Snorki sarai tu!

Gay, ancora a quel punto?


Gay, ancora a quel punto Caro signor Frutterò, il sukkKo di quel ragazzo dell'istituto Sommeiller mi ha non solo addolorato, ma mi ha anche sconvolta nelle mie idee, lo credevo che la difficoltà dt essere gay fosse ormai praticamente superata. Invece c'è stato quel suicidio e poi il vostro giornale ha pubblicato quelle quattro testimonianze di vìttime del pregiudizio antigay. Possibile che dopo tanto parlare siamo ancora a quel punto lì? Irene Martinengo, OvadaGentile signora, condivido il suo orrore per quel suicidio e tuttavia sulle motivazioni ho qualche dubbio. E' molto probabile che i compagni - efferate carogne - lo abbiano tormentato con sibilanti accuse di omosessualità. Ma un ricordo personale, molto lontano e ahimè sempre molto vivido, mi costringe a confessare che anch'io sono stato un'efferata carogna. Avevo dodici anni, abitavo sulla riva destra del Po, ogni mattina scendevo verso il ponte, attraversavo piazza Vittorio, e entravo senza entusiasmo nel ginnasio-liceo Vincenzo Gioberti. Altri due ragazzoni abitavano nello stesso quartiere e capitava spesso che facessimo la strada insieme, anche al ritorno. Uno di loro, che chiameremo Guido, camminava un giorno molto davanti a me. n terzo mi raggiunse a metà della piazza. Cosa successe? Cosa ci prese? Non lo so, non ricordo, fu forse la suggestione dei romanzi polizieschi che leggevamo, forse il capriccio dì un momento, forse una sorta di gioco sperimentale. Guido andava tranquillo davanti a noi, avremmo potuto raggiungerlo, dargli una voce. Invece, io e l'altra carogna rallentammo. Avevamo deciso di «pedinarlo». Era un bambino come tanti, un compagno di scuola, non avevamo nulla contro di lui, non era il primo della classe, non era di pelle nera, la parola gay nemmeno esisteva. Eppure da quel giorno lo lasciammo andar solo, con noi due dietro i pilastri dei portici a tenerlo d'occhio. Perfino quando passava per la rapida visita in chiesa, I1 Annunziata, lo seguivamo nascondendoci dietro i confessionali. H gioco durò un mese, forse due, poi smettemmo per noia. Guido si accorse certamente dei nostri stupidi maneggi, certamente ne soffrì, dovette chiedersi perché lo trattavamo in quel modo. Non ne parlammo mai tra di noi e questa è anzi la prima volta in assoluto che racconto la storia. Sembra poca cosa, come bullismo. Ma io ne provo ancora una bruciante, irrimediabile vergogna. Se dopo settant'anni mi fa ancora quest'effetto vorrà pur dire qualcosa.Tratto da "La posta di Carlo Fruttuero" TuttoLibri (La Stampa) Pag. del 14.04.07