Ed è su questo duplice significato che domenica il Portogallo è chiamato a decidere con un referendum se depenalizzare o no l'aborto. Infatti, nel cattolicissimo paese iberico la legge sull'interruzione volontaria della gravidanza è assieme all'Irlanda la più severa d'Europa. È permesso abortire soltanto in tre casi: quando la gravidanza è frutto di una violenza sessuale e per gravi malformazioni del feto (fino alla 24a settimana) o se la madre corre un grave rischio fisico o psicologico (fino alla 12a settimana). Se l'aborto non rientra in questi tre casi, ci pensa il codice penale: sono previsti fino a tre anni di carcere (fino al 1984 erano otto) per chi ricorre all'aborto clandestino, sia per la donna che si sottopone all'interruzione di gravidanza che per il medico che lo esegue. Non è la prima volta che il Portogallo è chiamato alle urne su questo tema così spinoso. Già nel 1998 fu presentata una riforma che permetteva alle madri che lo volevano di abortire entro le prime dieci settimane. La legge fu sottoposta all'esame dell'opinione pubblica che al referendum disse «no» con il 50,9%. Ma il quorum non venne raggiunto, poiché solo il 32% degli aventi diritto aveva votato. Tuttavia l'alta percentuale dei «no» e la forte astensione costrinsero i promotori della legge a ritirarsi. Ora, a distanza di nove anni, nel secondo anno del governo socialista di José Socrates, il partito del «sì» è tornato all'attacco, riaccendendo il dibattito politico. Poche sere fa in Tv Aníbal António Cavaco Silva, presidente della Repubblica, si è espresso a favore del referendum: «È un problema che alimenta da sempre un dibattito molto animato nella nostra società proprio per le importanti questioni morali che racchiude. Deve decidere la gente». A dare manforte ai promotori del referendum è il numero degli aborti clandestini: 30 mila ogni anno. Ma i movimenti contrari all'aborto contestano queste cifre e accusano il governo di volere prendere come modello d'esempio la Spagna delle riforme zapateriane dove esiste una liberalizzazione quasi totale. Nel Paese confinante, infatti, con assoluta facilità e senza troppe domande, si tirano in ballo i rischi per la saluta della madre come valida ragione per interrompere una gravidanza. Il partito a favore della riforma, però, assieme al premier Socrates contesta l'eccessiva severità della legge e punta il dito sulla delicata questione della prigione per le donne. Il codice penale la prevede, anche se è dal 1987 che nessuna donna finisce dietro alle sbarre per questo reato. Di altro parere sono i movimenti «pro vita». Ammettono di essere contrari al carcere per le donne, ma rimangono favorevoli a mantenere l'aborto un crimine. Questi movimenti hanno creato associazioni che danno assistenza economica, medica e psicologica alle madri. Due settimane fa sono scesi per le strade di Lisbona in quindicimila per manifestare per il «no».