I GIOVANI DI OGGI SONO CONTINUAMENTE A CACCIA DI MODELLI, MA GLI ESEMPI DA SEGUIRE SONO POCHI E FUORI DAL TEMPO La società moderna schiacciata tra “vecchietti” e “furbetti” Dinosauri e sciacalli. Non è la strana coppia di uno zoo fantascientifico, ma i due volti della classe dirigente italiana. È ormai uno sport nazionale darsi alle battute di caccia grossa contro i dinosauri della politica che intasano il ciclo del naturale ricambio generazionale. L’elite del potere italiano non è fondata sul valore, sulle virtù, sulla ricchezza, sul censo, sulla violenza, sul carisma, sull’appartenenza a certi gruppi o a certe ideologie. Queste sono le teorie di ogni manuale di scienza politica. Niente di tutto questo. L’Italia è l’eccezione pratica che conferma la regola teorica. L’età è la chiave per entrare nella stanza dei bottoni. Proprio come accadeva nell’antichità. Siamo un regime gerontocratico governato da vecchi, vecchissimi, gente fuori dal tempo: ecco i nostri attuali governanti, che poi sono quelli di sempre. Nel vero senso della parola, sono gli stessi di trent’anni fa. I soliti noti colpiscono sempre. Il ‘68, gli anni di piombo, il pentapartito, la fine del comunismo, Mani pulite, la seconda Repubblica. Dinosauri che hanno resistito ad ogni glaciazione, ad ogni colpo di pistola alla caduta della falce col martello e persino alla falce della morte. È sbagliato, però, ridurre il problema della classe dirigente al fattore anagrafico. Una classe dirigente ammuffita logora l’intero Paese. È come un tarlo che rosica lentamente il legno scavando solchi sempre più profondi. Alla fine marcisce un tronco intero. In queste cavità s’intrufolano i piccoli delinquenti, i teppisti del marciapiede, gli arrivisti più spregiudicati che sanno approfittare di una politica patologica. È la furbizia di dire: tutto è marcio, quindi ne approfitto. Ecco il motto dei furbetti, di cui Danilo Coppola è l’ultimo ad esser stato pizzicato. Ma c’erano altri, non solo Ricucci, non solo a Roma. C’era un certo Fiorani, e prima di lui un certo Sindona, indietro fino alla notte della Repubblica, a quel Mattei la cui morte costò la vita anche a Pasolini… e così molti altri. Tutti uniti dalla volontà di spezzare il monopolio di una classe dirigente che da sempre è anchilosata alla poltrona e ha chiuso a doppia mandata ogni porta d’ingresso. Murata viva. Il muro dentro. Con le mani artritiche a stringere lo scettro del potere. Quando la realtà è questa, l’unica alternativa è la disperazione oppure il suo inverso, cioè la volontà di far saltare la sedia e chi ci sta seduto. Costi quel che costi, dando l’addio alla legalità e ad un futuro sereno e solido. Il futuro non si costruisce. Il futuro si rapina a mano armata uccidendo la realtà, perché la nostra è una realtà che ha sequestrato il futuro. Apatia o ribellione, entrambe le alternative conducono al fallimento, cioè alla sopravvivenza del vecchio. Coppola è l’incarnazione della gioventù che si ribella ai vecchi, ma finisce per esserne la naturale vittima. Non può che essere così. I vecchi obbligano i giovani a sbagliare, costringendoli a fare gli sciacalli contro loro stessi. E davanti alle orde di sciacalli l’unica reazione è farli fuori, perché diventano un pericolo pubblico. Un’altra brutta lezione per i giovani. Un altro incitamento al bullismo nelle scuole, alla disobbedienza delle masse e alla ribellione del terrorismo politico. Tutti bubboni gonfi della stessa infezione: l’estromissione delle nuove generazioni dal potere e la loro reclusione nelle gabbie della televisione, dell’edonismo, del vuoto pneumatico di valori, morali, civili e politici. Escludere dal potere i giovani di ieri e quelli di oggi significa violare il significato della Repubblica per manipolarla in una oligarchia. Una Repubblica di facciata e una democrazia per finta. La sostanza è la condensazione del potere nelle solite mani. Quando il potere non circola più nel corpo sociale, le sue arterie si irrigidiscono fino a otturarsi. Cos’è la partitocrazia se non l’arterio-sclerosi del sistema politico? La società, i gruppi, gli individui restano isolati dal potere, senza ossigeno. E allora diventano tutti maestri nell’arte di arrangiarsi perché il vuoto non esiste, né in natura né in politica. Però nessuno si lamenti che l’Italia è soggiogata dalle corporazioni, dagli interessi forti, dalla frammentazione che richiede sempre soluzioni particolari, vanificando l’efficacia della politica lacerata in tante pezze da rattoppo. Se il potere è rinchiuso nella cassaforte, ognuno fa quello che può, ognuno è tentato dall’arbitrio e le leggi divengono consigli superflui. È la morale del disimpegno, che stabilisce la fine di ogni morale. Ma i giovani continuano sempre a cercare modelli su cui basare le scelte della loro vita. Quali modelli? Vecchietti e furbetti.
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I GIOVANI DI OGGI SONO CONTINUAMENTE A CACCIA DI MODELLI, MA GLI ESEMPI DA SEGUIRE SONO POCHI E FUORI DAL TEMPO La società moderna schiacciata tra “vecchietti” e “furbetti” Dinosauri e sciacalli. Non è la strana coppia di uno zoo fantascientifico, ma i due volti della classe dirigente italiana. È ormai uno sport nazionale darsi alle battute di caccia grossa contro i dinosauri della politica che intasano il ciclo del naturale ricambio generazionale. L’elite del potere italiano non è fondata sul valore, sulle virtù, sulla ricchezza, sul censo, sulla violenza, sul carisma, sull’appartenenza a certi gruppi o a certe ideologie. Queste sono le teorie di ogni manuale di scienza politica. Niente di tutto questo. L’Italia è l’eccezione pratica che conferma la regola teorica. L’età è la chiave per entrare nella stanza dei bottoni. Proprio come accadeva nell’antichità. Siamo un regime gerontocratico governato da vecchi, vecchissimi, gente fuori dal tempo: ecco i nostri attuali governanti, che poi sono quelli di sempre. Nel vero senso della parola, sono gli stessi di trent’anni fa. I soliti noti colpiscono sempre. Il ‘68, gli anni di piombo, il pentapartito, la fine del comunismo, Mani pulite, la seconda Repubblica. Dinosauri che hanno resistito ad ogni glaciazione, ad ogni colpo di pistola alla caduta della falce col martello e persino alla falce della morte. È sbagliato, però, ridurre il problema della classe dirigente al fattore anagrafico. Una classe dirigente ammuffita logora l’intero Paese. È come un tarlo che rosica lentamente il legno scavando solchi sempre più profondi. Alla fine marcisce un tronco intero. In queste cavità s’intrufolano i piccoli delinquenti, i teppisti del marciapiede, gli arrivisti più spregiudicati che sanno approfittare di una politica patologica. È la furbizia di dire: tutto è marcio, quindi ne approfitto. Ecco il motto dei furbetti, di cui Danilo Coppola è l’ultimo ad esser stato pizzicato. Ma c’erano altri, non solo Ricucci, non solo a Roma. C’era un certo Fiorani, e prima di lui un certo Sindona, indietro fino alla notte della Repubblica, a quel Mattei la cui morte costò la vita anche a Pasolini… e così molti altri. Tutti uniti dalla volontà di spezzare il monopolio di una classe dirigente che da sempre è anchilosata alla poltrona e ha chiuso a doppia mandata ogni porta d’ingresso. Murata viva. Il muro dentro. Con le mani artritiche a stringere lo scettro del potere. Quando la realtà è questa, l’unica alternativa è la disperazione oppure il suo inverso, cioè la volontà di far saltare la sedia e chi ci sta seduto. Costi quel che costi, dando l’addio alla legalità e ad un futuro sereno e solido. Il futuro non si costruisce. Il futuro si rapina a mano armata uccidendo la realtà, perché la nostra è una realtà che ha sequestrato il futuro. Apatia o ribellione, entrambe le alternative conducono al fallimento, cioè alla sopravvivenza del vecchio. Coppola è l’incarnazione della gioventù che si ribella ai vecchi, ma finisce per esserne la naturale vittima. Non può che essere così. I vecchi obbligano i giovani a sbagliare, costringendoli a fare gli sciacalli contro loro stessi. E davanti alle orde di sciacalli l’unica reazione è farli fuori, perché diventano un pericolo pubblico. Un’altra brutta lezione per i giovani. Un altro incitamento al bullismo nelle scuole, alla disobbedienza delle masse e alla ribellione del terrorismo politico. Tutti bubboni gonfi della stessa infezione: l’estromissione delle nuove generazioni dal potere e la loro reclusione nelle gabbie della televisione, dell’edonismo, del vuoto pneumatico di valori, morali, civili e politici. Escludere dal potere i giovani di ieri e quelli di oggi significa violare il significato della Repubblica per manipolarla in una oligarchia. Una Repubblica di facciata e una democrazia per finta. La sostanza è la condensazione del potere nelle solite mani. Quando il potere non circola più nel corpo sociale, le sue arterie si irrigidiscono fino a otturarsi. Cos’è la partitocrazia se non l’arterio-sclerosi del sistema politico? La società, i gruppi, gli individui restano isolati dal potere, senza ossigeno. E allora diventano tutti maestri nell’arte di arrangiarsi perché il vuoto non esiste, né in natura né in politica. Però nessuno si lamenti che l’Italia è soggiogata dalle corporazioni, dagli interessi forti, dalla frammentazione che richiede sempre soluzioni particolari, vanificando l’efficacia della politica lacerata in tante pezze da rattoppo. Se il potere è rinchiuso nella cassaforte, ognuno fa quello che può, ognuno è tentato dall’arbitrio e le leggi divengono consigli superflui. È la morale del disimpegno, che stabilisce la fine di ogni morale. Ma i giovani continuano sempre a cercare modelli su cui basare le scelte della loro vita. Quali modelli? Vecchietti e furbetti.