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Sole ad Oriente

Consapevolezza non è semplice conoscenza: essa corrisponde al grado in cui la conoscenza diventa totalmente e istintivamente applicata alla vita, poiché entra a far parte del bagaglio interiore della persona; a quel punto essa non ha più necessità di attraversare esperienze per imparare, né patirne le conseguenti sofferenze...

 

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"Parla solo se quello che dici è vero, utile, amorevole."
 
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"Sai cosa significa imparare?
Quando impari veramente, impari dalla vita; non c’è un insegnante particolare da cui imparare. Tutto ti è di insegnamento: una foglia morta, un uccello in volo, un profumo, una lacrima, il ricco e il povero, coloro che piangono, il sorriso di una donna, l’alterigia di un uomo. Impari da ogni cosa, quindi non hai bisogno di guide spirituali, di filosofi, di guru. La vita stessa ti è maestra, e tu sei in uno stato di costante apprendimento
."
 
 
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La paura

Post n°1438 pubblicato il 06 Aprile 2012 da 22k
 

LA PAURA

Che cos'è la paura? La paura può esistere solo in relazione a qualcosa, non
isolatamente. Come posso aver paura della morte, come posso aver paura di qualcosa che non conosco? Solo ciò che mi è noto può farmi paura. Quando dico che ho paura della morte, ho davvero paura dell'ignoto, che è la morte, o invece ho paura di perdere ciò che ho conosciuto? La mia paura non ha per oggetto la morte, ma l'idea di perdere i miei legami con le cose che mi appartengono. La paura è sempre in relazione con ciò che è noto, non con l'ignoto.

La mia indagine verterà ora sulle possibilità di essere liberi dalla paura
di ciò che conosciamo, la paura di perdere la propria famiglia, la reputazione, il carattere, il conto in banca, i desideri e così via. Potreste obiettare che la paura nasce dalla coscienza; ma la coscienza è plasmata dai condizionamenti, e dunque è ancora frutto di ciò che è conosciuto. Ma cos'è che conosco?

La conoscenza consiste nell'avere idee, opinioni sulle cose,
avere un senso di continuità in rapporto a ciò che è conosciuto, e nient'altro. Le idee sono ricordi, il risultato dell'esperienza, che è la
risposta a uno stimolo. Ho paura di ciò che conosco, il che significa che ho paura di perdere certe persone, cose o idee, ho paura di scoprire ciò che sono, paura di essere confuso, paura del dolore che potrebbe sopravvenire qualora perdessi o non vincessi o non provassi più piacere.

Si ha paura del dolore. Il dolore fisico è una reazione nervosa, mentre la
sofferenza psicologica insorge quando mi aggrappo alle cose che mi danno soddisfazione, perché allora ho paura di chiunque o di qualunque cosa possa portarmele via. Fin tanto che non vengono turbate, le accumulazioni psicologiche impediscono la sofferenza interiore; io sono un fascio di accumulazioni, di esperienze, che impediscono qualunque forma grave di turbamento - e non voglio essere turbato. Perciò ho paura di chiunque le turbi.

Dunque la mia paura è paura di ciò che conosco; ho paura delle
accumulazioni, fisiche o psicologiche, che ho acquisito al fine di evitare il dolore o prevenire la sofferenza. Ma la sofferenza è insita nel processo stesso di accumulazione volto a evitare il dolore. Anche la conoscenza aiuta
a prevenire il dolore.

Come le conoscenze mediche aiutano a prevenire il
dolore fisico, così le credenze aiutano a impedire la sofferenza psicologica. Ecco perché ho paura di dover rinunciare alle mie credenze, sebbene non abbia né una perfetta conoscenza, né una prova concreta della loro realtà. Posso forse respingere alcune delle credenze tradizionali che mi sono state inculcate perché la mia esperienza personale mi dà forza, fiducia, comprensione; ma le credenze e le conoscenze che ho acquisito sono fondamentalmente la stessa cosa: un mezzo per evitare il dolore.

La paura esiste fin tanto che c'è accumulazione di cose conosciute, il che
dà origine alla paura di perderle. Dunque, la paura dell'ignoto è in realtà paura di perdere le cose note accumulate. Nel momento stesso in cui dico, "Non devo perdere ciò che ho", ecco insorgere la paura. Benché io accumuli al fine di evitare il dolore, quest'ultimo è inerente al processo di accumulazione. Le
cose stesse che posseggo originano paura, che è dolore.

La difesa contiene in nuce l'offesa. Voglio la sicurezza fisica; dunque creo
uno Stato sovrano, che necessita di forze armate, il che significa guerra, la quale distrugge la sicurezza. Dovunque ci sia desiderio di autoprotezione, è presente la paura. Quando percepisco la fallacia delle richieste di
sicurezza, smetto di accumulare. Se affermate di percepire tutto ciò, ma di non poter fare a meno di accumulare, è perché non vi rendete` davvero conto che nell'accumulazione è intrinsecamente presente il dolore.

La paura esiste nel processo di accumulazione e la credenza in qualcosa è
parte di tale processo. Mio figlio muore, e io credo nella reincarnazione che mi impedisce, psicologicamente, di soffrire di più; ma nel processo stesso del credere è insito il dubbio. Esternamente accumulo beni e così scateno la guerra; internamente accumulo credenze, e porto sofferenza. Fin quando avrò questo bisogno di sicurezza, questo desiderio di avere conti in banca, di assicurarmi il piacere e così via, questa volontà di diventare qualcosa, fisiologicamente o psicologicamente, ci sarà inevitabilmente dolore. Le medesime cose che faccio per evitare il dolore mi portano paura, sofferenza.

La paura insorge quando desidero essere parte di un determinato schema.
 
Vivere senza paura significa vivere senza uno schema determinato. Quando aspiro a un particolare stile di vita, questo è già in sé fonte di paura. La mia difficoltà consiste nel desiderio di vivere in un certo contesto. Non posso spezzare tale contesto?

Posso farlo solo quando intuisco la verità: che il
contesto genera paura e che la paura rafforza il contesto. Se dico che devo spezzare il contesto perché voglio essere libero dalla paura, allora mi
limito a seguire un altro schema che genererà ulteriore paura. Qualunque azione io intraprenda che sia motivata dal desiderio di spezzare il contesto, creerà soltanto un altro schema, e perciò ancora paura. Come fare a spezzare il contesto senza generare paura, ossia senza alcuna azione conscia o inconscia da parte mia che abbia questo come obiettivo? Ciò significa che non devo agire, non devo fare alcuna mossa per spezzare il contesto. Cosa mi accade se mi limito a osservare il contesto senza fare niente per cambiarlo?

Capisco che la mente stessa è il contesto; essa vive secondo lo schema di abitudini
che si è costruita. Dunque, la mente stessa è paura. Qualunque cosa la mente faccia va nella direzione del rafforzamento di un vecchio schema o nella promozione di uno nuovo. Ciò significa che qualunque cosa la mente faccia per sbarazzarsi della paura genera paura.

La paura trova varie scappatoie. Il tipo più comune è l'identificazione, non
è così? Identificazione con la nazione, con la società, con un'idea. Avete mai fatto caso alle vostre reazioni alla vista di una processione religiosa o di una parata militare, o quando il paese corre il rischio di essere invaso?
Allora vi identificate con il paese, o con un essere, oppure con un'ideologia.

Ci sono altre occasioni in cui vi identificate con vostro figlio, con vostra
moglie, con una particolare forma di azione o di inazione. L'identificazione è un processo di oblio di sé. Fin quando sono cosciente dell'"io", so che c'è dolore, c'è lotta, c'è costantemente paura. Ma se posso identificarmi con qualcosa di più grande, con qualcosa che ne valga la pena, con la bellezza, con la vita, con la verità, con la fede, con la conoscenza, almeno temporaneamente, ecco una possibilità di fuga dall'"io", non è così? Se parlo del "mio paese", temporaneamente dimentico me stesso, non è così? Se posso affermare qualcosa a proposito di Dio, dimentico me stesso. Se posso identificarmi con la mia famiglia, con un gruppo, con un certo partito, con una determinata ideologia, ecco altrettante scappatoie temporanee.

L'identificazione è dunque una forma di fuga dal sé, anche se mascherata da
virtù è pur sempre una fuga dal sé. Colui che persegue la virtù fugge dal sé e ha una mente ristretta, non virtuosa, poiché la virtù è qualcosa che non si può perseguire. Quanto più ci si sforza di diventare virtuosi, tanta più forza si dà al sé, all'"io". La paura, che in forme diverse è comune a tutti noi, deve sempre trovare un sostituto e, di conseguenza, deve fomentare la nostra lotta. Quanto più ci identifichiamo con un sostituto, tanto maggiore è la forza con la quale ci aggrappiamo a ciò per cui siamo pronti a combattere e a morire, perché dietro di esso si nasconde la paura.

Ma sappiamo cos'è la paura? Non è forse la non accettazione di ciò che è?
Dobbiamo capire il termine "accettazione": non lo utilizzo per indicare lo sforzo fatto per accettare. Quando percepisco
ciò che è, la questione dell'accettare non si pone affatto. Quando non vedo con chiarezza ciò che è, allora introduco il processo di accettazione. Di conseguenza, la paura è la non accettazione di ciò che è. Come posso io, che sono un fascio di reazioni, risposte, ricordi, speranze, depressioni,
frustrazioni, io, che sono il risultato del movimento della coscienza bloccata, andare oltre?

Può la mente, senza questi blocchi, questi ostacoli,
essere cosciente? Sappiamo quant'è straordinaria la gioia che si prova quando non c'è alcun ostacolo. E' noto a tutti che quando il corpo è in perfetta salute, c'è una certa gioia, un certo benessere; e sappiamo anche che quando la mente è completamente libera, senza alcun blocco, quando il centro di riconoscimento costituito dall'"io" non è presente, si ha esperienza di una certa gioia. Non avete forse sperimentato questo stato di assenza del sé? Certamente questa è un'esperienza comune a tutti.

C'è comprensione e libertà dal sé solo quando riesco a considerarlo
integralmente come un tutto; e posso riuscirci solo comprendendo il processo globale di tutte le attività nate dal desiderio, che è l'espressione stessa del pensiero - poiché il desiderio non diverso dal pensiero - , senza giustificarle, senza condannarle, senza reprimerle; se riesco a comprendere questo,allora saprò se c'è la possibilità di superare le limitazioni del sé.

 

Tratto da:

Jiddu Krishnamurti.
LA RICERCA DELLA FELICITA'.


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