Alessandro Minisini

Storia dell'Esercito Italiano dall'Unità ai giorni nostri


Il nuovo assetto organizzativo delle Forze Armate, con la definitiva sospensione del servizio di leva obbligatorio, ha chiuso definitivamente un ciclo durato ben 143 anni ed iniziato con l'unità d'Italia. Le difficoltà nel creare un esercito unitario per tutto il territorio nazionale, il fenomeno del brigantaggio, la trasformazione da un esercito "di caserma" ad uno sul modello Prussiano, le difficoltà e gli errori succedutesi nel tempo fino allo scioglimento del Patto di Varsavia, con le motivazioni della sospensione della coscrizione obbligatoria pronunciate dal Ministro della Difesa. Con l'avvento dell'unità del 1860, al neo costituito stato italiano, tra i tanti problemi da risolvere, ci fu anche quello della riorganizzazione del nuovo esercito unitario. La superiorità della forza armata piemontese e dei vari eserciti dell'appena costituita unità, era tale da consentire un puro e semplice assorbimento degli eserciti della Toscana, dell'Emilia e quelli dei ducati di Modena, Parma e Piacenza, senza grossi problemi fu trasformato in "Brigata Alpi" anche il corpo volontario "Cacciatori delle Alpi", fondato da Garibaldi. I problemi maggiori nell'unificare l'esercito vennero dalle vicende meridionali, Garibaldi dopo essersi proclamato dittatore della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II, dovette fronteggiare i contadini siciliani, che credettero fosse giunto il momento di liberarsi degli antichi padroni latifondisti e di impadronirsi delle terre. Di fronte a queste rivolte contadine, i garibaldini non seppero fare altro che reprimerle, per paura di perdere l'appoggio della borghesia e dei padroni terrieri. Ulteriori problemi nacquero dall'opposizione di Cavour all'impresa dei Mille, infatti, Garibaldi dopo aver conquistato la Sicilia sbarcò in Calabria, facendo fuggire i Borbone a Gaeta. Cavour voleva impedire a Garibaldi di entrare per primo a Roma, per evitare che il Papa perdesse tutti i suoi territori col rischio che l'Italia si trasformasse in una repubblica. Con il suo consenso, le truppe piemontesi, occuparono le Marche e l'Umbria, sconfiggendo l'esercito papale. Ma quando Garibaldi, nella battaglia del Volturno, sconfisse definitivamente i Borbone, lo stesso Vittorio Emanuele II si mise alla testa delle truppe sabaude per impedirgli di marciare trionfalmente su Roma.Una volta annessi i territori meridionali, sia l'esercito napoletano sia quello garibaldino premmero per entrare a far parte del nuovo esercito italiano unificato, mantenendo però l'unità dei reparti, i gradi degli ufficiali ed altri privilegi. Sia il governo Cavour che Casa Savoia, consideravano queste richieste come una disgrazia da evitare in qualunque modo, per sfuggire al fatto di spostare verso sinistra l'assetto politico dell'esercito. Assimilare l'esercito garibaldino, avrebbe potuto ostacolare il progetto di "piemontizzazione" della nuova forza armata, ufficialmente furono addotte scuse infondate, che volevano sia l'esercito borbonico che quello garibaldino, sostanzialmente impreparati, formati da uomini le cui carriere gerarchiche fossero state fatte frettolosamente, gradi concessi troppo facilmente, addestramenti scadenti e poco spirito militare; anche se l'esercito garibaldino fornì prova di se proprio nella battaglia del Volturno e la mancanza di ufficiali nel neo costituendo esercito italiano, fecero promuovere circa 2.800 sottufficiali al ruolo di ufficiali, pur avendo certamente meno esperienza di quelli garibaldini.Così l'11 novembre 1860, Cavour emanò un decreto in cui disponeva lo scioglimento degli eserciti meridionali e della milizia appena creata dalla borghesia del sud, per la lotta al nascente fenomeno del brigantaggio. Fu quindi esclusa la possibilità di un loro ingresso in blocco nell'esercito italiano (in particolare per le truppe garibaldine), lasciando la sola possibilità di ingressi individuali, alla condizione per i soldati di aver già trascorso due anni di ferma e, per gli ufficiali, ci si rimise al parere di una commissione. In questo quadro politico è scontato che le proposte di Garibaldi, per la riorganizzazione dell'esercito, furono freddamente accolte dal parlamento di Torino, egli, infatti, propose una riorganizzazione sul modello popolare della "Nazione in Armi", fatto da un milione di uomini, per proseguire la guerra all'Austria ed annettere al Regno d'Italia i territori mancanti del Veneto e di Roma. Il progetto di Garibaldi prevedeva la creazione di cinque divisioni di soldati, che proseguissero sostanzialmente l'esperienza dell'esercito meridionale, ovviamente Cavour respinse tale proposta costituendo, ma solo sulla carta, il "Corpo Volontari d'Italia". Garibaldi allora propose la trasformazione della "Guardia Nazionale" (una sorta di corpo indipendente formato dai possidenti di ciascun comune e con compiti esclusivamente di mantenimento dell'ordine pubblico) in "Guardia Mobile", basata sull'esercito di massa di tutti i cittadini maschi dai 18 ai 35 anni. Ovviamente anche questa proposta fu accantonata dal governo, da Casa Savoia e dalle gerarchie militari, che non volevano la costituzione di un esercito parallelo a quello regolare. Fu accettata invece la proposta del generale Fante che rifiutava i vari eserciti, degli ormai superati stati italiani, intorno a quello piemontese, mantenendo il vecchio sistema francese dell'esercito di caserma a ferma prolungata, la cui chiamata alle armi non comprendeva che una parte limitata di giovani dai 18 anni in su: sino alle riforme degli anni '70 il gettito di leva non superava che le 60.000 unità. Una particolare attenzione merita il fatto che l'obbligo non era distribuito in modo uniforme tra le classi sociali italiane: gli studenti universitari, in sostanza gran parte dei figli delle classi abbienti, erano esonerati dall'obbligo della coscrizione obbligatoria (come peraltro accadeva in tutti gli eserciti europei) ed era stata data loro la possibilità di sostituzione per quanti accettassero di riscattarne il servizio attraverso il pagamento di una somma o inviando altre persone al proprio posto; di fatto la leva obbligatoria ricadde solamente sulle classi sociali subalterne e in particolar modo sui contadini. E' curioso osservare che, parallelamente alla coscrizione obbligatoria, si diffuse il brigantaggio nel meridione del paese, percependo l'esercito "piemontese" come straniero ed ostile, infatti, nel 1863 nella sola Campagna si riscontrò il 57% di maschi renitenti alla leva, che ebbero come unica possibilità quella di darsi alla macchia contribuendo al fenomeno del brigantaggio. Va detto che l'obbligo di leva all'epoca era fissato in cinque anni e perdere un figlio, in pieno vigore fisico, per tanto tempo, significava la miseria per l'intera famiglia; infine la disciplina che Casa Savoia pretendeva per il suo esercito era molto più dura rispetto a quella pretesa dai Borbone. Per reprimere il fenomeno del brigantaggio, nel 1862, quasi la metà dell'esercito era impegnato, con brutale ferocia, a combatterlo; gli storici Rochat e Massobrio scrissero che la prassi corrente dell'esercito Sabaudo, fu quella di fucilare sul campo tutti i briganti ed i loro supposti complici, esporre i loro corpi nudi, incarcerare le famiglie dei ricercati e bruciare i villaggi sospettati di connivenza con gli irregolari. Di fatto, l'esercito italiano si comportò con una bestiale ferocia come solo un esercito occupante poteva fare, segnando in modo definitivo un solco tra il popolo meridionale e stato italiano che, anche per questo, da ora in poi fu considerato come ostile ed estraneo. La "questione meridionale" non fu l'unico problema che il neonato esercito dovette fronteggiare: per tutti gli anni '60 la forza armata fu chiamata a reprimere i motti che scoppiarono in Valpadana e nel resto del Paese contro la tassa sul macinato.Al successo che l'esercito ebbe nel reprimere i motti interni non corrispose un altrettanto successo in battaglia, le cocenti sconfitte di Custoza e Lissa del 1866, produssero un'ulteriore caduta di consensi dell'esercito, definitivamente ridimensionato a seguito della grave situazione finanziaria della monarchia che produsse tagli alla spesa militare; basti pensare che dopo il 1866 la forza effettiva passo da 250.000 uomini a 140.000 e che la leva obbligatoria passò dai cinque ai tre anni e nove mesi. Come conseguenza alle due sconfitte, nei primi anni del 1870 si posero le basi per una riforma dell'intero esercito italiano, fu quindi deciso di adottare il modello prussiano a ferma breve obbligatoria, eliminando definitivamente il vecchio modello dell'esercito di "caserma". La leva fu portata a tre anni ed estesa praticamente a tutti i maschi delle classi sociali oltre i 18 anni, proteste si elevarono dalla borghesia che non voleva l'abolizione del diritto di esenzione per gli studenti universitari, per accontentarli la riforma fu avviata in modo graduale e dando altri tipi di privilegi alle classi abbienti, in particolar modo fu istituito il cosiddetto "anno volontario", che in Prussia ed Austria ebbe grande successo: lo studente universitario (che non poteva che essere abbiente) aveva la possibilità di commutare i tre anni di ferma in un anno, assieme al pagamento di una somma in denaro, che equivaleva al costo di un mantenimento per la rafferma dei rimanenti due ed uscire, frequentando un corso, con il grado di Sottotenente. Il funzionante sistema prussiano, adottato praticamente tale e quale, in Italia non ebbe seguito, infatti, nei primi anni del '900 su 19.304 studenti universitari che scelsero l'anno volontario, solamente 622 uscirono col grado di Sottotenente, credendo di correre minori rischi di essere richiamati in caso di guerra. Oltre a tale motivazione, a differenza della Prussia ed Austria, in Italia l'esercito aveva scarsa considerazione tra la popolazione ed il conseguimento di un grado da ufficiale era poco gratificante fra la bigotta borghesia.Nonostante questi problemi si passò da un esercito "di caserma" ad uno a coscrizione obbligatoria generalizzata, basato sul reclutamento a livello nazionale e non territoriale come in Prussia, fu adottato questo sistema nazionale ufficialmente per integrare i vari eserciti (nonostante tutto) ancora esistenti sul territorio italiano e per creare una "coscienza nazionale" ancora mancante. In realtà si trattava di sradicare i giovani dai territori natii di tre o quattro province e stanziarli in una quinta, possibilmente spostando i giovani meridionali al nord ed i settentrionali al sud, così che il dialetto (unica lingua effettivamente parlata) avrebbe svolto un ruolo di isolante naturale, evitando pericolose solidarietà con la popolazione, che avrebbe potuto allearsi con i militari per sommentare rivolte contro il sistema. Solamente le truppe alpine furono reclutate su livello regionale e per il solo motivo che esse erano assolutamente fedeli alla monarchia di Casa Savoia.Nonostante l'avvento del fascismo, la caduta della monarchia e l'istituzione del sistema repubblicano, la scelta "continuativa" fu quella intrapresa, evitando di approfittare di questi passaggi per abbandonare definitivamente la possibilità di un esercito libero dalle colpe del passato.Al termine della seconda guerra mondiale, lo scenario geopolitico mutò definitivamente, l'istituzione del Patto di Varsavia, della NATO ed in generale le paure di un invasione russa, costrinsero il paese a mantenere l'obbligatorietà della leva. Nel 1949, con appunto l'istituzione del Patto Atlantico, all'Italia, alla Grecia ed alla Turchia fu affidato il compito di assicurare il fianco sud dell'alleanza, al nostro paese toccò particolarmente il compito di fornire la maggiore quantità di basi sul Mediterraneo e di mantenere il confine con il Patto di Varsavia del Friuli. Venne così la necessità di mantenere circa 300.000 uomini effettivi in servizio e ben oltre metà di loro, furono dislocati in terra friulana.on la caduta del muro di Berlino del 1989, che da 28 anni era il simbolo della divisione della Germania, il dissolvimento dell'URSS, l'indipendenza di numerosi stati satellite ex sovietici, che portarono alla caduta del confine italo - jugoslavo e nuovi scenari internazionali in Italia si ridiscusse una radicale riforma del sistema delle forze armate, nel 1972 fu introdotta l'obiezione di coscienza al servizio militare (il cui senso originario fu spesso usato ed abusato da molti). Ma la vera svolta avvenne nel Consiglio dei Ministri del 24 giugno 2005, che accolse la proposta del Ministro della Difesa, di anticipare al 30 giugno dello stesso anno la fine della leva obbligatoria, fissata in un primo tempo al 2007. Alla base di questa epocale svolta, che dopo 143 anni chiuse una parentesi storica, il Ministro della Difesa, On. Martino, pronunciò le seguenti parole "Il paese deve disporre di uno strumento militare capace di corrispondere efficacemente alle nuove esigenze di sicurezza nazionale [...] all'interno di uno scenario internazionale [...] in grado di garantire una presenza professionalmente qualificata e di inserirsi negli schieramenti alleati nel contesto delle sempre più numerose missioni di pace della comunità internazionale". Oltre a questo i giovani che desiderassero entrare a far parte delle forze di Polizia, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, dei Vigili del Fuoco e delle Guardie Forestali, dovranno obbligatoriamente passare per un anno attraverso l'Esercito per una formazione militare di base.