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Mediaset compra Endemol: problemi per Rai e La7


Polemiche sull'acquisto da parte di Mediaset di una delle società di produzione più importanti del mondo. Ma i problemi della Rai sono altri e devono essere risolti dalla politica (editore di riferimento). Come? Con un passo indietro.   “Mamma li turchi! Mediaset si è comprata Endemol e ora che facciamo? Paghiamo indirettamente il nostro diretto concorrente?”. Avrà pensato così qualche dirigente Rai, dopo aver saputo del colpaccio messo a segno dal gruppo di Cologno Monzese. Un indubbio successo, anche per l'Italia, che dopo essere stata marginalizzata in molti settori, arriva a controllare una multinazionale dei contenuti televisivi, che opera in 25 Paesi. Per chi è poco avvezzo al linguaggio degli addetti ai lavori, non è difficile capire la posta in gioco: in un futuro in cui la televisione tradizionale sarà ridimensionata a favore di nuove tecnologie (dal digitale terrestre alla banda larga di internet, passando per i telefonini), non sarà importante avere studi e ripetitori, ma piuttosto contenuti, in grado di essere trasmessi ovunque, venduti a chi offre di più. Detta in soldoni, è la cosiddetta “esternalizzazione” che negli ultimi anni ha visto le principali emittenti televisive del mondo (italiane comprese), rinunciare ad una produzione autonoma (soprattutto di idee), in favore di format comprati chiavi in mano. Solo per fare un esempio, Endemol ha prodotto per Rai e Mediaset il "Grande Fratello", "Affari tuoi", "La prova del cuoco", "Che tempo che fa". Chiaro l'affare del gruppo del Biscione, che al di là dei singoli programmi, si è comprato direttamente la fonte. In tutto questo, la Rai è stata messa davanti ad una verità banale, ma per nulla scontata. E cioè che un gruppo editoriale deve fare il suo mestiere, producendo idee, creando impresa, investendo in innovazione tecnologica e non, impegnandosi per la qualità. La stessa cosa che, per esempio, ha sperimentato la Fiat, tornata a vendere nel momento in cui, dopo anni di crisi, è riuscita a mettere di nuovo al centro ciò che sapeva fare: costruire automobili. Al contrario la Rai, continua ad essere stritolata dal controllo politico che non considera certo come priorità la dimensione imprenditoriale e culturale della TV pubblica. Come ai tempi della lottizzazione, prevale piuttosto la logica del tutti contro tutti e delle zone di influenza. Una parte piazza i suoi uomini ai posti di comando senza avere neppure la buona creanza di considerare come unici parametri il merito e la professionalità, mentre l'altra si fa attanagliare dalla sindrome dell'accerchiato, per cui sempre e comunque gli altri la stanno facendo sporca. Le capacità imprenditoriali non contano e non importa se un Carlo Freccero - che di televisione ne capisce - rimane fermo per 5 anni o un Giovanni Minoli rimane relegato a palinsesti notturni: è l'appartenenza politica (nessuno escluso) che conferisce oneri e onori. E così, un'azienda con numeri folli (circa 10mila dipendenti) non è stata più in grado di produrre programmi di prima serata, offrire un'informazione realmente competitiva, coltivare un vivaio interno di nuove professionalità. Nodi che vengono al pettine, nel momento in cui il tuo diretto concorrente si trova nella posizione di vendere i tuoi stessi programmi. Ma non è forse più profondo il problema? L'affaire Endemol del resto ha messo in evidenza debolezze già presenti che la politica (editore di riferimento della Rai) è chiamata a risolvere. Come? Con un'unica risposta: il passo indietro.