Pensieri e parole...

La bestemmia: peccato o virtù?


Vi siete domandati che significato ha la bestemmia? Prendendo in mano un vocabolario, vediamo che la bestemmia è alla lettera una imprecazione, un'ingiuria o un epiteto offensivo riferito a una divinità e che appartiene alla sfera del turpiloquio. Così sottoposta ad un primo giudizio sommario e razionale, verrebbe da pensare immediatamente ad accendere dopo che magari ci è scappata... ad un bel senso di colpa e correre il prima possibile al confessionale per lavare l’anima dal peccato! Eppure c’e chi l’ha analizzata dal punto di vista psicologico, con tanto di studio dedicato arrivando alla conclusione che non si tratta del delirio florido di uno psicotico, ma invece è, come risultato da uno studio della Keele University’s School of Psychology (Gran Bretagna), una pratica magari priva di grande stile, secondo cui le persone che imprecano riescono a tollerare il dolore fisico più a lungo rispetto a quelli che non dicono parolacce, in risposta ad un forte trauma o ad una disavventura. Nell’immaginario collettivo si è soliti pensare che chi pronuncia imprecazioni, dopo aver rotto un oggetto o essersi causato un danno fisico, abbia poca tolleranza alla sopportazione del dolore, che sia in genere una persona poco tollerante e poco paziente. Invece questo studio dimostra esattamente il contrario: un gruppo di volontari si è sottoposto a una serie di curiosi esperimenti. I ricercatori hanno fatto loro immergere le mani in una vaschetta con acqua gelata: in una prima fase ognuno era libero di sfogarsi con parolacce e imprecazioni a piacere, in una seconda fase, invece, le esclamazioni di dolore andavano controllate utilizzando solo parole neutre, accuratamente selezionate. I risultati indicano che il pronunciare le parolacce aiutava a sopportare per 2 minuti il dolore provocato dall’acqua ghiacciata. Senza bestemmiare, invece, si resisteva solo per 1 minuto e 15 secondi. I’esito è stato sorprendente! Il motivo che scatena l’effetto antidolorifico della parolaccia non è, comunque, ancora del tutto chiaro ai ricercatori. Una delle ipotesi più accreditate è che si tratti di una sorta di riflesso psicologico “fight or flight”: gli improperi rappresentano una risposta che permette di aumentare il battito cardiaco e di sopportare più a lungo il dolore fisico. E’ possibile che inneschino reazioni fisiche oltre che emotive, che aiutano a sopportare il dolore. Tutto questo potrebbe spiegare perché dire parolacce e imprecazioni è una pratica universalmente diffusa e vecchia di secoli e secoli. Probabilmente, le reazioni ‘aggressive’ portano il soggetto a scaricare parte della tensione emotiva e psicologica, così come espediente per scaricare anche il dolore provato. Quindi, imprecare in reazione al dolore per i motivi esposti è diventata una pratica comune anche tra le persone più educate. Per concludere, se ci capitasse di sentire una persona imprecare non ci dovremmo indignare, né come uomini né come credenti, nel caso lo fossimo, ma dovremmo pensare che quel’individuo lo sta facendo perché sta soffrendo e sta male. Allora, utilizza quella parolaccia quella imprecazione per aumentare la propria resistenza e reagire con fermezza... Se volessimo sdrammatizzare ulteriormente potremmo dire: “Una imprecazione al giorno, toglie il dolore di torno!”. BIBLIOGRAFIA:Stephens, R., Atkins, J., Kingston, A. (2009). Swearing as a response to pain. Neuroreport, 20, 1056 – 1060.