Snorki sarai tu!

Berté: per Sanremo ho fatto tutto io (Sognando il premio della critica)


Scordatevi la Berté alterata e urlante: quella, per dire, che si barricava in camera nell'albergo superlusso di Roma assediato dai fotografi (peraltro una bufala mediatica), o quell'altra dal pittoresco intercalare non proprio da quartieri alti. Mi accoglie nella sua residenza milanese, in completo lungo nero e fasciona coordinata sui capelli orgogliosamente sale-e-pepe, una Loredana di tutt'altra pasta, con il rossetto rosa. Calma, lucida e gentile ancorché terribilmente impegnata: perché di questo Sanremone che sta per affrontare, vuol avere il controllo totale. Ha curato ogni risvolto, i minimi dettagli. Ha disegnato le cartelline stampa e l'arrangiamento della canzone; vestiti e cappelli - assai originali - sono sue creazioni, una sartoria milanese di tradizione li sta febbrilmente cucendo: «E ho deciso che vado a cantare con la borsetta», sorride. La strada per Sanremo è stata lunga e non facile, un percorso impervio che ha lasciato qualche ferito per strada, più etichette in preda a crisi di nervi, collaboratori dimessi o licenziati, ma ora l'eterna icona del rock italiano, una che ancora riesce ad accendere con le sue avventure esistenziali l'immaginario collettivo, è soddisfatta. Tutto - dice - fila alla perfezione: «Direttore d'orchestra è Fio Zanotti, 'na bomba. Per la serata del duetto alla fine ho pensato a Spagna, sta studiando: c'è un'idea da rimanere a bocca aperta, mia». In breve, ha fatto tutto lei, guadagnandone in assennatezza anziché perderci i nervi: in simili frangenti, càpita di solito il contrario. «Voglio andare a Sanremo un'ultima volta: e, se lo meriterò, prendere il premio della critica intitolato a mia sorella, Mia Martini. Poi, basta», confessa a muso duro, mettendo l'accento sul merito: per questo tanto ardore, a partire naturalmente dalla canzone. Di «Musica e parole», su una musica di Radius della Formula Tre che lei stessa ha ritrovato («lui non si ricordava neanche più di averla composta») ha scritto lei un testo che dipinge la sua fosca visione del mondo: «E' il ritorno indietro della civiltà, un soggetto che di certo condividerebbe anche il Papa: dico quel che dice la Bibbia, l'Apocalisse. L'ultimo secolo è stato un secolo del Diavolo: l'Olocausto, le guerre mondiali. Ho messo riferimenti al cristianesimo, all'ebraismo, alla mania di apparire, al consumismo». Lucifero spunta nel testo e nelle cartelline stampa, con fattezze spaventose. Un pezzo solenne, insomma, di indubbia efficacia, cantato con la grinta che tutti ben conoscono, che spiazza fra classicismi, rock, modernità. Loredana è fierissima di una intro di 12 secondi dall'«Uccello di fuoco» di Stravinsky, che prepara ad un ascolto solenne: «Nessuno nel pubblico si sentirà di alzarsi nemmeno se gli scappa la pipi. Tutti penseranno: e 'che, è morta la Regina Elisabetta?». Orchestra utilizzata al massimo («timpani, arpe, tutto, tutto»), ritornello quasi techno: «'Na bomba». Testo amarissimo: «Casting di comparse/d'infinite farse/è la storia», canta. E spiega: «Io lo so, sono stata in quei salotti lì. Ho sentito con le mie orecchie Bush e i suoi a tavola, parlar delle vittime e degli assalti: con che tono?». Lo aveva raccontato anche a "Invasioni Barbariche", di esser stata a cena da Bush padre con l'allora marito Bjorn Borg, aveva detto che c'era pure Bin Laden, a tavola: e la Daria Bignardi non aveva fatto neanche un plissè. Così, adesso, Loredana ha messo giù nero su bianco, in forma poetica: «Paradiso un corno/stiamo già all'inferno...». A Sanremo promette un silenzio discreto, una riservatezza che spiazzerà i più. «Dopo il Festival, voglio finalmente prendermi una vacanza, breve. Poi andrò in tournée», racconta: da troppo tempo non va in vacanza, sogna il mare ma non quello d'inverno. Mi mette sotto il naso la confezione dei dischi in uscita, che ha appena disegnato: «E' un supporto a forma di croce, contiene due dvd di due concerti, dell'81 e dell'84, più due cd con le stesse canzoni e il brano di Sanremo». Com'è intitolato, Loredana? «Bertilation, invece che la solita "compilation". Bello, no? L'ho inventato io».