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Pensieri e parole...

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Messaggi del 28/09/2024

JULIAN ASSANGE IL PRIMO OTTOBRE PARLERÀ AL CONSIGLIO D’EUROPA.

Post n°1928 pubblicato il 28 Settembre 2024 da scricciolo68lbr
 

Domanda che sia fatta giustizia Julian Assange, così lui e i suoi sostenitori passano al contrattacco. A Strasburgo, New York e Londra, è iniziata la battaglia per ottenere giustizia sugli eventuali illeciti commessi dai governi responsabili dei 14 anni di persecuzione giudiziaria inflitti al giornalista australiano, recentemente liberato dopo oltre cinque anni di carcere duro e sette anni di confinamento forzato. Il primo ottobre, a Strasburgo, la Commissione per gli affari giuridici e i diritti umani dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) ha convocato come testimone il cofondatore di WikiLeaks, Julian Assange, per illustrare gli illeciti che sostiene di aver subito durante la sua reclusione.

L’organismo europeo ha già pubblicato un rapporto che collega la detenzione arbitraria di Assange ai crescenti tentativi, in tutto il mondo, di mettere a tacere i giornalisti scomodi. Presso il Palazzo d’Europa, l’APCE dovrà concedere ad Assange lo status di prigioniero politico e chiedere contestualmente la creazione di una commissione indipendente per determinare se il giornalista investigativo abbia subito trattamenti inumani o degradanti durante la sua detenzione. La testimonianza di Assange, che sarà la sua prima uscita pubblica da quando è stato liberato, avverrà tra le 8:30 e le 10:00, ora italiana. La TV dell’Assemblea parlamentare di Strasburgo trasmetterà in diretta l’intervento di Assange sul proprio canale YouTube.

New York, invece, i quattro statunitensi (due avvocati e due giornalisti) spiati dalla CIA durante le loro visite ad Assange nell’Ambasciata ecuadoriana di Londra, continuano la loro causa contro l’Agenzia per aver violato i loro diritti alla privacy.  La CIA aveva, infatti, preso e aperto i loro cellulari e registrato le loro conversazioni confidenziali con Julian. Lo scorso 19 dicembre, il  giudice distrettuale di Manhattan, John Koeltl, gli ha riconosciuto il diritto a chiedere che i dati raccolti dai loro cellulari fossero cancellati dagli archivi della CIA – anche se, poi, il giudice ha negato loro il diritto di chiedere danni monetari per le registrazioni occulte delle conversazioni. Koeltl ha anche convocato davanti alla Corte il capo della CIA, Robert Burns, in qualità di persona informata sul caso Assange.  Lo scorso 15 aprile, Burns ha depositato una richiesta di esonero, asserendo che la sua testimonianza potrebbe nuocere alla “sicurezza nazionale”. Il giudice deve ancora pronunciarsi in merito. 

Infine, a Londra, la giornalista investigativa italiana, Stefania Maurizi, continua la sua battaglia per ottenere copie dei documenti scambiati tra Regno Unito, Svezia e Stati Uniti riguardanti quella che potrebbe profilarsi come una montatura contro Assange: l’accusa di stupro, rivelatasi infondata, in Svezia. La macchinazione, se confermata, risalirebbe agli anni 2010-2019 e avrebbe avuto lo scopo di costringere Assange a lasciare il Regno Unito, dove risiedeva, per recarsi in Svezia e testimoniare davanti ai giudici dell’indagine preliminare. Una volta lì, Assange avrebbe rischiato un’estradizione negli Stati Uniti quasi immediata (grazie agli accordi tra i due Paesi), evitando invece il più lungo e complesso iter di estradizione dal Regno Unito. Negli USA, Assange avrebbe affrontato un processo che quasi certamente lo avrebbe condannato a decenni di carcere per aver rivelato i crimini di guerra statunitensi in Iraq e Afghanistan. Fiutando la trappola, Assange ha rifiutato di recarsi in Svezia, offrendo invece alla magistratura svedese di testimoniare tramite teleconferenza o rogatoria, entrambe soluzioni legali. Tuttavia, il procuratore svedese, Marianne Ny, ha respinto più volte questa proposta, insistendo sull’estradizione. Quando il Regno Unito era ormai pronto a eseguirla, Assange ha ottenuto asilo politico presso l’Ambasciata ecuadoriana, dove ha trascorso sette anni.

Maurizi, sospettando la possibile commissione di illeciti nel diniego della richiesta di rogatoria o di udienza telematica, ha chiesto – sin dal 2015 – di ottenere una copia di tutti i documenti scambiati tra il Regno Unito, la Svezia e gli Stati Uniti sul caso Assange.  Se c’è stato un complotto internazionale, ci saranno sicuramente tracce nelle carte scambiate tra i Ministeri di Giustizia di questi tre paesi. Maurizi ha potuto fare questa sua richiesta invocando il FOIA, ovvero il Freedom of Information Act, legge britannica del 2000 che tutela la libertà d’informazione e il diritto di accesso agli atti amministrativi.

Stefania Maurizi ha scoperto che sia le autorità svedesi che quelle britanniche avevano cancellato documenti rilevanti legati all’inchiesta su Julian Assange per stupro. Tra questi, un’e-mail dell’FBI inviata nel marzo 2017 e importanti corrispondenze tra la Svezia, il Regno Unito e gli Stati Uniti. Questa cancellazione solleva dubbi sulla legittimità dell’intero procedimento e spinge Maurizi a interrogarsi sul perché siano stati eliminati documenti cruciali per il caso. Nel 2022, la giornalista ha sottolineato come l’indagine fosse stata archiviata senza che Assange fosse mai stato formalmente accusato, ma la persecuzione giudiziaria ha comunque danneggiato gravemente la sua immagine pubblica e lo ha costretto a vivere confinato nell’Ambasciata ecuadoriana per sette anni.

Il 24 settembre 2024, Maurizi ha ottenuto una svolta: durante un’udienza presso il Tribunale per la libertà degli accessi a Londra, è stato rivelato che copie cartacee delle e-mail cancellate erano ancora disponibili. Questo risultato rappresenta una vittoria importante nella sua battaglia per la trasparenza, aprendo la strada a ulteriori indagini su possibili illeciti nella gestione del caso Assange. L’ammissione dell’esistenza di queste copie è un passo significativo verso il chiarimento della verità, e Maurizi spera ora di far luce su eventuali abusi di potere che potrebbero aver condizionato la vita di Assange e l’opinione pubblica.

 

[di Patrick Boylan – autore del libro Free Assange e co-fondatore del gruppo Free Assange Italia]

 
 
 

IMPOSSIBILE ORAMAI, FIDARSI DELL’INFORMAZIONE MAINSTREAM.

Post n°1927 pubblicato il 28 Settembre 2024 da scricciolo68lbr
 

Come si può credere ancora all'informazione mainstream? È praticamente impossibile, specie dopo quattro anni di menzogne sui sieri benedetti, che benedetti proprio non sono. Ma non voglio parlarne adesso, miro ad altro. L’ennesimo caso di "commistione" tra pubblicità aziendale ed informazione, ha scatenato una nuova protesta all’interno del quotidiano La Repubblica, portando il Comitato di redazione a mobilitarsi.

Il sindacato, che manifesta da tempo insofferenza nei confronti del direttore Maurizio Molinari – già sfiduciato lo scorso aprile – ha scioperato a livello redazionale il 25 e il 26 settembre, lamentando in una nota «le gravi ingerenze nell’attività giornalistica da parte dell’editore, delle aziende a lui riconducibili e di altri soggetti privati avvenuti in occasione dell’evento Italian Tech Week», organizzato da Exor e attualmente in corso a Torino. Il Comitato di redazione ha rivelato che il 25 settembre è uscito insieme al quotidiano un inserto di oltre 100 pagine con una serie di articoli apparentemente “giornalistici” ma, che in realtà, sono stati pubblicati dietro "compenso" delle aziende. Una nuova dimostrazione di come, su molti giornali mainstream, la linea di confine tra informazione e pubblicità sia "evaporata".

La protesta dei giornalisti di Repubblica ha bloccato la copertura di “Italian Tech Week”, evento di Exor (prodotto tramite la sua società Vento), proprietaria di Gedi (Agnelli/Elkann) e, quindi, dello stesso quotidiano. Una settimana prima dell’inizio della manifestazione, sette giornalisti dell’area Economia hanno ricevuto una comunicazione da una dirigente di Exor, con la descrizione del programma della tre giorni e dei pezzi per la pianificazione dell’inserto in uscita il 25 settembre con Repubblica. Come ricostruito dal portale Professione Reporter, nella lettera si evidenziava che di fatto, a “comandare” dovessero essere proprio gli sponsor.

Il Comitato di redazione ha richiesto un incontro con il direttore Maurizio Molinari, che in prima battuta ha parlato dei fatti descritti dai rappresentanti dei giornalisti come di «cose gravissime». Successivamente, ha rivelato che la lettera era stata autorizzata dal vicedirettore con delega all’Economia, Walter Galbiati. Quest’ultimo ha presentato le dimissioni, che però Molinari ha deciso di respingere: scelta apertamente contestata dal Cdr. L’Azienda ha poi reso noto di aver aperto un provvedimento disciplinare nei confronti di Galbiati, il quale, nel frattempo si sarebbe “autosospeso”.

Il livello di tensione ha subito però un’impennata, sfociando nella scelta di scioperare, quando il Cdr ha scoperto un file in cui gli articoli dell’inserto da 112 pagine venivano allineati ai relativi contributi finanziari da parte delle aziende coinvolte.

All’interno dell’inserto, gli articoli risultavano apparentemente giornalistici, condizionando ed inducendo così in grave errore i lettori, che non venivano avvertiti del fatto che in realtà si trattasse di contenuti "brandizzati", scritti sotto pagamento delle aziende. Che, peraltro, come dimostrerebbe lo stesso file, sarebbero stati visionati, corretti e aggiustati dagli stessi uomini Exor.

Ricordando come, ormai «da tempo», si denuncino «i tentativi di piegare colleghe e colleghi a pratiche lontane da una corretta deontologia e dall’osservanza del contratto nazionale», nel comunicato il Cdr ha tirato in ballo direttamente l’ad di Exor: «Ci rivolgiamo anche all’editore – e non padrone – di Repubblica, John Elkann affinché abbia profondo "rispetto" della nostra dignità di professionisti e del valore del nostro giornale, testata con una propria storia e identità che non può essere calpestata. La democrazia che ogni giorno difendiamo sulle nostre pagine passa anche dal reciproco rispetto dei ruoli sul posto di lavoro». Come se non bastasse, con un significativo colpo di mano e a sciopero in corso, la proprietà ha deciso di trasmettere comunque in streaming sul sito di Repubblica l’evento “Italian Tech” il 25 settembre.

Non è certo il primo caso in cui la direzione de La Repubblica provoca le proteste dei giornalisti. Lo scorso aprile, il Cdr del gruppo GEDI aveva approvato a larga maggioranza una mozione di sfiducia al direttore Maurizio Molinari, proclamando uno sciopero di 24 ore. L’episodio era stato scatenato dalla decisione del direttore di mandare al macero 100 mila copie già pronte dell’inserto economico Affari&Finanza, in uscita lunedì 8 aprile, a causa dell’articolo di apertura, riguardante i legami economici tra Italia e Francia – tra cui il ruolo del governo italiano con Stellantis, presieduta dalla famiglia Elkann – che portava la firma di Giovanni Pons. Il pezzo era stato cancellato e sostituito da un articolo sullo stesso argomento, redatto proprio dal vicedirettore Walter Galbiati, con titolo, catenaccio e parte del testo differenti. Ciononostante, Molinari è rimasto al suo posto, imponendo una linea editoriale talmente propagandistica da censurare interviste – caso esemplare quella al cantante Ghali, ritenuto troppo filo-palestinese –, e da spingere i “disallineati” ad andarsene, come accaduto al giornalista e collaboratore di lungo corso Raffaele Oriani. Quest’ultimo ha denunciato come il massacro israeliano su Gaza sia in corso anche grazie «all’incredibile reticenza di gran parte della stampa europea, compresa Repubblica».

 
 
 

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     IL TIBET NASCE LIBERO

  LASCIAMO CHE RESTI TALE

                             i

Le parole.

                       I

Le parole contano
dille piano...
tante volte rimangono
fanno male anche se dette per rabbia
si ricordano
In qualche modo restano.
Le parole, quante volte rimangono
le parole feriscono
le parole ti cambiano
le parole confortano.
Le parole fanno danni invisibili
sono note che aiutano
e che la notte confortano.
                                  i
 
 

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