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Schifani, Alemanno e la destra allergici alle critiche


«Echi deformati», «manipolazioni che non hanno dignità di generare sospetti». La destra al governo fatica a reggere le critiche, né tantomeno digerisce bene la pura e semplice verità. Nel weekend in cui si è scatenata la vicenda Travaglio-Schifani tutta incentrata sui racconti del giornalista che documentano i rapporti del presidente del Senato con alcuni esponenti mafiosi, anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno se la prende con la stampa, colpevole di descriverlo ancora in camicia nera. Questa volta però nel mirino c’è un giornalista inglese, John Follain del Sunday Times. A lui Alemanno ha scelto di concedere la sua prima intervista con la stampa estera, e non è per niente contento di com’è andata. Già il titolo scelto per il colloquio («“L’Italia aveva bisogno del fascismo”, dice il nuovo Duce») dev’essergli andato di traverso.«L'intervista è stata deformata in maniera quasi vergognosa», dice il giorno dopo Gianni Alemanno. Tutta colpa di quelle frasette in cui si dice che «ciò che è positivo del fascismo, dal punto di vista storico, è il processo di modernizzazione. Il fascismo – racconta Alemanno – fu fondamentale nella modernizzazione dell'Italia. Il regime prosciugò le paludi, creò le infrastrutture del Paese» e cita l'Eur come, «esempio dell'architettura che contribuì al processo di modernizzazione che diede rilievo all'identità culturale dell'Italia».A dire il vero, non è solo la destra a prendersela con il giornalista. Anche il direttore generale della Rai, Claudio Cappon, si è dissociato definendolo un episodio deprecabile e un comportamento a suo avviso ingiustificabile, tanto da aver preso contatti con le strutture aziendali per le iniziative del caso. Cappon si riconosce nelle parole del direttore di Raitre Paolo Ruffini, secondo il quale l'esercizio della libertà d’opinione non può mai sconfinare nell’offesa personale, tanto più grave se ciò avviene senza contraddittorio. E perfino Fazio, il conduttore del programma di cui Travaglio era ospite, ha detto: «Non posso che scusarmi».Solidale con Travaglio è invece Articolo 21. «Non ho sentito la voce degli esponenti della destra né quella di alcuni dirigenti Rai (e non tutti di destra) all'epoca dell'editto bulgaro - dichiara Giuseppe Giulietti, parlamentare dell'Idv e portavoce dell'associazione Articolo21 - e neppure alcune settimane fa quando a reti semi-unificate è stato consentito l'elogio di Mangano (lo stalliere di Berlusconi condannato per mafia, ndr), senza contraddittorio alcuno o quando vi è stata un'esaltazione dei fucili padani, subito derubricata a goliardata da compiacenti “reggimicrofono”. In quel caso, ci fu un signorile silenzio tombale».Sostegno al giornalista anche da Antonio Di Pietro, secondo il quale «Travaglio ha fatto semplicemente il suo dovere raccontando quel che sono i fatti. Episodi – aggiunge – che non possono essere cambiati o taciuti solo perché, da un giorno all'altro, una persona diventa presidente del Senato oppure, e solo per questo, cancellare con un colpo di spugna la sua storia e il suo passato». Per Di Pietro, «un giornalista che racconta, citando episodi specifici, non ha bisogno di alcun contraddittorio. Questo, semmai, deve essere fatto dai politici quando si confrontano tra di loro. Il cronista racconta come sono andati i fatti e paradossalmente vorrebbe dire che ogni qualvolta egli scrive o riporta la cronaca di una rapina, si dovrebbe ascoltare anche la versione del rapinatore».