Pensieri e parole...

UMANITÀ O TRANSUMANESIMO?


Il Tramonto della Vita: l’uomo in rivolta contro se stesso!di Enrico NadaiViviamo in un’epoca in cui negare la vita è spesso più semplice che supportarla. Questo fenomeno si riflette in diversi aspetti, tra loro differenti: la volontà di legalizzare l’eutanasia, le battaglie (vedi USA) per mantenere legale l’aborto; quelle per consentire l’uso delle droghe, la promozione della libertà sessuale a favore di chi non può procreare naturalmente, il lavaggio del cervello ai minori sul cambio di sesso e cultura lgbt; il dominio della tecnologia come fattore in grado di trasformare l’essere in non-essere, il cosiddetto “transumanesimo”. A questa visione distruttiva, si devono contrapporre delle altre riflessioni. Affermare la nostra vita e quella altrui, significa anzitutto “prendersene cura”, sebbene ormai sembri defluito il bisogno di farlo. Si confonde il concetto di cura con quello di una misera libertà priva di vincoli: libertà d’espressione, stravaganza dei costumi, disinibizione e rimozione di ogni tabù.In pochi sono in grado di sentirsi liberi dedicando loro stessi a qualcuno o ad un valore trascendente. La consacrazione della propria individualità a discapito d’altri, è ormai l’unica cosa che conti veramente. In assenza di una sensibilità che generi una diversa apertura al mondo, la cura ha perso il carattere della preoccupazione rivolta all’esistente. E così, si è passati ad una lotta di mera preoccupazione egoistica, in cui tutto è strumentalmente utile ai nostri scopi egocentrici.Come aveva ben visto Günther Anders, a causa di tale mancanza di rispetto e attenzione, l’umanità è giunta a trattare se stessa come qualcosa di cui avere poco rispetto, da consumare avidamente e gettare via, così come tratta il mondo con prevaricazione, insensibile si bisogni di tutti e non solo dei più ricchi. È la diretta conseguenza del considerare l’umanità come un mezzo e non mai come un fine. Da qui sorge quel coordinamento di mezzi e fini che, con Horkheimer, potremmo definire secondo l’espressione “ragione strumentale”.
Il rapporto con il senso della vita sta assumendo una lacerazione preoccupante. Sono in molti a farci credere che, di fronte ad ostacoli insormontabili, il maggior tributo all’esistenza sia quello di “negarla”. Questo giustifica e favorisce troppo facilmente un certo conformismo da parte di coloro che fanno scialo di solidarietà verso chi decide di abbracciare un decesso, favorendolo anziché cercare una via alternativa. Il sostegno umano, infatti, giunge con grande risonanza quando ci si oppone abbastanza facilmente alla vita piuttosto che alla morte. Le scelte che negano l’esistenza, sono spesso dettate da circostanze che rendono in parte comprensibile una tale volontà; ma la forza di chi non si arrende e affronta aspre difficoltà, meriterebbe, in confronto, un più sincero e meritato supporto. Quest’ultimo, purtroppo, viene invece a non essere favorito.È disorientante e psichicamente doloroso vivere in un contesto politico, sociale e religioso in cui non esiste un’idea condivisa su cosa sia “la vita”; tantomeno è attivo un serio confronto, in grado di proporre una molteplicità di opinioni per ricercare delle ragioni e punti comuni. È invece significativo, che problemi etici così delicati, vengano affrontati nelle aule parlamentari solo in seguito allo scalpore sollevato da qualche caso giornalistico. Oggi ognuno ha maturato – ammesso che l’abbia fatto – una visione arbitraria della vita e in base a questa, è persuaso di poter fare ciò che gli pare con essa. Del resto, nuotiamo nelle acque gelide del completo non-senso, del vuoto assoluto, nella reciproca estraneità in cui è impossibile per ciascuno, comprendere la rete di “relazioni” entro la quale siamo inseriti. Per ciò stesso, in pochi considerano la vita come un dono prezioso da cui congedarsi – a prescindere dal nostro intervento – secondo le necessità da essa imposte.La superbia del genere umano contemporaneo è quella di voler decidere autonomamente su tutto, sentendosi a fondamento di ogni cosa. Anche se nessuno si è mai conferito la vita da sé, in molti credono che essa sia di totale proprietà del singolo individuo; pochi invece la pensano come un dono venerabile, consegnatoci affinché se ne abbia la migliore possibile, con disciplina e costanza.Ricevere la vita è infatti la prima manifestazione di un destino che trascende il nostro dominio. Il coraggio di affrontarla fino in fondo, non può e non deve mancarci. La vita non è superflua: va rispettata, meditata, ordinata e trattata con responsabilità in ciò che scegliamo di farne. Solo con la nostra sollecitudine, possiamo imparare a morire e consegnando un senso all’esistenza motiviamo l’amore, la gioia, il dolore e la disgrazia. Ma la civiltà occidentale sta indorando il suo tramonto: elogia chi si dà la morte, gioisce se i bambini vengono acquistati dagli omosessuali abbattendo la struttura tradizionale della famiglia, preferisce non procreare, pretende il soddisfacimento di ogni desiderio individuale, favorisce l’ibridazione tra umano e tecnico, nonché la realizzazione della post-umanità.L’uomo è in pratica, in rivolta contro se stesso, contro la propria identità, contro i propri limiti, contro la natura, contro Dio, contro tutto ciò non gli conceda di essere una sua autocreazione. La sua volontà è quella di controllare ogni cosa lo concerne e la via che si sta velocemente dischiudendo davanti a lui, è più sinistra di quanto qualsiasi previsione possa dichiarare.