Pensieri e parole...

DUE PAROLE SUL CASO ZUNCHEDDU.


La storia di Beniamino Zuncheddu, condannato all’ergastolo per triplice omicidio e, dopo trentatré anni (non 33 mesi, o giorni) di galera, riconosciuto innocente, dovrebbe far capire ai numerosi forcaioli, favorevoli all’introduzione della pena di morte nel nostro Paese che dovrebbero guarire da tale deviazione mentale: se ci fosse stata, adesso si sarebbe scoperto di aver assassinato un innocente. Sulla stessa falsariga si dovrebbe tener presente ciò che è accaduto nei «civilissimi» e «democraticissimi» Stati Uniti: un uomo è stato condannato a morte utilizzando l’azoto, una barbarie degna del più oscuro medio evo. Nessuno pretende che le persone leggano i libri di Cesare Beccaria, però, qui intendo aprire una parentesi: Beccaria, giurista ed economista (Milano 1738 - ivi 1794), fu tra i massimi rappresentanti dell'illuminismo italiano, legò sua fama al trattato "Dei delitti e delle pene" (pubblicato anonimo a Livorno nel 1764), che pose le fondamenta della scienza criminale moderna. In questa celeberrima opera Beccaria considera la pena di morte inutile, perché non è l'intensità della pena che fa effetto maggiormente sull'animo della gente, ma piuttosto la sua estensione. La pratica della pena capitale non è mai servita neanche come utile esempio a far sì che gli uomini non commettessero più reati.Per cui tutti coloro che inneggiano, ciascuno secondo i propri riscontri e le proprie convinzioni, alla pena di morte, prima di chiedere a gran voce alla forca in piazza, dovrebbero tener presente cosa significhi uccidere un essere umano. Dopo, una volta ucciso, non si torna indietro.