La finestra di Ciro

Precettazione e religione


Con “precettazione” s'intende il provvedimento amministrativo straordinario col quale la competente autorità impone il termine di uno sciopero. Il provvedimento è stato introdotto in Italia dalla legge n. 146 del 12 giugno 1990 e si applica ai servizi essenziali di pubblica utilità, e si estende per espressa previsione anche ai “lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori”, quindi a privati che gestiscano tali servizi.        Dunque, la precettazione non ha un ambito di applicazione circoscritto e può riguardare non solo i lavoratori, ma le imprese. Nei casi di inosservanza, può comportare per il contravvenente da una sanzione pecuniaria, per ogni giorno di violazione, fino all'arresto per interruzione di pubblico servizio.         Le radici di  simili provvedimenti legislativi non sono il frutto delle moderne democrazie, ma vanno ricercate nei libri di storia a partire dal lontano Medio Evo, con  la nascita dei “servi della gleba”, anche se istituzioni sociali simili erano già conosciute nell'antichità classica. Eh già, perché fu proprio Diocleziano che, nel 301 d.C., per  contenere l’inflazione galoppante si vide costretto ad  introdurre una nuova moneta d’argento e a imporre dei prezzi calmierati (Editto sui prezzi massimi De pretiis rerum venalium).       Questi provvedimenti, tuttavia, non ebbero successo: la nuova moneta scomparve rapidamente dal mercato in quanto si preferiva conservarla ed i prezzi fissati fecero scomparire alcuni beni dal mercato ufficiale per essere venduti alla borsa nera e quindi lo stesso Diocleziano fu costretto a ritirare l'editto. Nel frattempo, però, le condizioni di vita della popolazione peggiorarono: le tasse erano pesantissime e molti abbandonarono le proprie attività produttive, non più redditizie, spesso per vivere come mendicanti.                 Diocleziano ricorse allora alla precettazione, ossia l'obbligo per gli abitanti dell'impero a continuare il proprio mestiere e la negazione della scelta libera della professione, costringendo gli abitanti dell'impero romano a subentrare ai padri nelle loro attività produttive.        A questo punto voi vi chiederete cosa c’azzecca tutta questa bella rinfrescata storica sulla precettazione con la religione ? C’entra, c’entra ! Seguite il mio ragionamento.     
    Voi accettereste mai una legge che vi imponesse di svolgere a vita l’attività dei vostri nonni ? No, di certo ! Per il semplice motivo che ognuno deve essere libero di scegliere cosa fare della propria vita, e tale scelta non gli deve essere imposta da altri fin dalla nascita. E mi pare più che giusto, perché, se così fosse, si ritornerebbe di colpo ad essere dei “servi della gleba”.             Ora questo concetto è universalmente accettato, fatta eccezione quando si discute di fede religiosa. La nostra società, compresi i settori che non hanno niente a che fare con la religione, ha accettato l'idea assurda che sia giusto e normale inculcare nei bambini piccoli la fede dei genitori e marchiarli con etichette religiose (“bambino cattolico”, “bambino protestante”, “bambino ebreo”, “bambino musulmano” ecc.) che non hanno equivalente in nessun altro campo.  Non ci sono per esempio bambini comunisti, bambini leghisti, bambini repubblicani, bambini democratici. Un bambino non è “cristiano” o “musulmano”, ma figlio di genitori cristiani o musulmani.       Tra l'altro, se si usasse quest'ultima espressione, i bambini stessi prenderebbero coscienza del problema. Un bambino che viene definito “figlio di genitori musulmani” capirebbe immediatamente che la religione è una cosa che si abbraccia o si rifiuta quando si diventa abbastanza grandi per farlo. Sarebbe un' ottima cosa, a fini educativi, insegnare religione comparata. Ma un educazione del genere e inaccettabile per gli apologeti delle tre religioni monoteiste. Per loro l'educazione multireligiosa è pericolosissima perché si insegna ai bambini che tutte le religioni hanno lo stesso valore, il che significa che la loro non ha alcun valore speciale.        E ad una proposta del genere  risponderebbero:<< Presentare tutte le fedi religiose come ugualmente valide è sbagliato. Ognuno, sia egli induista, ebreo, musulmano o cristiano, ha il diritto di credere che la sua religione sia superiore alle altre; altrimenti che senso avrebbe avere fede ? >>       Già, che senso ha ? E quale plateale assurdità ! Queste fedi sono reciprocamente incompatibili, altrimenti come potrebbe ciascuno ritenere la propria superiore ? Ne consegue che la maggior parte non può essere “superiore alle altre”. Bisognerebbe che i bambini imparassero che ci sono religioni diverse, e che inoltre notassero la loro incompatibilità, per trarre le loro conclusioni sulle conseguenze dell'incompatibilità. Quanto al problema se siano “valide”, decidano loro stessi quando saranno abbastanza adulti per farlo.                    
          Ma oggi una educazione simile  non è minimamente pensabile, perché i capi religiosi sanno bene quanto sia vulnerabile il cervello infantile e quanto sia importante indottrinare i fanciulli fin dalla più tenera età. Il motto gesuita << Datemi un bambino nei primi sette anni di vita e vi mostrerò l’uomo >> resta valido anche se è diventato un luogo comune. Alla luce di questo mio ragionamento: ditemi se queste forme di educazione religiosa, non possono essere oggi considerate come un forma di “precettazione del libero arbritrio” ?