Pensieri e parole...

Davigo a giudizio... il padre spirituale del M5S chiamato alla sbarra...


19 febbraio 2022.17 febbraio 1992: l'arresto di Mario Chiesa dava il via alla scoperta di un sistema di corruzione che univa politici e imprenditori italiani, il finanaizammto illecito dei partiti. Sarebbe stata la fine della Prima Repubblica italiana. Era il lontano 17 febbraio 1992 quando la procura milanese compì i primi passi nell'indagine che sarebbe diventata Tangentopoli: fu il giorno dell'arresto di Mario Chiesa, presidente della casa di cura Pio Albergo Trivulzio di Milano ed esponente del Partito socialista italiano. Era stato colto in flagrante mentre riceveva una mazzetta da 7 milioni dall’imprenditore Luca Magni che, stufo di pagare, aveva avvisato le forze dell’ordine.In questi giorni in cui si celebrano i fasti giudiziari del “pool di Mani pulite”, a 30 anni dal suo esordio investigativo, il gup di Brescia rinvia a giudizio Piercamillo Davigo contestandogli il reato di “rivelazione di segreto di ufficio”. L'ex consigliere del Consiglio superiore della magistratura, magistrato che fu allora uno dei protagonisti dell'inchiesta di Tangentopoli, proprio all'inizio degli anni '90, inchiesta che decapitò un'intera classe politica, DC e PSI su tutti, dovrà sottoporsi a processo per aver diffuso dei verbali coperti da segreto istruttorio, in merito alle dichiarazioni dell'avvocato siciliano Piero Amara sulla presunta esistenza della «loggia Ungheria».  A Piercamillo Davigo viene attribuita la “paternità” di un precetto aberrato - «non esistono innocenti ma solo colpevoli non ancora scoperti» - che se fosse applicato al suo autore potrebbe rivelarsi una “nemesi giuridica” (la nemesi infatti è un avvenimento o serie di avvenimenti negativi che si ritiene seguano, ineluttabilmente, quale fatale compensazione di cattive azioni passate), riparatrice di una “colpa culturale” che consiste nell’aver diffuso negli anni (quelli di Tangentopoli) una veemente cultura “giustizialista” che ha stroncato intere carriere politiche, facendo coincidere “l'avviso di garanzia” con il “verdetto di colpevolezza”. Tale “populismo giudiziario” è stato successivamente incarnato dal “Movimento 5 Stelle” che ha elevato l'ex pm Davigo a simbolo della campagna giustizialista, invocando scorciatoie e mezzi sbrigativi come la “carcerazione preventiva”, ed anticipando arbitrariamente la condanna con “sommari processi mediatici” allo scopo di maramaldeggiare sull'indagato in spregio al principio costituzionale della “presunzione di innocenza”.  “L’essere innocente sino a prova contraria” appunto costituisce un valore ineludibile di civiltà giuridica, che non dovrebbe mai essere intaccato dal cosiddetto “fattore M”, cioè dal combinato disposto di magistratura e media, che si fondono in un processo di complicità è reciproca connivenza, enfatizzando l'incriminazione verso i titolari di cariche pubbliche e minimizzando l'eventuale accertamento dell'estraneità ai reati contestati. Con tale approccio si pregiudicano, irreversibilmente, le carriere politiche sin dall'introduzione dell'iter di indagine. Già nelle fasi embrionali del procedimento giudiziale, agisce sull'indagato la pressione del “patibolo mediatico”, che precorre una eventuale “sentenza di condanna”; tale metodo può rivelarsi soverchiante è letale per l’indagato, anche se successivamente l'impianto accusatorio dovesse essere smantellato dall'avvenuta “assoluzione”.  Ieri, in un editoriale dalla elevata tossicità giustizialista, il giornalista Marco Travaglio vestiva i panni del funesto individuo che si prodigava in un affannoso piagnisteo, un pianto lungo quanto molesto, lamentoso, tipico dei bambini, emettendo gemiti di dolore per il rinvio a giudizio del suo pupillo e paladino Davigo e non risparmiandosi nella perorazione del modello “giacobino” di cui è ed è sempre stato il massimo rappresentante. È il suo solito fare, la solita “mistificazione della realtà” fatta di congetture, che è figlia di una lettura ideologica degli eventi.  Il rinvio a giudizio di Davigo non è una congiura ordita da chi vuole disinnescare le guardie e blandire i ladri come evoca la narrazione travagliesca. Semmai è la sconfitta di una demagogia “giustizialista” andata avanti per 30 anni, che ha inquinato profondamente le istituzioni e il dibattito pubblico, creando “l'humus sociale” per la nascita futura di un partito (M5S) dove l'ignoranza e l'incompetenza sono i criteri di accesso nella rappresentanza. L'eredità del giustizialismo è stata prontamente raccolta negli anni a seguire dal Movimento 5 stelle, che ha prosperato su quel sentimento, riconducendo ogni interpretazione politica ad una matrice moralistica, attraverso processi sommari a mezzo stampa e web, dove i tre gradi di giudizio venivano marginalizzati e riassunti nell’assioma: “avviso di garanzia” equivale a “colpevolezza”. In tale primitiva semplificazione si cerca il sensazionalismo incriminante e non la giustizia, e i cittadini non sono concepiti come potenziale coscienza critica, ma come “tricoteuse” in attesa di vedere la prossima testa rotolare. Les tricoteuses, infatti, durante la Rivoluzione francese, erano le donne delle classi popolari che assistevano sferruzzando, alle riunioni della Convenzione ed alle esecuzioni, sotto il palco della “ghigliottina”. Tale scettro moralistico è stato a lungo modus operandi, un faro abbagliante quanto redditizio, sì, ma che adesso scotta. E tanto. Infatti colui che decide di impossessarsene, prima o poi si brucia. La realtà è questa qui.   Tuttavia Davigo non è un colpevole che sta cercando di farla franca, al contrario è un innocente fino al terzo grado di giudizio, nonostante ciò che pensi lo stesso Davigo e i suoi cantori.