Incursione

Il rumore dei passi. Trentesimo estratto.


Sfogliando le pagine si imbatté in una prosa che attirò la sua attenzione;si intitolava "Curtius" e prese a leggerla avidamente. Era molto breve e sirisolveva in due brevissimi capitoli. Quando ebbe terminato Sesil si leccòle labbra tumide e uscì con un'imprecazione colorita in inglese. "L'ha mailetta?" Fece ad Atwater. L'ufficiale scosse il capo: "Non ricordo nulla con quel titolo. Ho letto parecchio di quel librone, ma soprattutto le poesie e parte del poema maggiore. Magari alcune prose, ma non ricordo Curtius."Il pescatore gli allungò l'edizione e disse sommessamente: "Legga. Lo legga. Lo trovo molto istruttivo su David Fitzroy." Leslie afferrò il libro e prese a scorrere le parole del piccolo racconto. Chissà perché sentiva chedoveva farlo ad alta voce.Avevano portato il ragazzo in ospedale tre mesiprima. Si era addormentato su un carro che portava fieno ed era caduto con le ruote che glipassavano sopra e gli tritavano le gambe sotto il ginocchio. L'avevano portato in ospedale che eratutto viola e le macchie del vomito gli inondavano la camicia di canapa. Nemmeno si pensava di poterlosalvare, tantomeno di salvargli le gambe ma, si sa,i miracoli avvengono, e Curtius era riuscito a preservarele sue estremità a prezzo di dolori indicibili e sofferenzeinenarrabili. Anche adesso, mentre mordeva la copertaper non urlare, si chiedeva se fosse più fortunato o dannato ad essersi aggrappato con i denti al suo essereintegro e ad averlo difeso contro tutte le previsioni. Tantoper tirarlo su il medico gli aveva comunque annunciatoche doveva convivere con la possibilità di restare storpio.E allora, si diceva Curtius, perso per perso vale la pena ditenersi quelle propaggini inutili e soffrire tutto il dolore delMondo, come quel Cristo che pendeva incassato e scarnodalla parete? Sollevò la coperta e fissò le gambe dentro lagabbia di ferri che gli era stata costruita intorno. La carneera enfiata e violacea, e mandava cattivi odori. Capì subitoche si stava consumando forse per la dabbenaggine di qualche dottore, forse per un inevitabile giro del Destino. Tirò su il panno e girò la testa verso il muro, disperato escosso dalla pena fisica. E fu proprio allora che si accorse che la porticina che dava sulla stanza confinante era semiaperta e poteva vedervi dentro. Per Lui fu come si fosse spalancato il sole sopra un paesaggio incrostato di nebbia.Poteva occhieggiare nella stanza e vedere una ragazza distesa nel suo letto che lo osservava a sua volta. Era pallida, ma bellissima, riusciva addirittura a individuarnegli occhi, così grandi da colmarle quasi tutto il volto, talmenteprofondi da attirarlo nella sua direzione, simile al pozzo che custodisce l'acqua. Curtius si sentiva bruciare. Aveva finitoi liquidi ma non osava suonare il campanello poiché temeva che l'infermiera, una volta giunta nella stanza avrebbe chiusoimmancabilmente la piccola porticina e gli avrebbe negatola visione della sua personale salvezza: il volto della ragazzinache faceva capolino, ora con un grande sorriso stampato sullelabbra enfiate. Il ragazzo avrebbe voluto parlare ma la vocenon gli perveniva: gli saliva fino in gola ma lì si annichiliva e si disperdeva dandogli solo un grande raspare e la sensazionedi fastidiosa impotenza. Tentò più volte finché, alla fine, si rassegnò e rimase, muto, a osservarla mentre i dolori fortialle gambe gli davano tregua e andavano in libera uscita.Per un attimo, mentre scendeva la sera, gli sembrò che potessero essere fratello e sorella o due teneri amanti, separatida qualche disavventura nella vita, e iniziò a fantasticare nontogliendo per un attimo lo sguardo dalla ragazza. Il crepuscolocalava con dolcezza e iniziava a stingere i contorni. Ma anchese non la vedeva più chiaramente, sapeva che la fanciulla era sempre lì, con gli occhioni spalancati e il sorriso gigantesco,e questo gli offriva lenimento alla pena. Dimenticava di essereun mezzo uomo.(continua)