Pensieri e parole...

IL CIRCO DEL FEMMINICIDIO: HANNO COSTRUITO ATTORNO AL FEMMINICIDIO UN CIRCO MEDIATICO, DEI PADRI SEPARATI SUICIDI, NESSUNO PARLA


Sono almeno 200 i padri separati che si tolgono la vita ogni anno. Sono oppressi dalla disastrosa legge sul divorzio che li ha consegnati all'indigenza e alla mercè di donne vendicative che mettono i loro interessi personali davanti a quelli dei figli. Di questi non ne sentiamo mai parlare. Il femminismo ha costruito una falsa immagine nella quale la donna è sempre vittima quando invece spesso è carnefice.CON BUONA PACE DI CHI BLATERA DI REGIME PATRIARCALE!Ha sempre rappresentato una argomentazione valida durante le discussioni con le femministe, contrarie a una riforma della disciplina di separazioni e affidi: «ogni anno si suicidano 200 padri separati!». Un’affermazione pesante, si è vero, tuttavia rappresentativa di una prova schiacciante di quanto le prassi separative ordinate dai giudici, siano talmente inique da condurre molti uomini alla disperazione. Restava un problema da risolvere, evidenziato dalla risposta tipica della femminista con cui ci si trovava a dibattere: «la fonte del dato?». E lì cominciavano le contorsioni: non essere in grado di menzionare da quale studio derivasse quella cifra ha significato spesso, per molti, la sconfitta dialettica e l’umiliazione di venire avvolti dall’alone del “cazzaro” che spara cifre a caso.Questo problema è ora risolvibile, per puro caso un amico mi segnala questo articolo datato 25 novembre 2016, a firma di Marina Dalla Costa, all’interno del sito di quello che parrebbe un partito politico, il “Movimento Libertario”. Il pezzo è sorprendente, dice le stesse cose che si dicono nella Uomosfera oggi: smonta pezzo per pezzo, citando fonti ufficiali, il mito del “femminicidio”, e lo fa con tutta la ragionevolezza del caso. Alla fine si riferisce anche ai dati sui suicidi, ed ecco riapparire il fatidico numero: «In Italia il tasso di suicidio di uomini separati è di 284 per milione all’anno». Non parla specificamente di padri separati, ma di uomini separati in generale, ed è già qualcosa. Soprattutto cita come fonte l’Eures, e non l’OMS, in particolare una ricerca del 2009. Faccio ripartire le ricerche e in due minuti reperisco il report relativo (scaricabile qui o dalla sua collocazione originale qui): “L’ultimo grido dei senza voce. Il suicidio in Italia ai tempi della crisi”. Pubblicato nel 2011, analizza i tassi suicidiari nel nostro paese fino al 2009, ed è una meraviglia da leggere per il semplice motivo che, diversamente dai report che si possono leggere oggi, non è inquinato da nessun orientamento ideologico. Riporta i dati per descrivere la realtà, non per supportare una visione precostituita della stessa. Roba molto rara oggi.I dati che riporta sono noti e ormai consolidati: la stragrande maggioranza dei suicidi è compiuta da uomini. Non solo: anche nei tentati suicidi gli uomini battono le donne, con una proporzione di 3,5 a 1. Sulle motivazioni, il report si scontra contro la difficoltà della frequente assenza di spiegazione del gesto. Non tutti coloro che si tolgono la vita lasciano scritto o detto il perché, anzi lo fa solamente una minoranza. In molti casi non spiegati la ragione si può desumere con la conoscenza delle condizioni di vita del suicida, con ciò riducendo gli “inspiegabili” a un numero sempre alto ma statisticamente gestibile. Nel 2009 l’Italia (e non solo) stava pagando l’onda lunga dei giochetti americani con i subprime e questo aveva fatto esplodere gli omicidi innescati da ragioni economiche. «Non risulta inoltre superfluo», spiega l’Eures, «evidenziare come il suicidio per ragioni economiche rappresenti un fenomeno quasi esclusivamente maschile (95% dei casi nel 2009) a conferma di come questo si leghi alla acquisizione/perdita di identità e di ruolo sociale definita dal binomio lavoro/autonomia economica». Con buona pace di chi blatera di regime patriarcale che privilegia gli uomini e della Murgia secondo cui la “mortificazione civile” colpisce soltanto le donne sottoposte, solo loro, a intollerabili pressioni socio-culturali.A questo punto si arriva alla declinazione dei dati per status sociale: età, area geografica e stato civile. Ed ecco qualcosa che somiglia molto ai “200 padri separati” dell’ex Onorevole Turco: «l’indice di rischio complessivamente più alto si rileva tra i separati e i divorziati (14,2 ogni 100 mila abitanti, che sale a 28,4 tra gli uomini contro un indice pari a 4,8 tra le donne)», riporta l’Eures, registrando come lo stesso indice sia bassissimo tra chi è accoppiato. Osserva allora il report: «Questi indici sembrano evidenziare come l’integrazione e la condivisione di uno spazio affettivo (ma anche di uno spazio economico) costituiscano elementi “preventivi” del rischio suicidario e, al tempo stesso, come la perdita affettiva (nella separazione e/o nel lutto ) rappresenti soprattutto per gli uomini una perdita di identità e di punti di riferimento molto superiore a quella delle donne». Chi è avvezzo a leggere i report statistici odierni non può che commuoversi di fronte a un’osservazione del genere, che tratta il genere maschile in modo perfettamente normale, umano, attribuendogli sentimenti ed empatia, senza criminalizzarlo forzosamente. Sì, gli uomini da soli, senza una compagna, stanno male. Tanto da togliersi spesso la vita. Bamboccioni? Senza palle? Eterni Peter Pan? No, Uomini. Che in quanto esseri umani hanno bisogno di legami identitari e punti di riferimento affettivi, come li definisce l’Eures, cui dare un’importanza cruciale nella propria esistenza. Fa impressione che solo 12 anni fa si parlasse in questi termini della sfera maschile in un report statistico ufficiale.E poi c’è il dato misterioso, quel numero circolante da tempo ma da sempre senza una fonte: il report Eures nel 2009 conta tra i separati e divorziati che si sono suicidati 253 uomini e 64 donne. Non dice se quei 253 fossero padri o meno, ma possiamo presumere che in gran parte lo fossero. È passato, vivaddio, il tempo in cui gli uomini si suicidavano per la sola perdita della donna amata. Capita ancora ma si contano sulle dita di una mano. La pulsione affettiva maschile da decenni ha trasferito la sua potenza sulla prole: gli uomini contemporanei possono accettare tranquillamente di vivere senza la propria amata, ma molto difficilmente accettano la rinuncia ai propri figli. Dunque sì: è legittimo dire che nel 2009 si suicidarono circa 200 padri separati. L’Eures dice che è un dato che conferma un trend già registrato in precedenza, nel 2000 e nel 1990. E poi? Poi il nulla, quel dato è sparito. Viene recuperato soltanto da Santiago Gascó Altaba tra le note del suo “La grande menzogna del femminismo“. Ma è l’unico. Nessuno più ha elaborato dati come quelli: ISTAT, Eures, Eurostat, ONU, hanno optato da allora per il silenzio più totale. E QUESTO FA PENSARE, CHE DITE?Dal 2009 (curiosamente è anche l’anno dell’approvazione in Italia della legge anti-stalking, ovvero l’anno dell’inizio della fine…) ogni rilevazione ha cambiato approccio: le sofferenze maschili non si misurano più, così si dà l’impressione che non ce ne siano, che gli uomini se la spassino alla grande nel loro stramaledetto patriarcato. Di contro si registra ogni minima sofferenza femminile, magari manipolando anche i dati, così tutti credono che un genere è persecutore e l’altro è il perseguitato. Quest’ultimo, in quanto tale, ha più diritti e deve avere più tutele dell’altro. E così siamo all’oggi degli sgravi fiscali totali per chi assume donne (per dirne una a caso).Al di là delle mistificazioni, è del tutto ragionevole pensare che il dato del 2009 sia rimasto costante, se non si è addirittura aggravato. Oggi va di moda parlare di patriarcato, di rieducazione maschile, mentre Valditare incarica la Concia (ex PD) di occuparsi delle lezioni da impartire nelle scuole sull'educazione alle relazioni. Mio Dio: scherziamo? L'educazione è affare di totale prerogativa della famiglia, un alunno può averla o non averla, ma non sarà mai compito di un professore scegliere come educare un fanciullo! Siamo all'inverosimile: aveva ragione quel qualcuno che disse: "Attenzione, lo Stato vuole prendersi la potestà dei fanciulli". Matteo Renzi, nel duello televisivo con l’altro Matteo, il leghista Salvini, era il 2019, pronunciò una frase che lo collocò nella categoria dei nemici dei keghisti, non in quella degli avversari. Secondo il Buffalmacco fiorentino, “tutti devono mandare i figli all’asilo nido, anche coloro che non lavorano”. I bambini, dunque, sono proprietà dello Stato, legittimato a educarli fin dalla prima infanzia, sottraendoli ai genitori, svuotando ulteriormente quel che resta della famiglia, il ruolo dei nonni, dei fratelli, quando ci sono, e dei parenti. No. L’affermazione, grave e sinistra, (proveniente da sinistra) deve essere rigettata in radice.I figli non sono una proprietà di chi li ha generati, ma ad essi incombe il diritto e il dovere di accoglierli, educarli, avviarli al mondo della vita. A loro e a nessun altro. Sequestrare gli infanti per riunirli negli asili significa spogliare i genitori di responsabilità e soprattutto iniziare a manipolare le generazioni sin dalla culla. Non siamo proprietà statale, nessuno lo è, né lo sarà mai, nessuno metta le mani sui bambini, già costretti a vaccinazioni di dubbia utilità, sballottati fuori di casa dal ritmo frenetico, innaturale del nostro tempo, lontani dalla madre, dal calore domestico.  Ogni Stato è una dittatura, affermava Antonio Gramsci; i cosiddetti democratici e progressisti si incaricano di dargli ragione. La definizione di Ezra Pound è più pregnante: controllo sociale averso la sistematica applicazione della forza di una società politicamente organizzata. La proposta renziana fu probabilmente musica per le orecchie di qualche genitore postmoderno, interessato, per fastidio o magari per difficoltà pratiche di un sistema disumanizzante, a parcheggiare i figli in luoghi “sicuri”. A noi invece spaventò e spaventa, perchè la sinistra a momenti la ripropone, spaventa come ogni passo nella direzione del controllo, dell’indottrinamento generalizzato, della cancellazione del valore cruciale dell’istituto tra gli istituti: la famiglia!