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Honduras: Zelaya sfida golpisti, ma rientro fallisce


Tentativo fallito di rientro in patria per Manuel Zelaya, al termine di una giornata drammatica: il presidente deposto dell'Honduras ha qualche ora fa cercato di tornare nel suo paese, ma è solo riuscito a sorvolare per qualche minuto la pista d'atterraggio dell'aeroporto di Tegucigalpa, bloccata dai militari per ordine del governo de facto presieduto da Roberto Micheletti. Ad attendere il rientro di Zelaya, una settimana esatta dopo il golpe, c'erano i suoi simpatizzanti (secondo alcune fonti, circa 30 mila) che fin dal mattino si erano recati all'aeroporto 'Toncontin' di Tegucigalpa. 
Dopo ore di tensione, le forze della sicurezza (polizia ed esercito) hanno caricato, provocando almeno due morti, tra i quali una adolescente di 16 anni, mentre molti sono stati i feriti. Dopo il tentativo andato a vuoto a Tegucigalpa, l'aereo messo a disposizione dal Venezuela, con il quale Zelaya era partito quattro ore prima da Washington, è poi atterrato a Managua, da dove il presidente intendeva trasferirsi a San Salvador, per incontrare alcuni colleghi latinoamericani e il segretario generale dell'Organizzazione degli stati americani (Osa), José Miguel Insulza, che da giorni sta cercando di portare avanti una mediazione. All'aeroporto, tenuti a distanza dalle forze di sicurezza, i simpatizzanti pro-Zelaya hanno per ore urlato slogan contro "i militari del colpo di Stato", chiedendo il "rientro del presidente", mentre ogni tanto scrutavano il cielo in attesa dell'aereo con Zelaya. Gli incidenti sono esplosi nel pomeriggio, quando la polizia ha risposto al tentativo di alcuni manifestanti di raggiungere la pista di atterraggio, blindata ormai da ore dai soldati. C'é quindi stato il lancio di gas lacrimogeni e spari. Al termine degli scontri, durati una decina di minuti, è tornata una relativa calma e, dopo circa un'ora, nel cielo sopra l'aeroporto si è sentito il sorvolo di un jet, subito salutato dai manifestanti anti-golpisti. A confermare che era in effetti l'aereo del presidente è stato lo stesso Zelaya che, tramite l'emittente Telesur, ribadiva di voler atterrare nello scalo. Zelaya ha però poco fatto sapere di dover desistere per consiglio dei piloti, visto che - ha spiegato - era impossibile scendere a causa del dispiegamento dei militari e di alcuni camion collocati sulla pista d'atterraggio. "Rischiavamo un incidente con l'aereo", ha precisato, sottolineando - con il pensiero rivolto ai suoi sostenitori - che "se avessi un paracadute, sarei pronto a lanciarmi". Qualche ora prima, Micheletti aveva ribadito che non avrebbe permesso l'ingresso di Zelaya, durante una conferenza stampa nella quale ha d'altro lato denunciato "la mobilitazione alla frontiera di piccoli gruppi di truppe nicaraguensi": accusa subito smentita da Managua da parte del presidente sandinista, Daniel Ortega. Sul fronte diplomatico, dopo la missione ieri a Tegucigalpa di Insulza, nelle ultime ore c'é da registrare una mossa da parte del governo de facto proprio in direzione di tale organismo: la vice-ministro degli Esteri di Micheletti, Martha Alvarado, ha proposto all'organismo "di avviare un dialogo in buona fede tra una delegazione dell'Honduras... e una dei rappresentanti degli Stati membri dell'Osa". Oltre all'aereo messo a disposizione da Caracas per il volo di Zelaya, Insulza, e i presidenti latinoamericani più vicini al presidente deposto (l'argentina Cristina Fernandez Kirchner, il paraguaiano Fernando Lugo e l'ecuadoriano Rafael Correa) erano a loro volta partiti in un altro aereo, sempre da Washington, per El Salvador. L'obiettivo era quello di poter incontrare il presidente deposto per fare il punto sull' 'operazione rientro', poi fallita, e sui prossimi tentativi dello stesso presidente per rientrare in patria: forse "domani o dopodomani, mercoledì o giovedì", ha tenuto a precisare Zelaya.