Snorki sarai tu!

Intervista confessione di Margherita Hack


Margherita, evidentemente, è un nome troppo vezzoso e così il marito - suo marito da 62 anni - la chiama Marga, che le sta benissimo. Marga è in calzoni comodi, felpa, mocassini robusti. Ha un bel sorriso naturale e gli occhi limpidi e celesti come quand'era giovane. Cammina veloce, sale bene le scale del suo giardino, una casa in cima a una salita dove si arriva col fiatone, accolti da un cane e da tre gatte, che si chiamano Jenny, Trappola e Cicciolina. Marga l'astrofisica è abbastanza in vena per parlare di cose personali, forse frivole o forse importanti. Non quasar, non pulsar, nane bianche, buchi neri e supernove. Ma vestiti, trucco, femminilità, vanità, shopping. Soprattutto amore. Sembra sollevata all'idea di prendersi una vacanza dall'impegno quotidiano, dalla politica che la vede schierata come capolista alla Camera assieme a Diliberto nel Partito dei Comunisti Italiani in Friuli, come candidata indipendente. "Spero proprio di non essere eletta", ride di cuore. Dunque il privato. E dunque Aldo De Rosa, suo marito da anni immemori. L'altra metà della mela, complementare in tutto, lei atea lui cattolico, lei una scienziata lui un letterato ("un'enciclopedia vivente che consulto in continuazione"), lei del tipo aggressivo e lui pacioso, "imprevedibile, timido, sognatore, come un extraterrestre, il mio opposto". Si sono conosciuti da bambini, a Firenze, dove lei abitava profeticamente in via Centostelle. "Io avevo 11 anni e lui 13, ci incontravamo ai giardini pubblici. Giocavamo a guardie e ladri, noi s'era sempre i ladri. Facevamo anche grandi tornei di palla e corse di resistenza. Ci arrampicavamo sugli alberi, e io lo battevo sempre". La loro frequentazione si interrompe per dieci anni: il padre di Aldo, commissario di polizia, viene trasferito, prima all'Aquila, poi a Palermo. "Ci siamo ritrovati all'università e a dire il vero ci eravamo piuttosto antipatici. Si leticava sempre, non mi ricordo poi com'è finita che ci siamo innamorati e addirittura sposati". Da ragazza, campionessa di salto in lungo e di salto in alto, Marga era fascista: "Si era tutti nazionalisti, si andava alle adunate, si faceva sport, ci si divertiva un mondo. Sono stata fascista fino al '38, fino al giorno in cui entrarono in vigore le leggi razziali. Avevo una professoressa di scienze bravissima, si chiamava Enrica Calabresi, con un centinaio di pubblicazioni al suo attivo, che era ebrea e da un giorno all'altro non venne più a scuola. Cercammo di informarci, di sapere che cosa le era capitato e solo dopo la guerra venimmo a sapere che era stata rinchiusa a Santa Verdiana, il carcere femminile di Firenze, e venti giorni dopo morì suicida: si avvelenò". Nel '44, a febbraio, Margherita e Aldo si sposano. "Io non avevo nessuna voglia di sposarmi. Considero il matrimonio una cosa inutile. In chiesa poi! Mi vergognavo come un cane. Ma i genitori di Aldo erano religiosi, erano credenti, ci tenevano... Il mio abito da sposa? Un cappotto rivoltato. Celeste, credo. E cosa portavo sotto non me lo ricordo neppure. Niente di speciale comunque. Anche Aldo aveva un cappotto rivoltato. Una cerimonia semplicissima, eravamo sette o otto persone in tutto. Nessun pranzo di nozze. Andammo lui e io da soli a mangiare in una trattoria a piazzale Michelangiolo. Mangiammo certi spaghetti al pomodoro così cattivi che ancora me li ricordo. Ci voleva la tessera per mangiare: si staccavano i bollini". Margherita Hack sa che c'è un attore molto bravo, si chiama Max Tortora, che le fa una splendida imitazione, ma non l'ha mai sentito, non l'ha mai visto. Se ne infischia allegramente di essere presa in giro sulla sua, diciamo così, non vanità. "Da giovanissima un po' ci tenevo. Mi piaceva vestirmi bene, anche se sempre in modo molto semplice. Truccarmi no, al massimo avrò messo qualche volta un po' di rossetto. Ma se i capelli non mi stavano come volevo io pativo molto. Poi m'è passata. A 18 anni ho smesso di badarci. Non mi sentivo più incerta. Molta sicurezza me l'ha data lo sport. E forse anche il successo negli studi, la matematica. Mi sentivo forte". Niente trucco, niente abiti femminili, niente shopping: "Ancora oggi per me è la peggiore delle condanne. Piuttosto vò vestita di stracci. Se devo entrare in un negozio mi vergogno, ci vado soltanto quando è indispensabile, preferisco i grandi magazzini, perché nei negozi normali mi appioppan quel che voglion loro". Chissà se oggi, a 84 anni, con una vita piena di successi e gratificazioni alle spalle, tanti amici, figli di amici, nipoti di amici alcuni dei quali sono già in cattedra, le capita mai di rimpiangere di non avere avuto bambini. "Mai, mai. Noi i figlioli non si volevano. C'è chi è portato e chi non è portato: io non sono portata. Da ragazza poi mi dava molta noia tutta quella propaganda di Mussolini secondo cui le donne dovevano fare figlioli per forza, e anche tanti. Oggi c'è molta retorica attorno alla maternità. Io preferisco i gatti". Dai genitori non ha avuto nessun condizionamento. "Mi hanno cresciuta nel modo più libero, senza ancorarmi ai ruoli femminili, inculcandomi due valori fondamentali: la libertà e la giustizia. Una grande fortuna per me". E la religione? "Mio padre era nato protestante, mia madre cattolica, ma erano entrambi disgustati della loro religione e aderirono alla teosofia, laicamente però". Atea, e in modo granitico, lo è diventata prestissimo. Non crede in nessun sublime orologiaio: "L'idea che esista Dio mi sembra talmente assurda! Non c'è né Dio, né l'aldilà, né l'anima. Quello che noi chiamiamo anima è il nostro cervello. Non credo nella vita dopo la morte e tanto meno credo a un paradiso in versione condominiale, dove rincontrare parenti, amici, nemici, conoscenti. Non mi soddisfa. Certo, può essere consolatorio: un po' come credere alla Befana...". Ma professarsi così strenuamente atea non è, alla fine, una forma di fede anche quella? "Dice? La verità è che non me n'è mai fregato nulla della religione, a esser sincera". Né della religione né della morte: "Non me ne preoccupo minimamente. Io la penso come Epicuro. Quando c'è la morte non ci sono io, e quando ci sono io non c'è la morte. Della malattia sì, ho paura: ho paura di soffrire, di non essere più autonoma, per questo sono così favorevole all'eutanasia. La vita e la morte appartengono all'uomo e non a Dio. Uno Stato laico e non teocratico deve riconoscere il diritto all'eutanasia come all'aborto, ai pacs, al divorzio, alla ricerca sulle cellule staminali embrionali". Lo ripete ogni volta che può. Quando va in televisione per esempio. La sua tv è piccola e un po' sbilenca: la accende soltanto per guardare i telegiornali e i dibattiti, essenzialmente su Rai3 e la7. Confessa di avere un debole - sarà perché è animalista - per Il commissario Rex; quanto ai reality li etichetta come "tutte bischerate". Il suo approccio con le stelle è quanto di meno "poetico" si possa immaginare: "Capisco che un bel cielo stellato possa essere uno spettacolo meraviglioso, ma come un bel tramonto, come una bella aurora, come un magnifico paesaggio, non a caso l'Unesco ha dichiarato il cielo stellato patrimonio dell'umanità. Ma perché turbarsi?". Abituata a scrutare l'infinito, Margherita Hack alle stelle non chiede segni ma temperatura, densità, composizione chimica. "La gente ci immagina a testa in su che studiamo il cielo con un cannocchiale. Ma quando mai? In realtà stiamo molto più tempo al computer. Anzi: i telescopi moderni sono dei computer su cui i rilevatori elettronici traducono l'intensità delle radiazioni delle stelle esprimendola in numeri". Ammette di avere con il firmamento lo stesso approccio che gli entomologi hanno con gli insetti e non condivide la celebre affermazione di Kant: "Due cose mi riempiono l'animo di crescente meraviglia e di timore: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me". La legge morale benissimo, anche la meraviglia di fronte alle stelle, ma non certo il timore: "È sbagliato provare questo senso di annientamento. Anzi: quel che sento io è proprio il contrario. È una grande soddisfazione al pensiero che noi siamo così piccini, viviamo così poco, eppure negli ultimi cento anni siamo riusciti a capire così tanto di astrofisica, c'è stata un'accelerazione incredibile". Se avesse la bacchetta magica chiederebbe di poter campare altri diecimila anni, perché è curiosissima del futuro: "Altri diecimila anni per scoprire cos'è la materia oscura, arrivare al primo istante del big bang, vedere tutte le conseguenze meravigliose che avrà la mappatura del dna". Se potesse o dovesse trasferirsi su Marte, in fondo il meno inospitale fra i pianeti del sistema solare, porterebbe con sé "Guerra e Pace, la Montagna incantata, Vivaldi, Mozart e Bach. E anche la mia amatissima bicicletta: su Marte sicuramente non c'è traffico". In bici - per ora sulle salite e sulle discese di Trieste - ci va ancora, mentre ultimamente ha rinunciato alle partite di pallavolo: "Ho le ginocchia di titanio, non posso più saltare". Moni Ovadia l'ha definita una straordinaria affabulatrice: "Forse perché quando faccio le conferenze o tengo lezione, riesco a sorprendere chi mi ascolta dicendo cose meno ovvie. Mica faccio come gli americani però, che raccontano tutte quelle barzellette!". Da brava affabulatrice ha scelto la favola delle favole, Pinocchio, come "libro di una vita" di cui andrà a parlare a Roma il prossimo giugno nella basilica (aiuto, una chiesa!) di San Lorenzo in Lucina: "Pinocchio perché è il libro sul quale ho imparato a leggere. Perché è il libro delle avventure. Perché c'è dentro tanti insegnamenti che si attagliano a oggi: i ladri fuori, gli onesti in galera...". Già, i libri: tracimano in questa piccola casa frugale. Saranno trentamila, stipati ovunque, in un disordine travolgente nel quale Marga sembra orientarsi perfettamente, per nulla scoraggiata. Ci sono pile che partono da terra e arrivano fin quasi al soffitto, pile sul tavolo da pranzo, pile in cucina, pile di fronte ai vecchi divani, pile su cui saltano elastici i gatti. Ne prendo un paio a caso, fra quelli più a portata di mano. Uno si intitola I labirinti del sacro, dalla protostoria alla New Age quantistica. Un altro è l'autobiografia di Rossana Rossanda, La ragazza del secolo scorso. Margherita Hack si guarda intorno, sorride e allarga le braccia: "È il tempo, è il tempo che mi manca. Quando riuscirò a leggere tutto questo?".