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Transnistria, lo stato che non c'è


Il presidente Igor Smirnov è padre e padrone dello Stato clandestino di Transnistria. Prima di arrivare qui, nella repubblica autoproclamata di Transnistria, lo Stato che batte moneta, che sventola una bandiera ed un esercito ma che per il mondo non esiste, Sevtov-Antufeev stava a Riga. Un giorno quattro giornalisti troppo curiosi furono ammazzati, e Antufeev dovette cambiare aria. Così anche lui è riparato qui, nei quattromila chilometri quadrati di campagna e di miseria dove da quindici anni non esiste altra legge che quella del partito comunista e del suo presidente. Dove politica, esercito, affari, televisione e telefoni sono nelle mani di Smirnov, il colosso siberiano arrivato qui nel 1980. E dove il patto d'acciaio tra i relitti dell'Armata Rossa e gli emergenti della mafia russa ha creato la più grande zona franca d'Europa per traffici ad alto valore aggiunto: denaro sporco, droga e soprattutto armi, tonnellate di armi che senza controllo partono dai vecchi arsenali sovietici e dalle fabbriche di Tiraspol verso i conflitti di tutta l'area, dal Kurdistan alla Cecenia, dall'Ossezia alla Serbia. Ovviamente, anche i buyer di al Qaeda - si legge nei rapporti dei servizi segreti moldavi - sono arrivati a fare shopping in questo ben di Dio.Arrivare in Transnistria può essere semplice o impossibile. Dipende dal caso, da chi sei, dall'umore del graniciero, il miliziano che ti sta davanti quando arrivi alla frontiera sul ponte sul Niestru. Fino al ponte è Repubblica di Moldovia. Neanche trenta chilometri separano Chisinau, la capitale moldova, dal fiume e dai suoi posti di blocco.Posti di blocco, check point, dogane, agguati armati? Cosa siano esattamente non lo sa nessuno. Perché per il mondo questa non è una frontiera. La Moldova ufficialmente si estende anche ad est del Niestru, fino al confine ucraino. Ma da quindici anni la Transnistria si è autoproclamata Stato. Sul ponte sventola la bandiera rosso-verde-rossa. Sui berretti dei suoi soldati brillano la falce e il martello.  Fino alla dissoluzione dell'Urss, in queste strade regnava la Quattordicesima Armata sovietica. Igor Smirnov era già in zona ma faceva un altro lavoro: ufficialmente mandava avanti una fabbrica di componenti elettrici, in realtà dirigeva l'ufficio locale del Kgb. Oggi Smirnov è il presidente. La Quattordicesima si è dissolta, anche se duemila dei suoi uomini sono ancora acquartierati da queste parti. A contare, più dei soldati russi sopravvissuti, sono però quelli che hanno cambiato mestiere, i ragazzi della Brigata Solntsevo, uno dei clan più potenti della malavita moscovita, che nella sedicente repubblica si sono acquartierati armi e bagagli. Impossibile dire quanto durerà. E quanto resisterà il potere assoluto dello zar Smirnov. Oggi Smirnov ha in mano praticamente tutto. Suo figlio Vladimir è presidente delle dogane. L'unica società autorizzata a intrattenere rapporti commerciali con l'estero è la Sheriff, di proprietà di Smirnov. L'unica benzina in vendita è la benzina Sheriff. La compagnia di telefonia mobile è del figlio di Smirnov, quella di telefonia fissa pure. E lo Sheriff è la squadra di calcio che il presidente Smirnov possiede, e che guida indisturbata la classifica. Apparentemente Smirnov è un monarca assoluto. Ma c'è chi dice che a tenerlo a galla, in una singolare versione di democrazia, sia il consenso dei clan che dominano il mercato del crimine. Sullo stadio di Tiraspol, mentre lo Sheriff demolisce il Nistru di Otaci, soffia il vento freddo dei Carpazi. Chissà se, chiuso dietro i vetri blindati, pallido e gonfio, anche Igor Smirnov si chiede quanto durerà.