In Dipendenza

Post N° 77


 
L’autobus per il centro lo piglio sempre al volo. Ogni volta finisce che corro come una matta, strapazzando borsa e gambe verso il convoglio gialloblu, ma nonostante la fatica, la fretta e il vento pungente a morsicarmi il muso, non mi rassegno mai a svegliarmi del tutto finché la cosa non si rende davvero inevitabile. Preferisco restare aggrappata al ricordo delle notti qui, sempre così rugiadose e silenti da commuovere. Salgo su e mi assesto in fretta sul primo sedile libero che trovo, senza guardarmi intorno e, restia a riprender contatto col nuovo giorno, decido quasi sempre di rimanere il più possibile avviluppata al mio incubo interrotto cercandone i dettagli sparsi tra i capelli, piuttosto che assuefarmi alla persuasione maleodorante della vettura che mi ospita. Dopo un minuto, oppure un’eternità, alzo lo sguardo verso il corridoio, e solo allora mi accorgo delle persone che mi stanno intorno. Casalinghe e studenti soprattutto, poi qualche turista e a volte qualche nomade coi suoi quattro o cinque figli urlanti sparsi lungo la corsia. Non è mai per colpa loro che mi disgiungo a poco a poco dagli odori di casa e dall’ultimo sonno agitato e spesso, solo quando sono ben oltre la destinazione prevista, realizzo che l’ho già superata da un pezzo. Magari son già passate le otto e sto ancora in periferia, però dall’altra parte della città. E chissenefrega, penso a volte, vorrà dire che scenderò in stazione e ritornerò indietro. Che si sta troppo comodi seduti su questo mucchietto di ovvietà per pensare di cambiare, mi ripeto a nenia come la maggior parte delle volte in cui ho bisogno di farmi passare in fretta l’incazzatura. E poi conosco persone magnifiche, non potrei mai andarmene di qui senza di loro. Sono gentili, e anche di ottima compagnia quando hanno voglia di ascoltare qualcuno che non sia se stesso. Se poi si pensa a quanto siano lodevoli per il loro impegno e la loro pazienza, quando si tratta di dar retta a una che pare appisolata anche quando è desta.. Alcuni hanno proprio un sacco di premure nei miei confronti, come padroni di casa in apprensione per un ospite di riguardo che sanno gli farà visita solo una volta nella vita, come una vecchia e scrupolosa zia ad esempio, o la morte. M’è capitato di pensare che con qualcuno di loro mi ci sarei messa, persino, però no mi dicevo subito dopo, come ogni volta che un’idea come quella arrivava a sfiorarmi l’inguine, altrimenti la colazione non avrebbe più lo stesso sapore, e la casa di certo diverrebbe d’improvviso troppo piccola per starci tutti insieme e nel giro di poco finirei col trovare insopportabile la sola vista di quelle stesse persone e tutto il calore si disperderebbe fuggendo tra le crepe delle pareti e.. come se non sapessi che la verità è che sono sempre stata troppo timida, impacciata, e per natura troppo lontana dalla capacità di mettere in atto una cosa simile, anche fosse un desiderio forsennato che mi corrode. Il tempo di chiedermi perché mi sono spinta tanto in la col pensiero, e mi raggiungo come a dribblare la risposta, risalendo mentalmente sul bus e scendendo subito dopo, rincollando i piedi sulla superficie regolare e appena lucente della banchina di fermata. La strada è ancora un po’ sudata di crepuscolo, e la gente approdata insieme a me rapidamente si dipana nei viottoli sparsi tra i palazzi. Oscillo un po’ sul ciglio del marciapiede, barcollando con le braccia aperte a sorreggere da una parte l’idea di essere una zingara irrequieta, intimamente vivace e un po’ spostata, e dall'altra la convinzione di esser toppo disciplinata, troppo perbene, troppo poco coraggiosa anche, per essere appagata, per mutare le “cose” in soddisfazioni. Con tutta la rabbia e il disordine che posso, gli stessi che non so tirarmi fuori dalla gola quando dovrei farne uso davvero, impalo i miei pensieri, poi li spoglio, li violento, li guardo sanguinare e concludo la tortura delle intenzioni finendole col colpo di grazia più adatto all’occasione. Alla fine del massacro mi decido a ridistribuire lo sguardo un po’ in giro, e mi placo pensando che la follia è altra cosa da ciò che vedo ispezionandomi nel vetro che protegge gli orari della fermata. Non c’è fretta e non c’è calma in questo posto. Il mondo stesso non è altro che un eterno andare. Mi guardo intorno e vedo il mio didentro. L’idea di spostarmi altrove al più presto non si sveglia insieme a me la mattina, ma sempre più frequentemente rincasiamo assieme. Così anche oggi capisco che è ora di ripartire, di andare via. Da me, da loro, da questo rigore, dalle certezze che ho appese ovunque alle pareti del soggiorno, dal giardino con l’erba fradicia e odorosa dell’abitazione in cui torno la sera, da questo posto che vuol essere chiamato casa, confitto in una città che apparentemente mi circonda ma in realtà mi abita dentro.  Soundtrack: Francoise Hardy - Tous les Garcons et les FillesImage(s): Les Krims