Specchio Segreto

Post N° 33


AttualitàLe storie    Quel modo particolare di accavallare le gambe. Di guardarsi intorno. Di ridere e parlare. E poi i vestiti, il trucco, i capelli e la voce. Tutto cambiato, tutto diverso. Così a New York una donna può giocare a fare l'uomo per un giornodi Manuela Parrino    
Come si sta nei panni di un uomo? Se passate da New York, avrete la possibilità di scoprirlo. Come è successo a me. Una normale mattina, come tutte le mattine, esco di casa, compro i giornali, raggiungo l'ufficio e mi metto a leggere le notizie del giorno sorseggiando il caffè. Tra le pagine della cultura scorgo un trafiletto in cui si racconta di una donna che, in un giorno, ti insegna ad essere un uomo. La curiosità è troppo forte, non resisto e, con un po' di fortuna, riesco subito a rintracciare Diane Torr. È una signora tedesca di poco più di 40 anni, è sposata, ha una figlia di sedici anni e da sempre fa l'attrice. Al telefono è molto gentile e mi chiede subito chi sono, cosa faccio e perché voglio seguire questo corso. Alla prima domanda rispondo la verità. Non le dico, invece, che sono una giornalista, perché non vorrei che si insospettisse. Alla terza domanda, non sapendo dire esattamente che cosa mi spinga verso questo tipo di esperienza, rispondo che ho due fratelli e che, da quando ero piccola, ho sempre sentito il desiderio di provare come si vive nei panni di un maschio.La mia risposta la entusiasma: l'appuntamento viene fissato tra due sabati. Dopo pochi giorni ricevo a casa un volantino nel quale vengono specificati gli oggetti che dovrò portare con me. Al trucco provvederà lei. Io dovrò pensare agli abiti, alla fascia elastica per bendare il seno e alla costruzione di una protesi che possa fungere da membro maschile. Nel volantino Diane consiglia di procurarsi una benda tubolare non troppo larga, di imbottirla con cotone idrofilo e di cucirla alle due estremità. Troppo complicato. Decido di adottare un semplice calzino rivoltato. Faccio una prova. È piccolo, non si nota. Ma si deve notare? Trascorro il pomeriggio a osservare gli uomini sotto la cintola per capire se il loro sesso si vede. In alcuni sì, in altri no. Io decido che il mio, un po', si deve vedere. Una volta risolto il problema (o almeno così penso), penso all'abbigliamento. Mi faccio prestare un abito da un amico che ha più o meno la mia taglia, ma poi penso che, se fossi un uomo, non mi sentirei a mio agio in giacca e cravatta. Opto per un paio di jeans, un maglione nero a collo alto, una giacca a vento che ho comperato in un negozio di moda maschile e un paio di scarpe unisex. Mi sembra che funzioni. Quello che mi preoccupa è che, anche da donna, spesso mi vesto così. Che sia troppo mascolina? Mio marito assicura di no, ma non ha l'aria molto convinta. L'appuntamento con Diane è la mattina presto, in un loft dell'East Village. Le altre donne che hanno scelto di provare a essere uomo per un giorno sono già arrivate. Ci si guarda con sospetto. Una di loro è molto giovane. Penso che tutte, in questo momento, si stanno chiedendo la stessa cosa. Ma loro sono lesbiche? Perché sono venute qui? Diane non ci lascia il tempo di riflettere sulle nostre perplessità e, per prima cosa, ci chiede di mostrarle i capi di abbigliamento che abbiamo scelto. C'è chi ha portato un elegante completo giacca e pantalone con cravatta, chi ha deciso di essere casual e chi, invece, ha ammassato una serie di abiti a caso, non sapendo esattamente come si debba vestire un uomo. Il problema è che, anzitutto, dobbiamo decidere chi saremo. L'esatta versione maschile di noi stesse? O preferiamo diventare totalmente diverse? E poi: che lavoro fa il nostro uomo? È sposato? Ha famiglia? È felice? Mentre Diane si mette al tavolo del trucco, noi dobbiamo creare la storia di questo alter ego. Nel frattempo, però, dobbiamo costruirci fisicamente. Il primo passo è la fasciatura. Nessuna di noi, soprattutto quelle che hanno un seno prorompente, crede che sia possibile nasconderlo con una semplice benda elastica. E invece, tutte siamo costrette a ricrederci. Il nostro corpo diventa piatto, come quando eravamo bambine. Tutte, a turno, ci mettiamo di fronte allo specchio per guardarci di profilo. La benda, però, non è sufficiente a darci la postura maschile. Tutte abbiamo la tendenza a tenere il busto troppo in avanti. "Gli uomini", ci spiega Diane, "stanno sempre con le spalle ben aperte. Il loro corpo è in una posizione di sfida verso l'esterno, mentre il nostro è sempre in atteggiamento di "oh, mi scusi". Avete mai provato a guardare dall'alto uomini e donne che camminano? I primi si muovono sempre in linea retta e, se incontrano un altro passante sulla loro strada, tendono a ignorarlo e a proseguire diritti. Le seconde disegnano tanti piccoli semicerchi. Ogni volta che qualcuno incrocia la loro strada, tendono a lasciargli il passo, girandogli attorno". Nessuna di noi ci vuole credere ma quando, più tardi, ci ritroviamo per le strade di Manhattan, dobbiamo ammettere che la maggior parte delle donne che incrociamo ci cede il passo, disegnando intorno a noi il fatidico semicerchio. Terminata la fasciatura, mentre aspettiamo di venire truccate, ci proviamo la protesi. Scopriamo che tutte le abbiamo costruite di misure troppo grandi rispetto agli standard, e Diane ci fa ridimensionare. Per una mezz'ora giriamo per la stanza fissandoci intensamente a vicenda per capire se si vede o no. L'importante", dice la nostra guida, "è che lo sentiate, che abbiate la sensazione di cosa significa camminare, sedersi e muoversi con qualcosa fra le gambe". Muoversi non è un problema, ma sedersi come fanno gli uomini, con le gambe larghe o in un accenno di accavallamento, è scomodo, tremendamente scomodo e difficile da imparare. Mentre sono assorta, dall'altra parte della stanza si sente una voce concitata. È Laura, una giovane artista che fino a mezz'ora fa aveva i tratti molto femminili e che ora, in versione maschile, si trova terribilmente simile a suo padre. "Mi faccio impressione", continua a ripetere. "Sapevo di assomigliargli, ma così è davvero troppo. Non riesco a guardarmi". È il mio turno al trucco. Diane mi fa subito notare che ho i tratti delle mascelle piuttosto squadrati, e questo, dice, "è segno di una certa mascolinità". Raccolgo i capelli in una coda molto bassa sulla nuca. Diane mi disegna sul volto due sottilissime basette, che fanno risaltare il taglio delle mascelle. Un po' di barba sfatta qua e là, ed eccomi diventata Emanuel, uno scrittore dall'aria maledetta che vive in un loft dell'East Village, che non ha ancora scritto nulla di serio nella sua breve carriera letteraria e che, con calma, sta cercando la sua strada. Le altre ragazze mi guardano e decidono che sono un uomo intrigante: così mi ribattezzano the sexy boy. Mi guardo allo specchio e verifico di non assomigliare a mio padre, in compenso sembro mio fratello. Devo chiedergli se anche a lui, qualche volta, hanno detto che è un ragazzo sexy! Per inviare vostre foto scrivete a vuvuvu_2006@libero.it